Il 14 Febbraio non è Festa

E’ difficile per me scrivere di Marco Pantani.
Ho provato a farlo e ho cancellato le prime righe di questo post almeno una decina di volte, perché tanto si è detto, tanto si è scritto e il rischio di risultare banali è elevatissimo. La mia più grande paura a dirla tutta è scrivere qualcosa di inutile, e farlo su un personaggio del genere è una cosa che non mi perdonerei mai.

Ho riguardato le più grandi tappe di Marco, almeno tante volte quanto ho riguardato le partite più significative di Michael Jordan. L’ho fatto perché entrambi li ho vissuti da bambino e perché avevo questo immenso desiderio di parlarne con cognizione di causa, di guardarli con occhi diversi, magari con gli stessi di Francesco Ciavattini, che parlerà del suo rapporto con Marco tra qualche ora, sempre su questo blog.

Non ce l’ho mai fatta.

Forse perché è impossibile sovrascrivere determinate impressioni ed emozioni avute in così tenera età. Forse un banale tentativo di autodifesa da quell’orrendo meccanismo che si chiama “crescita”. O forse è perché mio padre non mi parlava di loro come se ne parlerebbe ad un bambino, ma mi diceva le stesse cose che mi direbbe ora davanti ad una tappa o ad una partita.

Mi diceva “guarda, ora cambia rapporto e parte!”. Rapporto? Io in prima elementare ancora faticavo con addizione e sottrazione. E poi mi avevano detto che si chiamava divisione, cosa è questo rapporto?
“Adesso arriva il tratto duro, superano il 15%”, e per me di nuovo arabo. So qualcosa delle moltiplicazioni, ma 15×100 fa 1500… cosa vuol dire?

E su Jordan “guarda come spezza il polso, quello che ti dico sempre di fare e che tu non fai mai”. E me lo dice ancora, e io ancora che ottuso rispondo che in realtà lo spezzo, quel dannato polso. Ma quando mai.

Non c’era spazio per l’ammirazione pura, non era semplicemente un far vedere al proprio figlio quanto fossero forti Pantani e Jordan, bisognava che io capissi perché Pantani e Jordan erano così forti.

E quando quel dannato giorno, a Madonna di Campiglio, Marco fu trovato con quel famoso 52 di ematocrito, mio padre si trovò a dover spiegare il doping ad un bambino di 8 anni. Ci si aspetterebbe la solita lezione “ha sbagliato, è giusto che paghi”, e invece si sedette a tavola, col muso lungo e disse “Gotti, che è secondo in classifica, è molto più dopato di Pantani. E’ uno schifo”.

Qualche tempo dopo, andammo a vedere assieme una tappa. Non vorrei ricordare male, ma credo che l’arrivo fosse a Peschici. Chissenefrega dell’arrivo, noi andiamo a Monte Sant’Angelo dove c’è l’unico tratto con una salita più o meno discreta, noi dobbiamo vedere il Pirata che è tornato dalla squalifica.

E lo vedemmo, piuttosto affannato, che fa il gregario per Garzelli. E di nuovo mio padre “Fa il gregario per Garzelli, che è molto più dopato di lui. E’ uno schifo”.

Già, è uno schifo.
Grazie Papà, grazie Marco.

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Una risposta

  1. 14 Febbraio 2015

    […] di diverso: un paio di anni fa abbiamo ricordato quello che era stato per noi il Pantani ciclista (Il 14 Febbraio non è festa e Marco Pantani, 9 anni dopo, come oggi.), questa volta vogliamo prendere la macchina del tempo, […]

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