Se il Carpi lascia Carpi…

Questo è un pezzo degno de L’ultimo Uomo e, ovviamente, non ci riferiamo alla qualità ma alla quantità; la durata e la dimensione, insomma, per dirla alla Rocco Siffredi anche lui, a modo suo e nel suo mondo, un ultimo uomo. Di sicuro c’è che, se riuscite a leggere tutta l’inutilità di The Legend (sì, lui, il Roby Baggio d’America..), riuscirete a terminare anche l’inutilità del presente. Questo è un pezzo che nasce dall’idea di soffocare tutta la merda che sta riempiendo i social network, in particolare “il” social network, quello che la S maiuscola, quello che ci fanno anche i film, quello che meglio rappresenta il malessere della società occidentale e che ti fa dire che, in fondo in fondo, se i Maya ci avessero azzeccato, un paio di anni fa, l’Universo non avrebbe perso poi tanto. Questo pezzo nasce dalla necessità di spiegare perché, su questo sito, potrebbe non nascere mai una rubrica dedicata al Carpi intesa come squadra di calcio come avevamo promesso (non è vero, non abbiamo promesso nulla ma mettiamo le mani avanti).

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Una cheerleader dei Dallas Cowboys, per darvi un’idea

Nasce per sfogare un po’ di frustrazione perché ovviamente se il Carpi non gioca a Carpi non è esattamente il Carpi. Al tempo stesso urge fare anche chiarezza su quelle condizioni che rendono, a oggi, impossibile giocare in città e perché questo costituisca un problema qua, nel cuore dell’Emilia, ma non sarebbe lo stesso altrove. Al di là della politica e del pensiero di ognuno, in questi mesi abbiamo analizzato, studiato, vivisezionato i post e i pensieri dei carpigiani, soprattutto quelli che “se vai a vedere il Carpi in Lega Pro sei uno sfigato” ma oggi vogliono una copia in miniatura del Cowboys Stadium con tanto di Cheerleaders dei Dallas Cowboys in prestito con diritto di riscatto. Tanto, si sa, il DS Cristiano Giuntoli può tutto. E fortuna che oggi il partito di maggioranza si chiama PD, se no non potremmo più nemmeno riferirci a Giuntoli come DS, pena la gogna mediatica sul “The” social network. Andiamo quindi mettere a i paletti là dove vanno messi, ragionando con obiettività, certo, ma non abbandonando il nostro concetto di sport professionistico che tanto deve all’evoluzione sportiva degli anglosassoni (che sarà anche calcio moderno ma è anche trasparenza, equilibrio e impianti degni di nota).

Questo significa che non siamo a favore del comune ma contro la società calcistica. Non contro perché è rappresentata da Mr. Gaudì, ma contro perché crediamo che quando si parla di nuovi impianti questi li debba fare la squadra (intesa come società) e debbano essere di sua proprietà. Lo pensiamo da sempre, non cambiamo idea oggi che ci farebbe comodo farlo al fine di poter sbraitare contro la classe politica e minacciare una reunion delle BR. Lo pensiamo non solo per il Carpi ma per tutte le società di calcio e se questo significasse avere solo 20 squadre professionistiche in Italia beh, pazienza, ce ne faremmo una ragione. Ma che nel 2015 si possa continuare a pensare che il Pubblico debba investire soldi nel professionismo lo consideriamo un ragionamento quanto meno fuori tempo massimo. A meno che il “modello inglese” non vada bene solo per sproloqui deviati dall’alcol in pizzeria che inevitabilmente si chiudono con l’amico dell’amico dell’amico del nostro vicino di casa che ha un parente in America che ha studiato in Inghilterra con Elton John che gli ha raccontato che la moglie del centravanti del Chesterfield della stagione 88-89 aveva due vagine. Ed era lesbica. E se vi state chiedendo perché parliamo al plurale bene, lo facciamo perché nel giornalismo si fa così, non come Zazzaroni Ivan da Bologna. E noi volevamo fare qualcosa che assomigliasse davvero al giornalismo per fare invidia a L’Ultimo Uomo. Cazzo.

Le regole sbagliate in un paese sbagliato

Partiamo da questo presupposto che rende innocenti tutti i protagonisti che si sono giocati la partita dello stadio: le regole, in Italia, fanno pena. Non basta la “deroga Treviso”, ossia la possibilità di non rispettare certi standard numerici per i comuni sotto i centomila abitanti. La regola base è di per sé sbagliata perché obbliga paesi e paesoni a proporzioni che non hanno senso. Tradotto: se lo stadio Alberto Braglia di Modena, parte integrante di una provincia di settecentomila abitanti, può oggi ospitare 21150 spettatori, quale ragione logica dovrebbe portare Carpi (70000 abitanti, parte dei settecentomila di cui sopra) ad avere uno stadio da 15-16000 spettatori? Qual è il senso della proporzione? Se aggiungiamo il Dall’Ara a 40 chilometri da qua, il Mapei Stadium a 20, il Tardini a 60… è davvero necessario avere un altro impianto del genere? A Carpi basterebbe avere il proprio impianto, senza deroga o altro, diecimila posti per cominciare e si è in regola. Come succede in Inghilterra o in Spagna. Scunthorpe è un postaccio al di là della Manica di 70000 abitanti con uno stadio da 9000 ed è stata la prima città inglese nella quale la società di calcio ha avanzato l’idea di costruirsi lo stadio, renderlo patrimonio dei tifosi e, soprattutto, parte del valore della società. Può, in piena regola, ospitare partite di FA Cup ospitando Manchester United, Arsenal o Chelsea.

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Il maestoso stadio dell’Eibar

Un po’ come succede a Dover, uno sputo in meno di 40000 abitanti, dove il Tottenham Hotspur è andato a giocarsi proprio in questa stagione un turno di Fa Cup con al seguito… un centinaio di tifosi, gli unici in grado di procurarsi uno dei 5745 biglietti disponibili dei quali solo 1010 a sedere, per vedere i propri eroi impegnati contro il Dover Athletic FC squadra della Conference Premier (crediamo di non dire sciocchezze se pensiamo alla nostra Lega D). E ci inginocchiamo di fronte al miracolo Eibar, squadra basca che senza nemmeno l’aiuto delle minacce dell’ETA alla Liga spagnola ha trovato modo di disputare le gare interne dell’ultimo campionato nel maestoso Municipal de Ipuruna, dove Cristiano Ronaldo, Lionel Messi e Fernando Torres si sono dovuti scontrare non solo contro undici avversari ma anche contro l’inferno dei 5250 tifosi locali. Cinquemiladuecentocinquanta. Del resto non si capisce perché una cittadina di 28000 abitanti scarsi dovrebbe avere uno stadio più grande.

Quando pensiamo al problema stadio nelle realtà italiane dobbiamo tenere quindi conto anche delle regole e della burocrazia di base da cui si parte. E le regole italiane, una volta tanto, sono sbagliate salvo poi essere corrette in corsa (si sa, nessuno è perfetto), così, per il gusto di derogare e rimestare lo sterco dentro il quale il paese tutto è impantanato da anni. Si parla di stadi all’avanguardia e di investire sui giovani ma poi, le piccole realtà che potrebbero almeno occuparsi del secondo pezzo, sono stritolate dal costo strutture: o investono in quelle (se non costruisci affitti altrove, con tutto ciò che ne consegue) o nelle giovanili col risultato che non si fa nessuna delle due cose perché le strutture si portano via una bella fetta di denaro. Nel frattempo, a corte, molte grandi attendono con ansia Italia 90 Atto Secondo per mettersi il vestito da gala coi soldi degli altri (nostri). In tutto questo par di vedere una certa inadeguatezza della classe dirigente italiana, intesa come imprenditoriale e non solo politica, ma non vogliamo aprire troppi fronti e ci limitiamo ad osservare, sempre più inermi, il mondo che va a rotoli. Il mondo del Belpaese, sia chiaro.

biscardi

Tutto quello che ha detto questa persona è falso

Tacciamo invece del sistema americano, rischieremmo di confondere le idee a chi è cresciuto a colpi di “moviola in campo” e “tetto salariale” discussi nei vari processi di Aldo Biscardi e Maurizio Mosca, ossia la farneticazione pura, il “giornalismo” degli slogan e del pressapochismo. Solo una precisazione: il riferimento, se si parla di Serie A, non può essere una major americana, sia essa la Nfl o la Nba, perché lì dovremmo prima cominciare a spiegare il concetto di franchigia. Piuttosto si guardi, con le dovute differenze, al sistema collegiale, ma qua sarebbe profondo buio, qualche lettore potrebbe dare di matto e mettersi a sparare dalla finestra. Rimaniamo sulle cose semplici. Ci piace però evidenziare una particolarità: se il Carpi giocherà a Modena o a Parma si chiamerà comunque Carpi. Gli americani, che si sa sono strani, si sparano di continuo e mangiano solo panini, quando hanno spostato i Lakers dal Minnesota a Los Angeles hanno pensato bene di chiamare la squadra (indovinate un po’…) Los Angeles Lakers. Anche se i laghi non c’entrano una beneamata fava.

Da sempre provincia non abbiamo…

modena

Una cartina sbagliata

Che problema c’è ad andare a Modena? Sentiamo già la domanda giungere dal fondo della sala, da quel ragazzo pugliese che sarebbe salito in B due stagioni or sono se non si fosse trovato di fronte la storia che il più grande Carpi di ogni epoca stava cominciando a scrivere. Sono solo venti chilometri. Già, il problema non sussisterebbe quasi in nessun angolo d’Italia ma a Carpi le cose sono diverse. Il senso di appartenenza dei tifosi nel rapporto con la città è altissimo e la forma di campanilismo, sopratutto sportiva, verso Modena raggiunge livelli inenarrabili. Insomma, i carpigiani, se parliamo di calcio, col Modena non vogliono avere a che fare. O, meglio, i pochi veri tifosi del Carpi non vogliono, ma di fatto sono proprio loro quelli che ci interessano oggi, non tanto per creare distinguo con l’occasionale, quanto per specificare, se ce ne fosse bisogno, che a buona parte della popolazione importa una sega del Carpi, della Serie A e di Jerry “the magician” Mbakogu.

Modena rischia di essere un problema di ordine pubblico, soprattutto quando in città si presenteranno squadre come Lazio e Genoa, oltre alla perenne possibilità di scontri tra carpigiani e modenesi stessi. Inoltre è una scelta contro natura. E’ ovvio che questo problema non lo hanno avuto quelli dell’Albino Leffe o del Chievo (che è un quartiere e mica si può fare uno stadio per un quartiere, al massimo si fa un referendum a Verona e si abolisce il Chievo), ma Carpi ha una sua storia, una sua base secolare di tifosi, per pochi che siano. A Carpi è nata la prima squadra di calcio della provincia, una provincia disconosciuta calcisticamente ma che politicamente esiste e della quale Carpi fa parte. Le lotte separatiste degli ultimi anni si sono inasprite ma molti sono convinti che senza il passaggio alla clandestinità di un manipolo di eroi pronto a dare la vita in attacchi militari alla città della Ghirlandina non ne usciremo mai. Attendiamo quindi che il Governo Renzi ponga fine all’obsoleto concetto delle province e dia vita alle contee in pieno stile americano. La contea di Carpi diverrà allora realtà.

A tutti i grandi contestatori delle ultime ore, a tutti quelli che a Carpi non esiste impianto adatto per niente chiedo ora di nominarmi quindici città non capoluogo di provincia che ospitino rispettivamente: stadio di calcio adatto per la Serie A, palazzetto dello sport per la serie massima di tutte le discipline a squadre indoor, piscina olimpica, impianto per il rugby adatto almeno alla serie C e, perché no, impianto che risponda alle normative IAAF per ospitare in futuro la Golden League. Chiedo quindici città perché una o due rappresenterebbero l’eccezione. E comunque dubito ne troviate anche solo mezza, anche solo limitandoci a calcio e palazzetto. Il motivo è semplice: le grandi squadre sportive, in Italia e non solo, si creano nel 98,7% dei casi (percentuale messa ad minchiam ma molto vicina alla realtà) nei capoluoghi di provincia. I rari casi diversi riguardano comunque sempre squadre che poi, dopo una deroga qua e una là, si sono spostate. O sono semplicemente sparite dalla geografia dello sport che conta. In Italia nessuna squadra di calcio che non provenisse dal capoluogo di una provincia ha mai vinto uno scudetto ad esclusione della Pro Vercelli che vinse prima di diventare capoluogo ma anche prima che voi foste nei pensieri dei vostri nonni. In questo contesto, per quanto sbagliato, ha un sua logica che a Carpi si sia pensato al dilettantismo, alle scuole, allo “sport per tutti” e non al professionismo, spostando questo punto sul capoluogo. Del resto Modena sportiva non piace a un ridotto numero di carpigani e nessuno si è mai posto il problema. Poi hanno inventato il calcio e Adamo si è pappato la mela. Il resto lo sapete già.

In altre zone, diverse culture sportive hanno portato a tradizioni che non fossero calcistiche e che riuscissero a coinvolgere tutta la cittadinanza nel corso dei decenni, trovando nello sport risultati che mai si sarebbero sognati. Quando penso a questo penso alla Cantù del basket, cittadina della provincia di Como con 40000 abitanti che si è fregiata di scudetti e di due titoli europei ma che, guarda un po’, nonostante tradizione e blasone gioca le partite internazionali a Desio. Altra città, altra provincia. Non so se questo generi problemi ai supporter locali, di certo li genera in un amico che abbiamo ad Arese ma anche questa è un’altra storia.

Chiusa la parentesi canturina torniamo a noi e ai capoluoghi di provincia. Può pure essere che a Cassino odino i frusinati più di quanto a Carpi si odino i modenesi, ciò non toglie che il paragone Cassino-Carpi non c’entra e quello Carpi-Frosinone sembri una trovata da Studio Aperto, un riempitivo per non parlare di cose serie. Dice: Frosinone fa 40000 abitanti e rifanno lo stadio. Già, ma Frosinone fa provincia. Frosinone ha un bacino di 400000 abitanti, ovvero quando uno zero in più cambia la storia. Frosinone non è sotto la cappella di una cittadina che si prende tutti i tifosi locali (Modena), che ha la serie A in 3 stadi rispettivamente a venti, quaranta e sessanta chilometri. Frosinone aveva uno stadio da 10000 spettatori e, in B, lo riempiva. A Carpi contro il Lanciano due settimane fa sembrava una gara a chi toccava meno la palla in mezzo stadio deserto. E il Carpi era già in fase festeggiamento, tant’è che i pochi tifosi erano tutti ubriachi. E a Frosinone c’è il mare.

A guardare sempre l’erba del vicino poi si scopre che c’è un motivo, a volte, se questa è più verde e probabilmente più buona. Si scopre che se sei una realtà come Carpi o dietro c’è il signor Mapei, che sta giocando al Subbuteo con le persone vere e si è comprato la confezione con le tribune e le luci artificiali, o sei nella merda. E dietro Carpi c’è il vuoto. Il che significa che non hai garanzie sullo stadio né oggi né, soprattutto, domani quando il vetusto Stadio Sandro Cabassi non andrebbe bene nemmeno per la B e, più avanti, per la Lega Pro.

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Da Scazza

Dietro non c’è nulla perché il Patron non ha mai fatto segreto di non voler restare alla guida della società per sempre e, a dire il vero, nemmeno per troppi anni ancora. Il trasloco penalizzerebbe la squadra, salvarsi sarebbe difficilissimo. Retrocedere subito sarebbe devastante per il clima, le ambizioni e la possibilità di creare una base di tifo per il futuro. Giocare una eventuale B ancora fuori da Carpi significherebbe stadio deserto, qualunque impianto si scelga. E questo si tradurrebbe in pochi anni in Lega Pro e probabile scomparsa della squadra (di nuovo). Dopo ci ritroveremo in D nell’ottimo Sandro Cabassi in 400, mille per i playoff: mancheranno molti di quelli che oggi chiedono di comprare il Meazza a Milano e portarlo qua, nel parcheggio delle piscine dove il piadinaro Scazza, oggi imperatore dei fast food della tangenziale, servirebbe le tifoserie di Lugo, Cento e Massa Lombarda. Il problema quindi non è solo cosa fai oggi, ma cosa farai domani. E qua nessuno sembra saperlo. Ciò che sappiamo è che più di tutti sono quei 400 che c’erano dopo il fallimento della società a meritarsi il Carpi a Carpi. Più di noi che scriviamo, più di tutti quelli che ballano a casa Zuckerberg con una mano tra le palle e nell’altra una soluzione per tutti.

Il problema è quello: possiamo discutere di tutta la scarsa lungimiranza che ci ha accompagnato negli ultimi 30 anni di governo locale ma la verità è che nessuna realtà italiana simile alla nostra vive alle condizioni che si sentono vaneggiare in giro. Perché da sempre provincia non abbiamo e, forse per quello, manco lo stadio e il palazzetto. Una proposta sensata, più che uscire dalla provincia, sarebbe quella di diventare repubblica autonoma come San Marino, un paradiso fiscale che alla fine ospiterà persino le Olimpiadi del 2032.

Figli di un dio minore

cabassi

Questo a Carpi ci starebbe bene

Il palazzetto dello sport. La pallavolo femminile che arriva nella massima serie. La pallamano che lotta per lo scudetto e gioca in Europa. E’ vero, è scandaloso che a Carpi non ci sia niente che vada bene. Un maledetto palazzetto a norma potevano farlo. Certo, poi uno guardava ai 100 paganti della pallavolo e i 15 della pallamano e i discorsi di chi oggi esorta il Sindaco a immolarsi per il Maracanà locale sarebbero del tipo: ma con tutte le buche che ci sono in strada ‘sto idiota spende milioni per quattro coglioni?? Maledetti, bastardi, sciacalli, casta, vergogna!!! Ovviamente il dibattito si chiuderebbe sul culo delle pallavoliste e le due vagine della moglie del centravanti del Chesterfield edizione 88-89 perché, in fondo in fondo, la verità, è che non ve ne frega un cazzo. Della pallavolo non ve ne frega un cazzo, della pallamano meno. Io ho visto due partite di pallamano a Carpi, sempre conclusesi con tafferugli, e c’era pochissima gente. Non ho mai visto una partita di pallavolo perché la pallavolo mi esalta come una conferenza stampa di De Laurentiis a metà luglio.

Gli stessi che oggi gridano allo scandalo sono quelli che volevano la piscina, poi quando la piscina è in arrivo non va bene per la pallanuoto (praticanti in città? Tredicimila almeno…), poi però se ci sono i soldi per la piscina allora da qualche parte ci devono per forza essere quelli per lo stadio, nascosti nel cassetto di un assessore che prende millemila euro al giorno per non fare un cazzo. Capiamoci. Comprendo la rabbia e la frustrazione di tutti, ma come già ribadito in altre sedi questa è dietrologia e, per quel mi riguarda, è una roba che schiferebbe persino la punta del Chesterfield 88-89, uno che di robe strane ne ha viste. Almeno due insomma. Ma strane forti però.

Dietrologia perché lor signori usano strumentalmente i casi sopracitati per la questione Cabassi. Ora, io mi interesso il giusto di certe cose, ma non ricordo manifestazioni, pagine Facebook, incontri pubblici, raccolte firme per impedire che LiuJo e Terraquila si spostassero da Carpi. Moti di piazza per chiedere a gran voce che si costruissero impianti ad uso professionistico, che si fermasse questo scempio che spegnerebbe una città uccidendola (le serate in cui giocava la pallavolo, quelle sì erano grandi… peccato che ci fosse sempre una partita della serie C scozzese su Sky da guardare scorreggiando in faccia al gatto sul divano o un torneo di Asso al Bar Firenze a cui, beh, non si poteva proprio mancare). Fossimo veri appassionati di volley femminile più che del culo delle pallavoliste saremmo piuttosto incazzati contrariati verso voi calciofili paladini dell’ultima ora degli sport minori.

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Un’azione di pallamano. Rilassatevi, più dell’ombelico non si vede

Invece il tutto si ridusse ad un articoletto sulla Gazzetta di Carpi e poco altro. Il 90% di chi (ma soltanto oggi) contesta la deportazione di massa degli atleti di sport minori carpigiani non sarebbe in grado di snocciolare più di 2 nomi per roster; il 75% della popolazione non ne conosce uno. Non è questione di giusto o sbagliato, ma se la società calcistica ha il diritto di guardare al proprio interesse finanziario, questo vale anche negli altri sport e i due sopracitati muovono un interesse nei tifosi, e di conseguenza in sponsor e diritti TV, quindi finanziario, che spesso rasenta lo zero virgola. Queste polemiche ricordano un po’ noi, figli di un dio minore, quando Sky abbandonava la Nfl o dall’altra parte del mondo decidevano di spegnere Espn America (non lo abbiamo scordato merde!). I numeri contano, i soldi di più, è un ragionamento di merda ma qui, ora, non abbiamo tempo di fare lezioni di equosolidarietà e ridiscutere l’intero sistema capitalistico che la gente sembra non condividere solo quando gli si rivolta contro.

Per qualcuno sarà normale che lo Stato spenda milioni per avere scherma, atletica e ping pong alle Olimpiadi ma per noi no. In uno Stato sempre più povero, con sanità e scuola allo sbando, riteniamo, senza timore di scadere nel populismo o nella demagogia, che una medaglia d’oro in meno non offenderebbe nessuno. Ma già che ci siamo chiediamo che a Carpi sorga una scuola di scherma, una di Pentathlon moderno e una di curling. Noi ci prodigheremo per creare una squadra di football americano chiedendo a gran voce uno stadio da almeno 8000 posti per la sola palla ovale e assolutamente incondivisibile con i rugbisti (le porte sono diverse). Del resto siamo figli di una generazione che si batté per avere una montagna finta a Bologna affinché Alberto “l’Ariete” Tomba potesse allenarsi a casa sua! Sarebbe stata un’ottima idea commerciale visto anche quanti bolognesi avrebbero potuto raggiungere le baite a duemila metri di altezza senza uscire dalla città. Peccato che quelli di Casalecchio di Reno non vollero andarsene. Maledette caste comunali!

I soldi li metta il comune!

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Dal salotto di Squinzi

Alla fine della fiera però il problema è proprio quello: i soldi ce li deve mettere il Comune perché sono le nostre tasse e perché continuare a pagare il Cabassi è una stronzata e fanculo al patto di stabilità che tanto non sappiamo nemmeno cosa sia. Giusto? Diciamo che il discorso, in un mondo perfetto, avrebbe un senso e che il mondo perfetto, in questo caso, è quello dove la tua squadra ha una tradizione fatta di Serie A e Serie B ormai da decenni con un seguito importante di tifosi. Oppure, per assurdo, dove c’è una proprietà che ti garantisce, non sappiamo come, che investirà e investirà sino alla Champions League. Diversamente, e senza garanzie, non si vede il motivo per cui un comune dovrebbe investire in una struttura che, potenzialmente, tra tre anni potrebbe servire una squadra di Eccellenza allenata da una cariatide che nel 1988 faceva la punta in Inghilterra al Chesterfield. E’ legittimo chiedere uno sforzo, ci mancherebbe, ma questo può tradursi solo in terreni, parcheggi, agevolazioni burocratiche e non solo. Gli stessi che oggi inveiscono pretendendo uno stadio pagato coi soldi di tutti dimenticano che la stragrande maggioranza di questi “tutti” non vuole sborsare un centesimo per lo stadio, di conseguenza una giunta non può, o non dovrebbe, agire contrariamente al pensiero della maggioranza anche se questa, come al solito, è più silenziosa della minoranza.

Cosa direbbero gli irriducibili sostenitori dello stadio a tutti i costi se fra tre, quattro, cinque anni, per qualunque ragione, la società fallisse o, semplicemente, retrocedesse fino alla Lega Pro; cosa direbbero di una cattedrale nel deserto con 5-600 paganti e nessuno più assolutamente in grado di sostenere le spese di mantenimento del Camp Nou in salsa carpigiana? Con ogni probabilità scomparirebbero, i peggiori rovescerebbero la frittata accusando la malapolitica e trincerandosi dietro la memoria corta della gente e la mancanza di screenshot fatti per sbugiardare la loro patetica incoerenza dettata oggi non dal buon senso ma, troppo spesso, da ragioni politiche o ideologiche. Se si pensa sia colpa della mentalità del Centrosinistra ci forniscano i 15 esempi di cui sopra legati solo a giunte di Centrodestra. Lungi da noi difendere a spada tratta una classe dirigente che paga comunque più le scelte del passato e una crisi non indifferente, argomenti sui quali è esercizio ormai inutile ripetere alla nausea come un mantra. Non c’è preghiera che possa far piovere nel deserto.

La colpa è di tutti, ha detto qualcuno, e la verità è probabilmente questa. Delle amministrazioni comunali, di chi ha svenduto tre generazioni di tifosi in quel di Ferrara, ad un passo dal paradiso (Carpi-Monza 2-3), di chi si occupa prima di arrivare in alto e poi di come starci, di chi non vuole mettere i soldi, di chi non vuole fare accordi ma fa solo scena, dei padroni di ieri e di quelli di oggi cui i tifosi, semplice pubblico pagante, non possono far cambiare idea perché i soldi, anche in periferia, anche lontani dal calcio moderno, pesano più della passione. E che noi si preferisca il modello inglese per quello che è, per quello che rappresenta proprio nelle periferie lontane dalla brillantina e le minigonne della Champions League e dei milioni di euro, poco conta perché oggi non sapremmo come tradurlo in questa situazione, figlia prima di tutto del contorno che la ospita: la Repubblica delle Banane.

Vedi Parma e poi vedi tu

Si dà per scontato che la fuga sarà Modena, ma per molti è più probabile che sia Parma perché alla fine, per qualche ragionamento di mercato (soldi), conviene di più. Ma forse sbagliamo, forse sarà Modena. Non ci dispiacerebbe Parma, faremmo come quelli di Boston che fanno 70-80 o a volte più chilometri per andare allo stadio e saremmo in un clima spesso meno ostile di quello che ci attenderebbe sotto la Ghirlandina. Solo faremmo veramente fatica a chiamarla Carpi quella squadra; lo sappiamo, la maglia, i colori, la passione… ma cazzo è Parma eh! Toglierebbe tutto. La coesione, il prepartita, vedere le facce note di ogni settimana, una birra in compagnia, la passeggiata a piedi fino al Madera, da solo o con amici, quattro cazzate e poi dentro! fino alla fine.

Perché se anche i laghi non c’entrano più una fava sarebbe paradossale vedere che oggi, allo Staples Center di Los Angeles, ci giocano i Minneapolis Lakers. A meno che non sia un anno transitorio. A meno che, qualcuno, domattina non ci dica che, sì, ci sarà un anno di purgatorio, ma poi torneremo a Carpi, la terra dei “fagiani”, a detta di chi ci snobba o mal sopporta, ma è la nostra terra. Quel lembo umido e nebbioso che si incastra tra modenese e reggiano, che è incazzato coi mantovani e non sopporta il capoluogo di provincia, quel paesone che ha una cadenza di dialetto emiliano che c’è solo lì, che non c’entra nulla col mondo ma ha mille storie da raccontare e da quest’anno una in più, quella del Carpi Football Club 1909, già AC Carpi, AC per gli amici. Quel pezzo di terra che se non ci sei nato ti chiedi come fai a rimanerci, che ha dedicato un brutto monumento ad un grande correggese adottato (no no, non è Ligabue) per farlo correre e vincere, correre e vincere fino alla squalifica di Londra. Da un secolo aspettavamo che tagliasse il traguardo. E non ci sarà giunta, Patron, stadio, città che cancellerà il suo arrivo: quest’anno e per sempre.

Gli ImmortAli

CARPI, ITALY - APRIL 01: Antonio Di Gaudio # 11 of Carpi FC celebrates afer scoring his team's second goal during the Serie B match between Carpi FC and Bologna FCat Stadio Sandro Cabassi on April 1, 2015 in Carpi, Italy. (Photo by Mario Carlini / Iguana Press/Getty Images)

ImmortAli

Li hanno ribattezzati così: immortali. In un certo senso ha il suo fascino che il Cabassi chiuda la sua storia mentre capitan Porcari alza al cielo la coppa del primo trofeo di Serie B vinto dal Carpi (lo stesso numero di quelli vinti dal Grande Modena, tra l’altro). Domani non avremo più nulla forse, ma la vita non è legata allo sport, non è legata a una squadra di calcio o di baseball, non è una palla che rotola su un campo verde. Uno sport così obsoleto e sporco come il calcio in giro non si trova, ma troppa poesia della nostra malandata Italia si è scritta dietro le imprese e le tragedie legate a questo giochino un po’ banale. Il primo Genoa, il Grande Torino, i campioni del 1982, l’Heysel… ma oggi le uniche liriche degne di nota sembrano uscire proprio da quei campetti di periferia, dove i giocatori guadagnano poco, gli stadi fanno schifo, sono in centro e senza vie di fuga e i calciatori famosi non passano mai.

La storia dello stadio ci sta togliendo la gioia di un’impresa che, comunque vada a finire, è troppo grande per essere cancellata. Questi due anni hanno riconciliato chiunque con il futbàl, almeno da queste parti, dove tirare fuori il terremoto e le sue tragedie sarebbe sin troppo semplice, soprattutto oggi, 20 maggio, terzo anniversario del sisma. Ma ognuno ha le sue tragedie e i suoi drammi e nessun Super Bowl, anello NBA, titolo della F può cancellare. Figuriamoci una passeggiata in A. Questa squadra ha però unito, ha cementato abitudini e appartenenza. In un crescendo esaltante che fa sì che questi due campionati di B è come se fossero in realtà lo stesso torneo giocato sempre di corsa, con l’ansia di non arrivare, una lunghissima e interminabile maratona con in mente il Dorando Pietri che crolla alla fine, con i timori di Lotito, le bestemmie lanciate ad Ardemagni, i tre derby vinti e quello pareggiato all’ultimo, le batoste rifilate al Palermo, la rimonta di Brescia, le 4 sberle al Perugia, la cavalcata di fine 2014. E poi la primavera. Gli scontri diretti stravinti. L’urlo con l’Avellino, i 15 minuti di KL15 a Vicenza, Pasciu che sguscia da dietro le linee del Bologna, Mister Castori che salta con noi.

Questa impresa non ha un volto, è una leggenda che tra 50 anni nessuno riuscirà a spiegare, perché quella notte col Bari diranno di esserci stati tutti e settantamila i carpigiani residenti, neonati inclusi, e sorrideremo, se ce ne sarà dato modo, di fronte ad una bugia trasformata in fiaba per bambini, mentre il Carpi del futuro correrà di nuovo su campi di periferia sperando di riscrivere, un giorno, un’altra storia così. E già sai che quando sarà il momento questa squadra verrà accolta nell’Olimpo del calcio insieme ai grandi di ogni tempo, che il nipote di Buffa ne racconterà le vicende su Sky facendo commuovere i bambini come quando Ligabue cita Oriali nella solita orgia di zucchero filato e buoni sentimenti utili alle imprese da manga sportivi. Una squadra senza i soldi di Squinzi, lo stadio degli Agnelli, le figurine dei Moratti, il potere dei Lotito. Una squadra che non potrà mai sperare nello “spalmadebiti” o in Mister Tod’s che salta a piè pari da C2 a B come compensazione di uno squallido rito politico di cui il calcio italiano è pieno, scippando squadre più meritevoli.

Succederà tutto, ma forse succederà tutto lontano da Carpi. Quello che è già successo però ci ha portato a invadere il terreno di gioco dopo 90 minuti di pioggia, quando il fato, che talvolta sembra avere una forza che puoi persino toccare, ha chiuso i rubinetti del cielo e siamo arrivati sotto la tribuna, in mezzo a gente impazzita e musica assordante e fuori da ogni logica. Lì, dove abbiamo quasi pianto e dove non riuscivamo a esprimere più di un “wow” come sms. Ma dietro quel “wow” c’è rinchiusa tutta la corsa cominciata dal gol di Mehdi Kabine a Lecce. Lì, quasi inginocchiati dentro l’area di rigore dove Pasciu ha bucato il Bologna e Jerry il Brescia con un sontuoso pallonetto, lì, dopo aver abbracciato il grande assente, Chico Concas, anche lui partecipe della festa più bella, anche lui padrone di un pezzo di storia. Del momento più alto.

E se ripensi a quei momenti capisci che non guardavi al domani, non guardavi allo stadio. E pensavi che Modena o Parma, la storia, quella vera, sarebbe stata scritta invece all’Olimpico di Roma, all’Artemio Franchi di Firenze, al San Paolo di Napoli, al Bentegodi di Verona contro l’Hellas, all’Olimpico di Torino, allo Juventus Stadium di Torino. E allo Stadio Giuseppe Meazza in San Siro, Milano. Lì dove il risultato non conta perché la vittoria è esserci arrivati. Con gli Immortali. I pensieri si spengono e senti dentro la testa solo quel suono continuo, quella musica che pulsa, quel coro che è una sentenza e che va oltre l’odio, il campanilismo, l’appartenenza. E’ quel coro che ha spinto gli Immortali verso la certezza. Che ha spinto un piccolo popolo di tifosi a crederci, ogni sabato sempre di più. Che ha spinto Dorando all’oro Olimpico. E ricominci a cantare mentre ti si accende un sorriso un po’ amaro, un po’ scemo.

Ma tanto già lo so

che l’anno prossimo

gioco all’Olimpico…

“L’unica cosa che mancava era Ian Ure che inciampa su se stesso, e mio papà, che continua a mugugnarmi accanto”

Nick Hornby, Febbre a 90°

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7 risposte

  1. angyair ha detto:

    No no, che modena e modena (rigorosamente con la minuscola), il Carpi deve giocare a Carpi! O al massimo a Parma. 😀
    Ma proprio nessuna speranza di un piccolo ampliamento con riammodernamento?
    In provincia qui si è vissuta una situazione simile quando è salito in B il Gallipoli e non avevano l’agibilità per lo stadio (tra l’altro uno dei primi in Italia con sintetico): un anno a Lecce, difficoltà societarie, personaggi ambigui al comando e l’anno dopo la squadra è sparita e ora è ripartita dalla Prima Categoria se non erro.
    E nella mia città (ora meno di 15000 abitanti) abbiamo vissuto una cosa simile con il palazzetto per la pallavolo (mi sa da 3000-3500) costruito per l’arrivo in B1 e finito che la squadra aveva ormai ceduto il titolo sportivo. Ora naturalmente è inutilizzato.

    Ah….Lotito merda per finire che ci sta sempre bene.

  2. Drugo ha detto:

    Bel pezzo, appassionato e interessante. Godibile dall’inizio alla fine nonostante la lunghezza.
    Ma, francamente, su questa cosa qui non posso essere d’accordo: “Per qualcuno sarà normale che lo Stato spenda milioni per avere scherma, atletica e ping pong alle Olimpiadi ma per noi no. In uno Stato sempre più povero, con sanità e scuola allo sbando, riteniamo, senza timore di scadere nel populismo o nella demagogia, che una medaglia d’oro in meno non offenderebbe nessuno.”
    Abbi pazienza, già c’è un divario vergognoso tra il calcio e i cosiddetti “sport minori” se ci mettiamo a tagliare pure i pochi contributi che arrivano loro. Aboliamoli del tutto che facciamo prima.

    • chinabowl ha detto:

      Drugo, lo Stato non passa pochi contributi, lo Stato stipendia attraverso i corpi delle forze armate e non solo, centinaia di atleti e staff. Che è diverso da versare pochi contributi. E, sia chiaro, benché adori le olimpiadi ed emozionarmi di fronte alle imprese di Cova, Vezzali, Bordin e via dicendo non posso più condividere in pieno questa formula un po’ Sovietica :d
      Primo perché il 90% delle nazioni al mondo, manco a dirlo, non fa come noi che poi godiamo sul medagliere, secondo perché è un metodo ormai obsoleto. Servirebbe un meccanismo che comincia dalle scuole e poi sfrutta meglio le sinergie pubblico-privato, ma è un discorso complesso e che non vale la pena fare qua.

      • Drugo ha detto:

        Ah beh, su questo siamo d’accordo. Anche io abolirei il meccanismo degli atleti di stato. Il problema è che è uno dei pochi modi che, chi pratica determinate discipline, ha per garantirsi il professionismo. Quello o l’espatrio o riuscire nel miracolo di procacciarsi uno sponsor che non si capisce come se lo potrebbe procurare visto che la visibilità è quella che è. E comunque, rispetto ai fondi destinati al calcio, sono pochi contributi. Senza considerare poi che il calcio è composto da squadre private che quindi non dovrebbero aver bisogno di contributo alcuno da parte statale. E invece ne prendono dieci volte più della federazione che arriva seconda nella classifica contributi. Insomma, se c’è da tagliare da qualche parte io taglierei quantomeno in maniera proporzionale ai contributi versati.

  3. chinabowl ha detto:

    Che il calcio, soprattutto in Italia, sia una vergogna senza fine non è un mistero. Il motivo per cui le squadre succhiano tanto è perché sono proprietà di grandi famiglie di imprenditori che, volenti o no, anche con le aziende di famiglia sono stati un tantino abituati all’aiuto di Stato, magari quello che nelle pubblicità chiamano “incentivo”. Purtroppo, spesso, la mentalità è quella…

  4. azazelli ha detto:

    M’ha divertio! E mi hai commosso, non quanto un pezzo di ligabue, ma almeno quanto un passaggio di Chiellini azzeccato (cit.)
    Grazie china, ben ritornato!! #EastCoastTimeVive

  5. azazelli ha detto:

    PS. L’Ultimo Uomo è avvisato 😀

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