Memorie Europee – Francia 1984 – Diavoli Rossi

Cominciamo a raccontare gli europei. Lo facciamo in attesa della nuova edizione di Francia 2016, la prima a 24 squadre con una formula molto simile ai mondiali giocati tra il 1986 e il 1994, comprendente quindi il ripescaggio di quattro delle migliori terze e le gare degli ottavi di finale, mai apparse ad un torneo continentale. La Francia ospiterà gli Europei per la terza volta. Celebriamo il ricordo dell’era moderna, quella che possiamo raccontare, per celebrare i campioni, gli episodi, i simboli e le squadre di tre epoche. Lo facciamo soprattutto per celebrare i ricordi di tre decadi vissute sulle spalle, tra immagini, aneddoti e sogni d’un tempo. O, almeno, cerchiamo di raccontarli per come li ricordiamo. Per il resto c’è Wikipedia.

Capitolo 2 – Diavoli Rossi

Francia 1984, il Belgio, i (miei) grandi favoriti

I (miei) grandi favoriti

Il 1984 è l’anno della Francia. Lo è per l’organizzazione del torneo, la seconda sotto la Torre Eiffel dopo la prima edizione del 1960 e diventerà la terza tra poco più di un mese, lo è perché Les Bleus presentano forse la loro nazionale più forte di sempre in piena forma, lo è perché il loro leader è Michel Platini al top della sua carriera. La nazionale francese è in cerca di rivincita dopo la clamorosa eliminazione dalla semifinale del mondiale spagnolo del 1982 e saranno in tanti a pensare, col senno di poi, che l’alternanza di anni tra mondiale ed europeo abbia fatalmente sfavorito Platini e compagni che, mai come nel 1984, sono apparsi costanti nella propria forza e nell’imporre all’avversario il proprio gioco. L’Italia campione del mondo è alla fine di un ciclo che si chiuderà definitivamente due anni dopo nella pessima trasferta al Mondiale messicano e non è presente in Francia, eliminata in un girone di qualificazione da cui esce vincente la Romania. Gli Azzurri, che per fortuna sono qualificati di diritto al mondiale, altrimenti il rischio sarebbe di guardare anche quelli dal divano, vincono una sola partita, l’ultima, in casa con Cipro (3-1). Prima solo due pareggi e uno 0-3 subito dalla Svezia; fuori casa è un massacro, l’Italia ne perde tre su quattro segnando solo nel misero pareggio di nuovo contro Cipro (1-1).

L’assenza della squadra nazionale mi porta a tifare immediatamente per il Belgio. I Diavoli Rossi sono, in un certo senso, la squadra simpatia del momento. Hanno un’ottima rosa, fatta di giocatori rognosi e fisici, uniti a qualche elemento di buon talento. Alla ribalta, l’unidici belga, ci arriva nel 1980 dove perde la finale contro la Germania Ovest. Due anni dopo, nella gara inaugurale del mondiale spagnolo del 1982, prima partita di una coppa del mondo cui ho la fortuna di assistere e dove, tra le italiche vie, si respira grande antipatia per gli argentini, rei di aver vinto il Titolo dei Colonnelli quattro anni prima, i Diavoli Rossi si confermano realtà di spessore del calcio internazionale. Sarà Erwin Vandebgergh a sbloccare la gara col gol decisivo al 62° e a condannare l’Argentina di Maradona alla sconfitta all’esordio. Il Belgio vincerà il girone ma uscirà mestamente dal gironcino dei quarti di finale sconfitto da Polonia e URSS.

Due anni dopo la squadra di Guy Thys sembra avere le certa in regola per fare benissimo. Conferma più o meno la rosa della trasferta spagnola, con il mitico Jean-Marie Pfaff tra i pali e gente come Gerets, Grun, Lei Clijsters, Vandenbergh e il mitico Jan Ceulemans in campo. Il numero 10 lo porta un certo Ludovic Coeck, detto Ludo. Vincenzo Scifo deve ancora emergere (giocherà col 16) e così il numero simbolo del calcio tocca a lui, uno che fantasista vero non lo è; da giovanissimo Ludo è un attaccante che successivamente verrà messo a centrocampo a fare il centrale per sfondare le difese da fuori area grazie a un tiro portentoso che gli vale, in patria, il soprannome di Boom Boom. Coeck è versatile e pur senza avere gran fiuto per il gol non è raro vederlo giocare, nell’Anderlecht, in appoggio alla prima punta in quel ruolo che fu la mezz’ala. Nel 1983 è arrivato in Italia, all’Inter, e questo è già un buon motivo per spingermi a simpatizzare, ulteriormente per i belgi. Coeck in Belgio è tanta roba: personaggio simpatico, da portare in TV e sui giornali, giocatore di grande utilità, bravo nell’interdizione e nel fraseggio, gran botta da fuori. Uomo intelligente, si racconta, capace di sopravvivere nel calcio professionistico vivendolo come un simpatico accento sulle fasi della vita, capace di parlare almeno cinque lingue, colto e grande leader. Nella gara d’esordio di Spagna è lui ad occuparsi di Maradona, è lui ad annullare il mito. Segnerà anche nella seconda partita con un tirro da fuori area che sorprenderà il portiere di El Salvador (1-0 finale). Arriva all’Inter al posto di Falcao, nella tradizionale lungimiranza della società milanese. Ci arriva, però, tra l’entusiasmo di tutti, in attesa di vedere un altro, nuovo, grande campione in maglia strisciata.

Ma il suo fisico non regge più. Ai Nerazzurri racimola giusto nove presenze in campionato prima della rescissione del contratto per problemi fisici. Lo vuole l’Ascoli, che trova un accordo ma,  i persistenti guai del giocatore, in estate, spingono i marchigiani a non confermare il contratto per la grande delusione dei tifosi. Coeck rientra tra le braccia della patria che lo ama, come bandiera della nazionale e come idolo dell’Anderlecht con cui ha vinto, oltre a svariati trofei nazionali, due Coppe delle Coppe, due Supercoppe Europee e una Coppa Uefa. Durante le qualificazioni a Francia ’84 segna due reti nel girone che il Belgio domina su Svizzera, Germania Est e Scozia. Insieme al portiere Pfaff (Bayern Monaco) è l’unico convocato a non giocare entro i confini nazionali.

Agli europei ci sono anche i campioni in carica della Germania Ovest che si presentanto con Karl-Heinz Rummenigge cannoniere delle qualificazioni (9 gol), la Jugoslavia, il Portogallo, la Romania e la Danimarca che ha eliminato l’Inghilterra, l’altra grande assente insieme all’Italia. Nulla andrà come previsto, dal mio tifo, se non per un dettaglio: Michel Platini. Il Belgio parte forte e stende la Jugoslavia con Vandenbergh e Grun. C’è esaltazione. Ma i Diavoli Rossi sono poi travolti dalla Francia (5-0) e cedono a 6 minuti dalla fine con la Danimarca (3-2) dopo essere stati avanti per 2-0. I tedeschi occidentali, altri favoriti, arrancano a loro volta, sembrano una squadra senza fiato e con poche idee. Esplode solo un giovane talento, un certo Rudi Voeller, che segna gli unici gol della spedizione nel 2-1 contro la Romania. A Parigi, il 20 giugno, un gol dello spagnolo Maceda al 90° condanna i tedeschi all’eliminazione. La Germania non c’è più, i miei Diavoli Rossi cancellati.

Alle semifinali, inserite per la prima volta proprio durante l’edizione francese, approda una sola super favorita: la Francia. I Galletti stanno dominando il torneo soprattutto grazie al loro capitano, Michel Platini, che sta giocando in uno stato di grazia mai visto. Le Roi, Pallone d’Oro l’anno prima, ha 29 anni e non sembra aver mai giocato così bene. E’ leader, ispiratore e arma finale dell’undici allenato da Michel Hidalgo, l’uomo in più. L’unico uomo, forse.

Francia 1984, Trionfo Blues

Trionfo Blues…

Il campionato è suo, l’Europa è sua, tutto il mondo calcistico è ai suoi piedi. A Euro 84 Platini sfoggia tutto il repertorio calcistico esistente, candidandosi al secondo Pallone d’Oro (lo rivincerà, terzo e ultimo, nel 1985) stabilendo un record dopo l’altro per la competizione continentale. In Italia tornerà da campione d’Europa dopo aver segnato nove gol in cinque partite, almeno uno in ogni gara, con due triplette e bucando portieri in serie di destro, di sinistro, di testa, su punizione e su rigore. Una Treccani del calcio. Pronti via e la sblocca al 78° coi danesi (1-0) per poi dare spazio al primo hattrick nel 5-0 sul Belgio. Tre gol anche agli slavi (3-2) e gol pesantissimo contro i rognosi portoghesi in una semifinale che è storia.

Avanti al 24° con Domergue i transalpini vedono già la finale di Parigi quando si riaccende l’incubo dell’eliminazione ai supplementari di due anni prima a Espana 82. Rui Jordão, prolifico attaccante dello Sporting Lisbona, pareggia a sedici minuti dalla fine e gela il Velodrome di Marsiglia all’ottavo dell’extra time. La Francia è in ginocchio. Domergue la risolleva segnando di nuovo al 114° ma è, ovviamente, Le Roi a cancellare l’incubo dei rigori all’ultimo giro di lancette. In finale ci sarà la Spagna che proprio ai rigori ha avuto la meglio sulla Danimarca (errore decisivo di Preben Elkjær Larsen, che dopo l’Europeo volerà a Verona a vincere uno storico Scudetto) ma che finora ha vinto solo una partita, all’ultimo respiro, contro la Germania Ovest. Pareggio per 1-1 all’esordio con la Romania e di nuovo con Portogallo e Danimarca prima della lotteria dei rigori. Non sembra l’avversario peggiore per i padroni di casa. La partita rimane in bilico, poi la sblocca Platini grazie ad una papera di Arconada. La chiuderà Bellone e sarà trionfo. Platini, che un mese prima circa aveva vinto la Coppa delle Coppe con la Juventus, brilla sempre più sotto il cielo europeo. A Torino vincerà un altro scudetto e la Coppa Campioni nel 1985 nella tragica notte dell’Heysel. Trionferà poi a Tokio nell’Intercontinentale vittima di arbitro che annulla un gol stupendo, rimasto celebre come se fosse valido, e per la successiva posa a terra.

Uffa... era buono!

Uffa… era buono!

Gli rimarrà il cruccio del Mondiale, quando a Messico 1986, si presenterà da favorito con la Francia. Segnerà quattro reti nelle qualificazioni per poi esordire, il 1° giugno, contro il Canada. Che qualcosa non andrà benissimo lo si capirà subito. L’altitudine, il clima, il fuso orario, forse anche le scie chimiche, vai a saper tu cosa, ma la Francia non sembra nemmeno lontana parente di quella vista all’Europeo. Soprattutto per via di un Platini non sempre costante, fisicamente un po’ in difficoltà, quasi rallentato. Se ne accorgerà anche lui, grazie all’intelligenza, non solo calcistica, che lo ha sempre contraddistinto. Smetterà di giocare nel 1987, a soli 32 anni. Ai mondiali segnerà all’Italia, agli ottavi (2-0), nel momento in cui la sua squadra sembrava poter ripartire in modo deciso dopo un avvio stentato. Sulla sua strada, in semifinale, ci sarà di nuovo la Germania Ovest e sarà di nuovo una bruciante sconfitta, per 2-0, con le reti di Andy Brehme e Rudi Voller, a spedirlo alla finale per il 3° posto.

A Puebla, dove si gioca per il bronzo virtuale, incontrerà il Belgio. I Diavoli Rossi, dopo il disastroso europeo sono finalmente esplosi. A illuminare la squadra è definitivamente arrivato Vincenzo Scifo, figlio di minatori italiani emigrati in Belgio che qualche anno prima ha rinunciato al passaporto calcistico italiano. Platini, al suo arrivo in Italia, lo definirà il suo “unico e vero erede nel calcio europeo” ma in realtà, pur con quattro mondiali giocati, la stella di Scifo non brillerà mai del tutto, rimanendo un eterno Domenico Morfeo. Il Belgio, in Messico, stenta in avvio, perde coi padroni di casa all’esordio (1-2), batte l’Iraq non senza qualche patema (2-1) e pareggia col Paraguay facendosi recuperare due volte il vantaggio. Arriva terzo ed è ripescato, divenendo quella che tutti immaginano essere la vittima sacrificale dell’Unione Sovietica del futuro Pallone d’Oro Ihor Bjelanov (quando pensate che il Pallone d’Oro a Mathias Sammer sia stato assurdo ricordatevi di Bjelanov) uscita vincitrice proprio dal girone della Francia. Agli ottavi di finale, invece, Belgio-URSS diventa una delle più incredibili ed appassionanti partite della storia dei Mondiali di calcio. Bjelanov apre le danze al 27°, Scifo lo agguanta nelle ripresa. Bjelanov raddoppia a venti minuti dalla fine in pieno stato di grazia, ma Ceulemans è l’occidente che acciuffa di nuovo i compagni del socialismo reale calcistico. Si va ai supplementari e, inaspettatamente, la pressione e la fatica stritolano proprio l’Unione Sovietica: Demol nel primo e Claesen nel secondo tempo aggiuntivo portano il Belgio sul 4-2 prima che un rigore trasformato da Bjelanov (ancora…) fissi il risultato decisivo. E’ un 4-3 leggendario. Non è Italia-Germania, non è una semifinale, non è l’Azteca, ma è sempre un Mondiale di calcio, è sempre in Messico ed è pur sempre una grandissima impresa.

Ai quarti il Belgio passerà ai rigori contro l’eterna promessa spagnola, così come i francesi avranno bisogno dei penalty per battere il Brasile di uno Zico sul viale del tramonto (Platini risponderà a Careca in campo) in una partita che vide i due grandi numeri 10 fallire dal dischetto: Zico nei 90 minuti, Platini alla lotteria. (NB. Quando succedono queste cose vi dovete rendere conto che anche Jerry Mbakogu ne può sbagliare due nelle stessa partita.) In semifinale sarà Diego Armando Maradona (doppietta, uno dei gol va visto e rivisto, ogni sera, prima di dormire) a spedire il Belgio a far visita ai Bleu nella finalina vinta 4-2 dalla Francia. Platini non giocherà, si dice per protesta o, forse, per eccesso di nervosismo. Giocherà altre tre gare di qualificazione agli europei successivi prima di dire basta e ritirarsi con 41 gol in 72 presenze con la casacca della nazionale, pochi mesi prima dell’addio al mondo del calcio. A quella finalina mancherà immensamente anche Ludo Coeck. L’idolo di un intero paese, dopo la breve parentesi in Italia e il suo mesto rientro in Belgio per curarsi, non giocò mai più una partita di calcio. Ancora convalescente, il 7 ottobre del 1985, rimarrà vittima di un tragico schianto in automobile. Due giorni dopo i medici ne dichiarano la morte. Ho sempre pensato che il Belgio sia riuscito a giocare un mondiale così anche sulle ali della rivincita per il compagno scomparso, una di quelle rivincite che, in realtà, non risarciscono mai nessuno. Al massimo diventano belle favole. E, a volte, non è poco. Anche se manca il lieto fine.

Francia 1984, Ludo Coeck all'Inter

Coeck, nella breve parentesi nerazzura

CAPITOLI PRECEDENTI

1 – Italia 1980, Rummenigge

CAPITOLI SUCCESSIVI

3 – Germania Ovest 1988, Kieft

4 – Svezia 1992, Danish Dynamite

5 – Inghilterra 1996, Gazza

6 – Euro 2000, Golden Goal

7 – Portogallo 2004, Rehhagel

8 – Euro 2008, La Rumba de Espana

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13 risposte

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