Memorie Europee – Germania Ovest 1988 – Wim Kieft

Cominciamo a raccontare gli europei. Lo facciamo in attesa della nuova edizione di Francia 2016, la prima a 24 squadre con una formula molto simile ai mondiali giocati tra il 1986 e il 1994, comprendente quindi il ripescaggio di quattro delle migliori terze e le gare degli ottavi di finale, mai apparse ad un torneo continentale. La Francia ospiterà gli Europei per la terza volta. Celebriamo il ricordo dell’era moderna, quella che possiamo raccontare, per celebrare i campioni, gli episodi, i simboli e le squadre di tre epoche. Lo facciamo soprattutto per celebrare i ricordi di tre decadi vissute sulle spalle, tra immagini, aneddoti e sogni d’un tempo. O, almeno, cerchiamo di raccontarli per come li ricordiamo. Per il resto c’è Wikipedia.

Capitolo 3 – Wim Kieft

Kieft, Gli esordi in nazionale

Gli esordi in nazionale

Il campionato europeo di calcio del 1988 è un ricordo piuttosto lucido senza bisogno di repliche e racconti tramandati e deformati che si rincorrono per anni. È il ricordo di una grande e “nuova” nazionale italiana che nasce, giovane e qualitativamente di altissimo livello, è la preparazione ai mondiali di casa, di due anni dopo, è la misura dei tanti campioni stranieri che si stanno affacciando alla Serie A e che ritrovi a dominare, anche in nazionale, in Europa e nel mondo. È l’anno in cui completo l’ultimo album Panini legato a una competizione tra nazionali (terz’ultimo in assoluto, gli altri: Calciatori 1995-96, in società con un obiettore di coscienza genovese, e NFL 2012). Sarà anche l’anno del motorino Ciao, delle Olimpiadi di Seul, a tratti più ridicole del Mondiale di calcio del 2002, e dello scandalo di Ben Johnson. Una delusione. Ma in tutto questo c’è la gioia dei ragazzini che, finito l’anno scolastico, si buttano su due settimane di calcio e sulla raccolta figurine.

I campioni in Italia stanno arrivando, ma qualche bidone e qualche nome strano non ce lo lasciamo mai sfuggire. E così ognuno di noi battezza il proprio idolo, quello che poi nei tornei inventati con Kick Off su Amiga 500 diventa inevitabilmente il più forte. Quello che poi, quando rigiochi la Serie A calciando il pallone contro ad un muro e cercando di pararne il rimbalzo, diventa capocannoniere e magari vince lo scudetto. Così, quando apri il pacchetto di figurine e ti esce lui, impazzisci e gioisci con gli amici, stando ben attento ad attaccare come si deve la figurina. Le altre possono essere un po’ storte, ma lui no: lui deve essere perfetto.

Kieft, Un colpo di spazzola e... cheeeeese!

Un colpo di spazzola e… cheeeeese!

E’ la figurina di un certo Wim Kieft, uno che a volte, se ne parli coi più giovani, ti senti rispondere “chi cazzo è Kieft?” Eppure l’attaccante olandese non va inserito nella serie di tradizionali di bidoni o di gente che arrivava palleggiando le arance ma senza sapere calciare il pallone. Kieft al Pisa è strano quanto Zico all’Udinese pur con le dovute proporzioni e senza fare lo stesso rumore. Il ragazzo di Amsterdam esordisce nei Lancieri che non è ancora maggiorenne. Segna 69 gol in quattro campionati prima di passare al Pisa. È un fallimento colossale. Segna pochissimo e i nerazzurri retrocedono. Lui rimane. Lui, che proviene dall’Ajax di Rijkaard, van Basten, van ‘t Schip, rimane. A farsi la B. E a tornare in A. Grandioso. Passerà al Torino dove concluderà la sua avventura italiana segnando per i granata 8 reti in 19 gare. È lui l’inspiegabile idolo di alcuni ragazzini del tempo che passano i pomeriggi scambiandosi figurine. Tornerà in Olanda, stavolta al PSV, nel 1987-88 giusto per infilare un triplete storico ed essere convocato, dopo una stagione straordinaria, per l’europeo. La sua figurina è il simbolo di quell’album, genera risate tra amici (“’sto scemo è stato a Pisa che se ne fanno agli europei??”, “questo qui giocava in B, scarso!”) e ambizioni di riscatto. Leggiamo in giro i suoi numeri, non capiamo, qualcosa non torna. Perché Pisa? Perché la serie B? E, soprattutto, perché non ti pettini quando sai che devi fare la foto per la Panini? Wim Kieft da Pisa, uno di noi.

L’Europeo del 1988 si gioca in Germania Occidentale ed ha sostanzialmente due grandi favorite: i padroni di casa, vice campioni del mondo, che stanno dando il via ad un ricambio generazionale di livello eccellente e si mettono nella mani di Lothar Matthaus, e l’Unione Sovietica, squadra che molti vedevano già tra le migliori quattro al mondiale messicano e che presenta una selezione di grande talento, schierando alcuni dei propri giocatori più forti di sempre come Protasov, Mychajlyčenko, Alejnikov ed in porta il grande Rinat Dasaev, uno che piace a tutti tranne che a Gianni Brera, probabilmente la miglior firma sportiva italiana, titolo che non equivale in nessun caso all’essere il più grande esperto di qualsivoglia argomento. I Russi del Colonnello Lobanovsky si basano sulla struttura della Dinamo Kiev che nel 1986 ha vinto la Coppa delle Coppe. Hanno perso qualche giocatore ma hanno ancora talento. Lobanovsky costruisce una squadra che si muove all’unisono per tutto il campo, che attacca con sei o sette giocatori alla volta, che ha nei centrocampisti dei tiratori perfetti.

L’Italia è nelle mani di Azeglio Vicini che sarà l’ultimo commissario tecnico federale prima dell’arrivo di Arrigo Sacchi, il quale darà il la ai grandi CT di nome strapagati e straviziati. Vicini dà il via al rinnovamento basando l’ossatura della squadra su quella della sua under 21 che nel 1986 perse la finale degli europei ai rigori contro la Spagna. Il CT lancerà nei suoi anni di governo in azzurro gente come Mancini, Vialli, Maldini, Baggio e ha una squadra, nel 1988, che deve soprattutto misurarsi con l’esperienza per essere pronta alle Notti magiche di Italia 90.

Vicini

Vicini

Pronti via e gli azzurri non si dimostrano pronti: di più. Giochiamo subito con la Germania, a Dusseldorf, gara d’esordio del torneo. L’Italia arriva da un girone di qualificazione brillantissimo. Ha vinto 6 partite, primato che condivide con l’Olanda, subendo solo 4 reti con quella che, più che una difesa, sembra una grande muraglia. Del mondiale di due anni prima rimane solo il capitano Giuseppe Bergomi. In porta c’è Walter Zenga, poi ci sono Franco Baresi, Riccardo Ferri e un esordiente, un certo Paolo Maldini, che ha giocato solo tre amichevoli con la nazionale maggiore ma che giocherà titolare tutto l’Europeo. E non solo quello. Con la Germania prosegue quanto visto durante le qualificazioni; l’Italia è squadra giovane, brillante, dotata di grande qualità e corsa. Contro i tedeschi si gioca senza timore reverenziale e ad un certo punto, anche se per soli tre minuti, si è addirittura in vantaggio grazie ad una rete di Roberto Mancini. Finirà 1-1, ma l’Italia batterà dopo un vibrante match la Spagna per un 1-0 (Vialli) e la Danimarca piuttosto agevolmente grazie alle reti di Altobelli e Gigi De Agostini, terzino della Juventus che Vicini ama inserire spesso più avanzato come esterno di centrocampo, riuscendo a passare il turno in modo strameritato.

In semifinale c’è l’URSS. Esperienza e forza fisica stavolta hanno la meglio. I sovietici hanno una squadra eccellente e sono anche meno macchinosi che in altre occasioni del passato. La partita resta in equilibrio per un’ora, poi su una insistita percussione verticale i russi passano. Due minuti dopo, in contropiede la chiude Oleg Protasov. Nonostante l’eliminazione la gente capisce che qualcosa di importante sta crescendo. Il movimento calcistico nazionale è in fermento, presto si apriranno le porte ad un decennio che vedrà l’Italia sempre protagonista finanche nel nuovo millennio.

Insieme agli azzurri, abbastanza clamorosamente, escono i tedeschi. In vantaggio su rigore i padroni di casa vengono raggiunti dall’Olanda sempre da un tiro dal dischetto. Il fallo concesso dall’arbitro è dubbio (diciamolo: non c’è proprio) e lascia il segno in una partita che diventa nervosa e viene chiusa da Marco van Basten con un grande inserimento in area. Due anni dopo gli strascichi di questa partita saranno vivissimi a San Siro, ottavi di finale del mondiale. Finirà con infami sputi (Frank Rijkaard su Rudi Voller, inspiegabilmente espulsi entrambi) e con gestacci poco educati, ma la Germania riuscirà a vendicarsi con un 2-1 che avrebbe potuto essere decisamente più ampio.

Ma agli europei di casa i tedeschi dell’ovest, che l’anno successivo torneranno ad essere tedeschi e basta, vanno fuori. L’Olanda è in semifinale a fatica, pur avendo una rosa decisamente all’altezza e quel centravanti, quello del Milan, quello che di nome farebbe Marcel ma tutti chiamano Marco, che è qualcosa di impressionante. Insieme ad altri due connazionali darà vita al Milan dei tulipani, quello di Arrigo Sacchi. Il Milan ha appena vinto il campionato dopo anni di digiuno e si appresta a dominare l’Europa. Van Basten ha giocato solo 11 partite e non ha ancora lasciato intravedere nulla del suo vero potenziale al popolo rossonero ammaliato dalle gesta di Ruud Gullit.

Il talento di Utrecht arriva in Italia dopo aver ridato all’Ajax un trionfo europeo segnando il gol decisivo (e unico) nella finale di Coppa delle Coppe del 1987 contro la Lokomotiv Lipsia. Ha vinto tanto in patria ma gli anni 80 non si lasciano troppo guardare, bisogna aspettare. Un campionato europeo, ad esempio. L’Olanda parte battuta proprio dall’URSS, 1-0, all’esordio. Alla seconda partita gli Orange spazzano via gli inglesi, i quali escono malissimo da un europeo che li vedeva tra i protagonisti grazie all’ottimo potenziale  che, al contrario, si tramuta in disfatta con tre sconfitte su tre. Il grande Bryan Robson pareggia il gol di van Basten, ma il cigno di Utrecht ne fa altri due e finisce 3-1. Cominciamo a capire chi sia questo attaccante, che noti subito per il numero, un 12 incollato sulle spalle, un 12 da portiere di riserva. L’Olanda batte poi la bellissima Irlanda del mitico Pat Bonner in un match che è il vero crocevia per il titolo e su cui torneremo poi. In semifinale la discussa e un po’ immeritata vittoria contro i tedeschi proietta gli arancioni in una finale dove non saranno favoriti.

Lo ha fatto davvero

Lo ha fatto davvero

L’Unione Sovietica ha già battuto l’Olanda nel girone ed ha subito due soli gol soffrendo realmente solo contro l’Irlanda che era andata persino in vantaggio grazie ad un bellissimo gol di Ronnie Whelan. Stranamente non guardo la finale. Avrò modo di rivederla, per intero, più avanti, ricordando così una partita non troppo spettacolare, sbloccata in una mezz’oretta da Gullit con la difesa sovietica mobile più o meno come il muro che qualche amichetto del loro vecchio capo aveva deciso di costruire non troppo lontano da lì. Era un sabato pomeriggio. Era Monaco di Baviera. Ricordo esattamente dove mi trovavo, in quale punto, su quale strada, quando un grido uscì da una finestra sopra di noi. Un “gol” urlato in modo assurdo, grottesco, e per di più da un italiano. “Gooooool! Van Basten! Van Basten!”. Non la finiva più. La sera rientrai, guardai il telegiornale e finalmente capii. Attesi il servizio sulla gara e quando mostrarono il gol di van Basten io e mio padre, semplicemente, rimanemmo zitti con gli occhi fissi sullo schermo, probabilmente pensando, senza dircelo, quanto male ci avrebbe fatto quel tipo nei derby contro l’Inter. È una delle immagini più famose del calcio, la conoscete tutti e non la si può descrivere. Potete solo guardarla, è un invito all’anarchismo dei sentimenti. È Marco van Basten, capocannoniere del torneo e, forse, il più grande attaccante di sempre. Certamente il meglio che l’Olanda ha donato al soccer dopo Johan Cruijff, suo allenatore all’Ajax quando vinse la Coppa delle Coppe. In questo tiro c’è tutto van Basten. Di più: c’è il calcio. La sua follia, la sua arte.

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I russi sbaglieranno anche il rigore che potrebbe riaprire la gara con Igor Bjelanov (quando pensate che il Pallone d’Oro a Mathias Sammer sia stato assurdo ricordatevi di Bjelanov) e torneranno in patria sconfitti. Una patria che nel giro di due anni sparirà, fatta a pezzi insieme agli ideali che tentò di rappresentare. Giocherà il mondiale del 1990 con la storica scritta CCCP sulle maglie prima di finire sui libri di storia e dare vita a 15 diversi stati. L’Olanda è campione d’Europa ed è riuscita dove fallì, sempre, la nazionale del calcio totale degli anni 70, ossia vincere un titolo. Non è poco, anche se in campo è tutto un altro vedere. Eppure la squadra allenata da Rinus Michels, a otto minuti dalla fine della terza partita, era fuori dai giochi. L’Eire (l’Eire più forte di sempre) era ad un passo da una storica qualificazione prima che un maledetto colpo di testa cambiasse il suo destino.

Gli irlandesi cominciarono il torneo vincendo il derby contro gli inglesi grazie ad un gol del mitico Ray Houghton, centrocampista del Liverpool e, dopo il 1992, dell’Aston Villa (sì, quello che a USA 94 purgò l’Italia di Sacchi). A sedici minuti dalla fine della gara contro i sovietici, gli irlandesi sono in vantaggio con il gol in semi-rovesciata di Whelan di cui sopra, ma subiscono il pari di Protasov. Rimane l’Olanda e agli irlandesi basta il pareggio per passare. L’Eire fa le barricate, sa che gli olandesi hanno qualità ma non sembrano in grado di velocizzare troppo il gioco. Aspettano, dietro, e provano qualche fuga in contropiede quando gli riesce. Non possono aprirsi troppo, questi hanno attaccanti che sanno fare male, molto male.

Kieft, Finisce il sogno irlandese

Finisce il sogno irlandese

Così i Verdi addormentano la gara, ci provano almeno, attendono e, piano piano, si avvicinano al traguardo. Al 50° Michles toglie un centrocampista, Erwin Koeman, per inserire una punta. Il nuovo entrato ha il numero 14 sulle spalle, lo stesso di un altro abbastanza famoso in Olanda. È un numero pesantissimo da portare su quella casacca. A otto minuti dalla fine gli Orange battono un corner, il pallone è respinto di testa, la difesa irlandese sale e si porta fuori gli attaccanti avversari. Dai venticinque metri un olandese colpisce malissimo il pallone cercando probabilmente di calciare in porta. La palla rimbalza a terra davanti a lui e si impenna entrando in area a campanile. Il numero 14 è lì, sulla traiettoria, a una decina di metri dalla porta, ha due difensori irlandesi dietro, salta e colpisce la palla come riesce. Non benissimo, all’indietro, verso la porta. La sfera prende un giro strano e Packie Bonner, che è al centro dell’area piccola, non legge la traiettoria. Il pallone si infila nell’angolo. I sogni irlandesi, e anche i nostri di grandissimi simpatizzanti, si spezzano in un secondo su un fortunoso colpo di testa del numero 14 in maglia arancio. Che non è Johan Cruijff, ovviamente. È Willem Cornelis Nicolaas Kieft, detto Wim, quello che si è fatto pure la B. Quello del Pisa. Quello della figurina, coi capelli un po’ spettinati. Quello che ha fatto vincere l’europeo all’Olanda. Quello che, senza di lui, non avreste mai visto il gol di van Basten. Wim Kieft, quello col quattordici.

CAPITOLI PRECEDENTI

1 – Italia 1980, Rummenigge

2 – Francia 1984, Diavoli Rossi

CAPITOLI SUCCESSIVI

4 – Svezia 1992, Danish Dynamite

5 – Inghilterra 1996, Gazza

6 – Euro 2000, Golden Goal

7 – Portogallo 2004, Rehhagel

8 – Euro 2008, La Rumba de Espana

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12 risposte

  1. RinatDasaev ha detto:

    Otto portieri, otto fuoriclasse assoluti nel ruolo.

    Una delle poche competizioni per nazionali in cui ogni partita è stata vinta dalla squadra che meritava di vincere!

  2. ALBERTO ha detto:

    uno dei gol piu’ incredibili della storia….una meraviglia….
    non e’ un tiro al volo…..e’ IL TIRO AL VOLO…..
    poesia

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