NBA Finals – Un vincitore, tanti MVP

Most Valuable Players

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L’onore delle armi nei confronti degli sconfitti in questa guerra durata 6 notti e 6 albe italiane è l’assegnazione del miglior giocatore della serie, premio consegnato ad Andre Igoudala. La serie è girata quando è entrato in quintetto e quando Kerr ha deciso che fosse lui a dover quantomeno cercare di arginare quella macchina da basket che è ormai Lebron James. Non credo sia un caso che la stessa cosa sia avvenuta l’anno scorso, seppur in un contesto diverso, con Kawhi Leonard. La scelta quasi romantica di un MVP che non sia per forza il giocatore più rappresentativo della squadra vincente è al tempo stesso una mossa coraggiosa, ma anche giusta (prenda nota l’NFL che troppo spesso invece si adagia su votazioni “noiose”), come sarebbe stato giusto darlo a Curry per quanto fatto nel momento in cui si è decisa la serie, o ancor più romantico nel darlo allo sconfitto Lebron, cosa avvenuta solo al primo anno dell’assegnazione del miglior giocatore delle finali, a Jerry West, nel 1969.

Per definire quanto incida Lebron ci sono mille statistiche, quella più curiosa è quella che ci racconta cosa hanno fatto i suoi compagni di backcourt in quell’8% di tempo in cui James non è stato in campo in questa serie: JR Smith 0/9, Dellavedova 0/7, James Jones 0/3, Shumpert 0/2, un complessivo 0/21 illuminante.

In questo resoconto manca Kyrie Irving: alzi la mano chi avrebbe pensato che Cleveland su quell’infortunio nell’overtime di gara1 che l’ha tolto dalla serie, potesse non solo vincere due partite, ma trovarsi tatticamente e mentalmente in vantaggio e favorita nella corsa al titolo. Perché quella era stata la sensazione dopo gara 3. Non era tanto l’essere avanti 2-1 o l’aver portato dalla propria un fattore campo che i Warriors avevano difeso 48 delle 51 volte in cui erano scesi in campo alla Oracle Arena fino a quel momento: era proprio un contesto tattico in cui Golden State non sembrava più trovare i propri punti di forza, aveva consegnato il ritmo in mano agli altri e questo faceva tutta la differenza del caso.

In una gara 3 stranamente poco equilibrata abbiamo visto una quasi rimonta quando Kerr ha sbrinato David Lee, in realtà però il cambio di marcia non c’è stato inserendo un lungo in grado di aprire l’aerea e far girare meglio la palla, il coach dei Warriors ha portato dalla sua ritmo e serie togliendo completamente l’idea di lungo dal quintetto iniziale, buttando in campo Igoudala nei primi 5 (cosa che non era mai avvenuta in tutte le altre partite della stagione) e recuperando prima mentalmente poi tecnicamente Draymond Green. Abbiamo salutato Bogut (dopo un cameo da 3 falli assassini in 3 minuti di “qualità”) e i non lunghi californiani hanno sofferto molto a rimbalzo (ma con Tristan Thompson la cosa era successa comunque nelle prime gare), ma la difesa pressoché perfetta di inizio serie di Cleveland si è trovata spiazzata ed è cambiato tutto. Piccola riflessione personale: buffo però che non sia stato dato alcun merito a Blatt per la prima parte della serie, in cui aveva sostanzialmente imbrigliato i migliori, mentre mi pare di capire sia stato aspramente criticato dai media americani per la seconda parte, non vorrei addentrarmi in argomenti forse troppo complicati per me, ma sembrano un po’ prevenuti nei confronti del coach di stampo europeo.

E datemi qualche merito, no?!

E datemi qualche merito, no?!

Steph Curry e Klay Thompson hanno vissuto una serie molto difficile ed è qui che è emersa la grandezza di questa squadra, che ha letteralmente dominato l’NBA da novembre a giugno, con la miglior difesa, il miglior attacco, il miglior gioco e il miglior giocatore: l’MVP stagionale ha quanto meno sfoderato sprazzi di dominio (ricordo il secondo quarto di gara1) e in sostanza ha tenuto la prestazione da cinque stelle per la gara che ha girato la serie. Gara 5 è stato il momento più alto di queste Finals, lui e Lebron hanno dato vita ad un duello da pesi massimi, si sono “presi a pugni” al centro del ring, quell’instant classic (come amano definirlo gli americani) che aspettavamo dall’inizio della serie e che sostanzialmente l’ha decisa.

Lebron quando ha deciso di tornare a casa di certo non si aspettava di giocare in una squadra che alla fine era la brutta copia di quella Cleveland che lui aveva lasciato, gli infortuni hanno decimato la sua squadra proprio nei giocatori che dovevano rappresentare il secondo e il terzo violino dei Cavs 2015-2016. In un contesto tecnico quindi molto povero e molto simile a quelli che l’avevano indotto a portare i suoi talenti a South Beach, il suo impatto è stato però ancora più superiore, per certi versi più maturo e grazie a quasi una tripla doppia di media (35,8 punti, 8,8 assist, 13,3 rimbalzi) offensivamente è riuscito a cavare ben più del classico sangue dalle rape; sarebbe bastato avere almeno un compagno in grado di tirare con il 40% per avere un finale diverso. Shumpert (25%), JR Smith (31%) e Dellavedova (28%) con tiri sovente costruiti proprio da Lebron stesso, l’hanno lasciato solo, come non ci si sentiva da anni. L’australiano per lo meno ha messo in campo altro (oltre che commuovere mezzo web dopo gara3), i primi due hanno poche scusanti se non il fatto che si sono trovati a dover coprire un ruolo causa infortuni altrui che è più grande di loro.

A proposito di commuoversi, questa volta non in senso ironico, se c’è un giocatore che in queste Finals merita un pensiero speciale è Shaun Livingston: il cambio di quintetto a metà serie ha raddoppiato i suoi minuti, ma non è questione di cifre (benché in gara 6 ha portato il suo bel mattoncino specie nel quarto finale), siamo davanti ad un giocatore non ancora 30enne, che in una vita precedente, circa 10 anni fa, stava facendo innamorare gli hipster del basket (ancor prima che il termine hipster venisse coniato), poteva diventare tutto ed un infortunio tremendo ha rischiato di farlo diventare niente, si parlava addirittura di amputazione della gamba. Shaun invece è tornato ed ha iniziato a girare mezza NBA, nel fine della stagione 2009/2010 a Washington in poche partite ha iniziato a dimostrare che poteva starci ancora in mezzo a questa Lega, un ruolo più marginale, più situazionale, ma poteva giocarsela. Non è l’uomo copertina di questi Warriors, ma non si può non essere felici per lui: a volte la vita restituisce ciò che ci aveva incautamente tolto.

Most Valuable P...ercorso

Most Valuable P…ercorso

azazelli

Da giovane registravo su VHS tutte le finali di atletica, mondiali ed olimpiadi, poi m'hanno cancellato il record di Donovan Bailey con Beautiful e mi sono dato al download. Vivo di sport, cerco di scriverne.

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5 risposte

  1. mlbarza ha detto:

    Sono clamorosamente di parte in quanto simpatizzante Warriors, ma non posso che essere contento per l’epilogo di queste finali. Ha vinto la squadra migliore della lega, nel vero senso della parola, in grado di trovare soluzioni alternative quando le prime (e forse anche le seconde) opzioni non funzionavano.

    Dall’altra parte c’è stato davvero solo un uomo solo al comando, autore di una serie ai limiti dell’impossibile, circondato fondamentalmente da 3 “scappati di casa”. Non sapremo mai cosa sarebbe successo se ci fossero stati anche Irving e Love, in positivo o in negativo, ma vanno fatti i complimenti allo staff tecnico dei Cavs per aver imbrigliato, almeno per un po’, i Warriors.

    Forse il premio di MVP andava dato a Lebron, ma non è scandaloso l’abbia vinto Iguodala, capace non solo di “rallentare” un po’ il mostro col 23 in difesa, ma anche di fare tante giocate importanti in attacco. Non ha certo fatto i canestri decisivi di gara 1, o il quarto periodo di gara 5 che ha fatto Curry, però è stato a suo modo importante.

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