“A viso coperto”

Sin da bambino sono stato sempre un lettore abbastanza avido, pure troppo veloce nel leggere, sono cresciuto con i libri di Jules Verne, tutta la serie dei vari Corsari, e questo background mi è rimasto con una certa predilezione per i libri di Wilbur Smith, ma mi piacciono molto anche i thriller ed i noir ma soprattutto, vista la passione per lo sport ed il football americano in particolare, ultimamente mi sono messo a leggere anche diversi libri, soprattutto in inglese, sia tecnici che biografici su questo (magari in un altro pezzo ve ne parlerò di qualcuno). Poi mi sono capitati sott’occhio, grazie alle offerte lampo di amazon, una serie di libri sul calcio, anzi meglio romanzi sul calcio, tra cui uno con una copertina che sicuramente colpiva (uno poliziotto e un dimostrante a volto coperto) e un titolo che richiamava subito all’ambiente più discusso e, forse, discutibile, che ruota intorno allo sport calcio.

A viso coperto, di Riccardo Gazzaniga

A viso coperto, di Riccardo Gazzaniga (Einaudi Editore)

Partiamo subito dal fatto che questo libro è un romanzo, non è un’inchiesta giornalistica e non pretende neanche di esserlo, non è “basato su una storia vera” anche se è evidente che dentro ci sono riferimenti ad episodi reali della cronaca italiana. È semplicemente una storia corale sull’amicizia, sulla lealtà, sulla difficoltà di affrontare la vita continuando a seguire i propri principi, sull’eterna lotta tra volere e dovere, sullo sfondo di una Genova che richiama immediatamente al G8 ed a tutto quello di terribile, da qualunque parte lo si guardi, che ci è girato intorno.

Per il calcio italiano Genova è stata una città molto importante perché è qui che è nato ed è qui che ha avuto il suo iniziale sviluppo, è qui che c’è lo stadio più friendly d’Italia per questo sport ed è qui che ci sono anche 2 tifoserie storiche che sono molto considerate nell’ambiente ultrà. Di più, dopo l’omicidio di Vincenzo Spagnolo e il G8, Genova è diventata il simbolo italiano di una società e anche di uno stato che non sembrano pronti ad affrontare e superare la violenza che è dentro ed intorno a loro. Luogo ideale quindi per un romanzo che cerca di guardare in faccia questa componente senza pretendere di trovare una soluzione, anche perché, probabilmente, una soluzione non c’è.

Dicevo prima che è un romanzo corale perché ha tanti personaggi che ci ruotano intorno, dove non ci sono eroi senza macchia, non c’è il buono della situazione: tutti hanno i loro lati oscuri anche quelli per cui ti ritrovi a provare empatia, siano essi poliziotti o ultrà. D’altronde alla fine possono essere considerati come 2 facce della stessa medaglia, che molte volte sembrano solo recitare una parte perché è quello che gli viene “chiesto” dalla società. Ed i capitoli brevi, dal ritmo serrato (d’altronde la storia si snoda in poco più di una settimana), quasi sempre riguardo uno solo dei personaggi della storia, accentuando questo senso di coralità.

Tutto parte da uno di quei classici episodi che chi è fuori dal mondo ultrà fatica a capire: un agguato a un gruppo di tifosi dello Spezia, impegnati per altro in una partita di Lega Pro, da parte di un gruppo, ancora senza nome, di ultrà del Genoa, fatto più che altro per far capire di esserci e di voler diventare qualcosa di diverso in quel che sta diventando il tranquillo, secondo loro, panorama dei vari gruppi ultrà della curva Nord genoana, che si sta abbassando a seguire le rigide regole che ormai governano gli ingressi negli stadi italiani, con tessera del tifoso e controlli di striscioni e altro: i classici argomenti che dividono inesorabilmente gli ultrà da chi non lo è (e che non è nostra intenzione trattare o giudicare in questo articolo), tra chi considera la curva la “sua casa”, dove poter fare quello che vuole, e quindi tutto questo un attacco alla propria libertà, e chi considera queste regole giuste perché non capisce cosa c’è d’importante in uno striscione, in un far parte di un gruppo ultrà.

Da una parte lo stadio e dall'altra il carcere, la strana posizione di Marassi

Da una parte lo stadio e dall’altra il carcere, la strana posizione di Marassi

Da questo episodio inizia a dipanarsi la storia di Lollo, Lupo, Ale, Lisca e poi Robi ed Enrico (ancora ragazzi presi a metà tra i primi amori e la voglia di sentirsi protagonisti di qualcosa di più grande), con le loro storie, i loro motivi per cercare la violenza o una rivincita verso la società, ma anche una guerra interna per capire quello che vogliono veramente. Dall’altra parte della storia, o forse sarebbe meglio dire barricata, ci sono invece i celerini, o gli sbirri come li chiamano, persone molto più simili a loro di quello che penserebbero, con gli stessi dilemmi e gli stessi tormenti interiori, che si trovano ad affrontarli senza neanche magari sapere perché.

Ma quello è il loro lavoro, hanno l’infausto dovere di rappresentare lo stato contro cui sempre più spesso si sfoga la rabbia del popolo (e magari sognano anche loro di unirsi a chi manifesta), non vengono neanche considerati “veri” poliziotti ma solo violenti che hanno la fortuna di indossare un’uniforme e anche di godere di una certa immunità, ma che alla fine rappresentano soltanto un altro branco che lotta in questa giungla e che fa di tutto per difendere sé stesso, anche da chi è a loro più vicino (i loro superiori o quelli con cui collaborano) ma che invece viene visto come un altro nemico “che ti vuole fottere” o che “sa solo metterti in situazioni di pericolo e nascondersi dietro”, persone che quando si trovano in certe situazioni si trovano a reagire come non penserebbero mai potessero fare, non solo per istinti di sopravvivenza ma anche perché la violenza fa parte di loro.

Ma anche qui ci sono persone diverse tra loro, con diverse storie, diverso passato e diverse speranze per il futuro, che affrontano il proprio dovere in modo diverso, venendo anche a patti con la propria morale: è la storia di Nicola, Marione, Gianluca, Ferro, Fabio, Piccolomini e gli altri. E non pensate che, pure se siete lontani dalla “mentalità ultrà” o da una certa parte anarchica della società, vi troverete subito a simpatizzare con loro. Allo stesso modo, se vedete gli “sbirri” come il fumo negli occhi, non pensate che vi troverete subito dall’altra parte della storia: come già detto, sono due facce della stessa medaglia.

La scintilla che fa partire la spirale di violenza è un “semplice” striscione ed una certa dose di casualità, ma molti dei personaggi si trovano sul bilico tra il volerla fermare ed il volersi far trascinare dentro senza pensarci, anche se questo può portare a decisioni e fatti che possono cambiare per sempre la propria vita, nel bene o nel male. Anche se non sempre è facile dire cosa è il bene e cose è il male, o meglio, cosa ognuno vede come bene o male.

Il libro è abbastanza lungo, ma, come già detto, scorre via molto veloce e ti porta a leggere sempre di più, e quindi complimenti all’autore, Riccardo Gazzaniga (lo trovate anche su twitter @ricgazza) che nella vita fa……il sovrintendente di polizia, cosa che nel libro s’intuisce per l’ottima ricostruzione delle situazioni e delle decisioni che ci possono essere dietro ad una storia del genere, ma non certo perché “prende parte” nella storia (quanto c’è di autobiografia in Nicola, uno dei protagonisti?). Veramente un romanzo molto bello, che mi è piaciuto e che consiglio vivamente a tutti con il consiglio di leggerlo senza pregiudizi (che siano da una parte o dall’altra), ma cercando soltanto di godersi una storia avvincente, non banale e anche emozionante su un ambiente di cui spesso si sa poco e quello che si sa arriva filtrato da un giornalismo che non ha troppa voglia ed interesse ad informare.

angyair

Tifoso dei 49ers e dei Bulls, ex-calciatore professionista, olimpionico di scherma, tronista a tempo perso, candidato al Nobel e scrittore di best-seller apocrifi. Ah, anche un po' megalomane.

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15 risposte

  1. Giacomo ha detto:

    Tanto di cappello Angy per l’articolo

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