Cavalli pazzi

Circuito di Sepang, Malesia, Curva 14. Durante il settimo giro della penultima gara del mondiale di MotoGP edizione 2015 Marc Marquez e Valentino Rossi se le stanno suonando da qualche tornata. Il Dottore è nervoso, le sue dichiarazioni contro la coalizione spagnola nel pregara non impediscono a Marquez di svolgere il proprio dovere anche se questo non dovrebbe consistere nel rischiare il contatto a tutti i costi in una gara che per lui ha un valore relativo. All’ingresso della curva Marquez entra larghissimo, Rossi è interno e guida la traiettoria. Vista l’entrata del rivale il numero 46 Yamaha decide di allargare ulteriormente per portare lo spagnolo verso i prati in fiore. Rossi si gira e guarda l’avversario, rallenta il più possibile e accompagna il ragazzo all’uscita del locale. Marquez abbocca e si lascia portare fuori, fino alla Mamola Zone, dove i due si toccano. In quella zona puoi solo decollare o cadere: di decolli non c’è ricordo, mentre novantanove piloti su cento cadono. Il centesimo è Randy Mamola che qualcosa si inventava, magari anche una corsetta a piedi prima di tornare in sella. Marquez è forte, persino più di Mamola, anche se i due sono di generazione diversa, ma non è l’americano e cade. Come succede spesso quando arrivi da dietro.

A guardarla in diretta è così. Rossi la studia, la disegna e la porta a termine. Marquez, nel ruolo della mosca fastidiosa, cade nella trappola e termina la sua corsa. Al primo replay l’occhio balza immediatamente sul piedino di Rossi che fa uno scatto strano, verso l’esterno, come a colpire la moto del rivale. Sui social network si scatena l’inferno del j’accuse e molti sentenziano che Valentino, il più grande di tutti, è umano e ha fatto una cazzata gigantesca. Sconvolge l’imbarazzato silenzio di Guido Meda, uno dei più grandi urlatori del commento sportivo che improvvisamente perde ogni verbo. Quel calcio sembra la sentenza di colpevolezza definitiva e il Meda proprio non sa che dire, dando alla telecronaca più senso delle immagini che scorrono.

I replay si moltiplicano ed emerge che Marquez non solo si fa portare fuori ma va per primo a cercare il contatto appoggiandosi un paio di volte alla moto di Rossi prima di cadere. Dopo tante traiettorie esterne impostate per poter aprire prima il gas e infastidire l’italiano, il campione del mondo, più che cadere in trappola, sembra farci cascare l’avversario. La teoria di molti, ora, è che Marquez si faccia accompagnare sino alla caduta per cercare di penalizzare a livello di sanzioni il Dottor Rossi. Da lì in poi le teorie del complotto si sprecano e i giudizi sportivi lasciano spazio, come al solito, al tifo da stadio, invertendo improvvisamente la logica per cui Iannone deve lasciar passare Rossi ma Marquez non può aiutare Jorge Lorenzo. Roba da ultrà, insomma.

La realtà è che i piloti sono cavalli strani, tutti accompagnati da un velo di follia necessaria allo spettacolo e alla sopravvivenza. Dovrebbe saperlo bene Loris Capirossi, che ai microfoni di Sky Sport è la spalla del buon Meda. Il bolognese deve aver ripensato molto alla propria carriera nel rivedere quei replay che in loop invadevano gli schermi di ogni canale TV e di ogni sito internet, pensando alla frustrazione di un Valentino Rossi che non sarà carnefice ma riesce difficile dipingere come vittima. Un Rossi che mai come oggi sente il peso dell’impresa, uno che dopo aver vinto e rivinto tutto potrebbe accontentarsi della Hall of Fame e che invece vede in quel decimo titolo l’unica cosa sensata di una carriera agli sgoccioli. Capirossi penserà alle provocazioni e alla frustrazione dell’ex collega, magari quello stesso stato d’animo che lo spinse ad entrare sull’ultima curva del GP d’Argentina del 1998 come se non ci fosse un domani. Di quell’entrata al limite dell’assurdo fece le spese Tetsuya Harada che perse il mondiale proprio in favore dell’italiano vedendosi respingere ogni contestazione dai giudici di gara.

Ma forse, il gioco di squadra spagnolo Lorenzo-Marquez, ricorda a Capirossi più la stagione 1990, Classe 125, quando all’ultima gara soffiò il mondiale a un più continuo Hans Spaan. L’olandese non riuscì a correre contro Capirossi grazie all’ostruzionismo del trio capitanato da Fausto Gresini insieme agli scudieri Doriano Romboni e Bruno Casanova. L’olandese giunse quarto e perse il mondiale di nove punti ma non si lasciò sfuggire l’occasione di provare a colpire con un pugno Gresini durante la corsa. In quel caso l’evidenza dei fatti era così palese che fa un po’ sorridere tutto questo straparlare di alleanze ingiuste di oggi.

Ma non finisce qua, perché al di là degli episodi più o meno confusi, è proprio uno dei protagonisti di oggi ad aver reso spettacolare il gioco duro negli ultimi quindici anni di motomodiale. Valentino Rossi, salito agli onori della gloria non solo per le vittorie ma anche per le badilate rifilate a Sete Gibernau e per i pericolosi scontri con Max Biaggi, è uno che non ha mai tolto la mano dal gas. E’ anche per questo, o forse soprattutto per questo, che è divenuto così popolare e così amato da almeno tre generazioni di tifosi. Eppure lui è quello che, durante una grandissima gara a Laguna Seca, finito nello sterrato in battaglia con Casey Stoner, non lasciò spazio all’australiano rimasto in pista come previsto dai regolamenti ma, al contrario, rientrò sulla traiettoria dell’avversario spingendolo fuori strada. Spettacolare, certo, ma quanto corretto?

Lo stesso Rossi stava per aggiudicarsi un mondiale che poi finì comunque nelle mani di Nicky Hayden nel 2006, quando all’Estoril, penultima prova, l’americano è messo KO da Daniel Pedrosa, suo compagno di squadra. Difficile parlare di complotti ma lecito domandarsi perché Pedrosa dovesse giocarsela in quel modo vista l’impossibilità di ricavare davvero dei benefici concreti da quella gara. Il fatto è che, spesso, il punto di vista di un pilota professionista è completamente diverso da quello dei comuni mortali. Non c’è solo l’esigenza di dare sempre il massimo per giustificare quella vita messa a rischio ogni volta che si mette il culo sulla sella, no, non è solo quello. E’ quello spirito che distingue chi arriva a certi livelli da chi non ce la fa o nemmeno ci prova. Quello stimolo, quell’ambizione che ti fa credere di essere migliore di tutti anche quando i numeri dicono altro e quella spinta eroica che ti porta a cercare di dimostrarlo ogni volta.

Compagni di squadra...

Compagni di squadra…

Marc Marquez non fa eccezione e poco importa che le sue simpatie o antipatie personali, piuttosto che un atteggiamento troppo nazionalistico, siano alla base delle sue manovre. Ha falsato il campionato? Potremmo pensarlo, ma non vi è la certezza perché, di contro, potremmo dire che Rossi sembrava più veloce e il Rossi d’altri tempi avrebbe sogghignato sotto la visiera cercando di battere lo spagnolo al primo rettilineo giusto. Ha preferito lo scontro, probabilmente una scelta legittima tanto quella di Marquez di non farsi gli affari suoi ma di continuare a lottare. Come ha fatto a Philip Island dove, comunque la si voglia vedere, piuttosto che regalare cinque punti a Lorenzo ha messo in piedi il giro record all’ultimo passaggio prendendosi il primo gradino del podio. E lì, l’animo ultrà, colpì il povero Iannone, reo di aver… corso come sa e come poteva. Sono lì per quello. Qual è il motivo per cui si deve rischiare la vita, se non dare il massimo? Per i complotti c’è sempre spazio ma oggi, a occhio, a fare la differenza sono stati lo stress e la frustrazione di Valentino Rossi più di ogni altra manovra in pista. I piloti sono così, razza strana e un po’ folle, sempre al limite, sempre sul punto di commettere una follia, un eccesso tipico di una vita tutta tirata al massimo.

Persino la più storica e per qualcuno più nobile Formula Uno ha regalato fuori programma da prima pagina, sempre conditi da polemiche e da delusioni. Dai cazzotti di Nelson Piquet a Eliseo Salazar al botta e risposta Prost-Senna in Giappone in un uno-due che portò il francese nel 1989 a tentare di buttare fuori il compagno di squadra poi squalificato. Gesto decisivo per il mondiale e forse poco consono al titolo di Professore con cui ci si appellava nei confronti di Prost. Gesto che spinse il brasiliano, un anno dopo, nel 1990, a far concludere la gara decisiva dopo pochissimi secondi quando decise di sbattere contro la Ferrari del francese e chiuderla lì.

Persino Michael Schumacher, il più vincente di sempre, non è indenne alle polemiche. Le “furbate” contro Damon Hill (vinta) e Jacques Villeneuve (persa) rispettivamente in Benetton e Ferrari, o il podio più fischiato di sempre quando un ordine di scuderia si sostituì ai valori in pista scippando Barrichello della vittoria del gran premio.

E nelle moto, dove si galoppa su pazzi mezzi a due zampe, la sportellata che talvolta tra i tifosi pare assumere un che di epico, è quel momento in cui chi guida deve dimostrare il massimo coraggio, l’assoluto diniego alla resa, qualunque sia la posta in palio. Perché è in quell’attimo che ti giochi la reputazione, che il tuo nome cresce da pilota (di qualunque capacità) a quello di “grande” a prescindere. Ma di sportellate, strategie, complotti che hanno deciso mondiali la storia è piena.

L’epilogo di questo mondiale è solo un capitolo in più e, per quanto brutto, va valutato come parte del gioco almeno finché qualche giudice non dirà che c’è qualcosa in più. A Valencia Rossi partirà ultimo ma ci sono ottime possibilità che in pochi giri sia di nuovo nel gruppone dei primi. La differenza, nei primi giri, la farà la capacità di Lorenzo di scappare subito lontano. Se sarà il decimo titolo sarà epico, se no sarà quello “rubato” per i tifosi di uno, quello giusto per i tifosi degli altri. In ogni caso sarà una delle tante scazzottate tra piloti da raccontarsi al bar tra qualche anno. Perché la storia delle moto è piena di colpi bassi da sempre, quello che manca da quindici anni sono il talento degli anni 80 e 90 e lo spettacolo di moto con meno elettronica che sculettano a ogni curva imbizzarite come cavalli selvaggi. E Randy Mamola, che magari lo porti fuori sullo sterrato ma sai già che, la curva dopo, quando ti giri, è ancora lì che ringhia aggrappato al manubrio. E sai che si sta divertendo come un pazzo.

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11 risposte

  1. Alberto ha detto:

    bellissimo pezzo…condivido tutto

  2. Joe ha detto:

    Non fa una piega. Forse l’unico articolo che ho letto in questi giorni che sia veramente obiettivo. Complimenti!

    P.S.:Randy Mamola….. semplicemente N.1!

  1. 23 Febbraio 2016

    […] un kamikaze in una curva, prendendo addirittura il cordolo interno, e volò diritto su Hayden (ne parlammo anche qui). Delirio, nessuna c’ha ancora spiegato tutto […]

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