Mennea, un uomo di un altro tempo

19”72 il record di un altro tempo. Così aveva intitolato uno dei suoi libri Mennea e così amava riferirsi a quel risultato. Uno nove sette due, quattro cifre diventate quasi una filastrocca, un luogo comune, che per diciassette lunghissimi anni furono record mondiale. Per un’intera generazione di appassionati quel tempo è rimasto lì, immutabile, se seguivi un attimo l’atletica e pure se no sapevi che “il record mondiale dei 200 è il 19”72 di Mennea”, così fu prima dell’arrivo dei marziani sulla Terra. Un nome entrato oltre la leggenda, diventato quasi un nome comune come un personaggio da film, se ancora nel 2013 per un curioso scherzo del destino un cantautore italiano gli intitola il suo ultimo disco.

Quel dito diventato famoso

Quel dito diventato famoso

Un risultato di un altro tempo ma straordinariamente attuale ancora oggi, dato che è ancora record europeo oltre che naturalmente italiano. Nessuno lo ha mai superato tra gli azzurri, nemmeno sui 100, tra i bianchi, anche se lui disse ad Alì di essere “nero dentro” in pochi meglio di lui. Risultati costruiti su un chiaro talento naturale ma soprattutto con un lavoro che probabilmente non ha precedenti nella storia dell’atletica. Mennea aveva un sogno, diventare il più forte di tutti, e ha fatto tutto il possibile per realizzarlo. E’ stato un esempio per tutti, ha dimostrato che con la forza di volontà si può ottenere qualunque risultato, ma è stato poco imitato. Ancora oggi non si capacitava come quasi nessuno avesse seguito i suoi metodi, preferendo magari arrendersi subito all’idea della superiorità degli americani e dei caraibici.

Mennea non era come Bolt, nato per entrare nella storia, era solo un ragazzo di famiglia povera che guadagnava qualche spicciolo sfidando le automobili sportive. Decisivo, per la sua vita e la sua carriera, l’incontro con Vittori: i metodi del professore, molto innovativi per l’epoca, e il suo incredibile spirito di sacrificio furono una combinazione vincente. Mennea si adattò a vivere come un asceta, risiedendo per quasi tutto l’anno a Formia nel centro federale, fu uno dei primi a controllare strettamente l’alimentazione ed in un certo senso, come definito da Baldini, il “primo atleta professionista della storia”. Anzi per assurdo, come amava ripetere il suo allenatore, questo eccessivo senso del dovere fu quasi un freno per lui, costandogli ad esempio le Olimpiadi del ’76 dove arrivò imballato per i troppi carichi di lavoro svolti personalmente.

Tanta fatica ripagata in due anni magici, prima il record del mondo a Città del Messico e poi la medaglia d’oro olimpica a Mosca. Un trionfo difficile, prima con il rischio del boicottaggio poi rientrato, poi con una non ideale corsia esterna assegnatagli in finale, sembra per pressioni politiche britanniche volte ad ottenere un piazzamento migliore per i propri atleti. Una gara che tutti hanno visto decine di volte, con quel ritardo da Wells che sembrava ormai incolmabile, la rimonta finale ed il dito alzato al cielo. Attorno a queste due ciliegine la torta di tre medaglie d’oro europee, ai suoi tempi la massima manifestazione dopo i Giochi. I Mondiali arriveranno più tardi, a fine carriera, e lui farà in tempo a conquistare un bronzo nei 200 e un argento con la staffetta, dove trascina un valido quartetto ad un primato italiano che durerà 25 anni.

Campione dentro e fuori dalla pista, espressione spesso abusata ma mai come questa volta veritiera. Finita la carriera atletica tra ritiri e ripensamenti inizia per lui una seconda vita, anche qui sempre un passo avanti a tutti, senza paura di esprimere la propria opinione. Pioniere della lotta al doping, che aveva dovuto subire già da atleta dove faticava ad accettare l’idea di combattere contro avversari che grazie ad aiuti illeciti potevano sacrificarsi molto meno di lui. Plurilaureato, in giurisprudenza, lettere, scienze politiche e scienze motorie, parlamentare europeo, aveva patito l’essere messo un po’ da parte dal mondo sportivo italiano, restìo ad assegnare incarichi dirigenziale a una persona così integerrima e poco portato a scorciatoie e compromessi. La sua ultima battaglia quella contro i Giochi di Roma 2020, da lui visti come un’inutile spreco, anche lì il tempo gli aveva dato ragione. Se n’è andato in silenzio e da persona schiva come sempre, e la certezza che uno come lui difficilmente ripasserà.

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Una risposta

  1. therussianrocket ha detto:

    Gran pezzo del Peretti

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