Memorie Europee – Svezia 1992 – Danish Dynamite

Cominciamo a raccontare gli europei. Lo facciamo in attesa della nuova edizione di Francia 2016, la prima a 24 squadre con una formula molto simile ai mondiali giocati tra il 1986 e il 1994, comprendente quindi il ripescaggio di quattro delle migliori terze e le gare degli ottavi di finale, mai apparse ad un torneo continentale. La Francia ospiterà gli Europei per la terza volta. Celebriamo il ricordo dell’era moderna, quella che possiamo raccontare, per celebrare i campioni, gli episodi, i simboli e le squadre di tre epoche. Lo facciamo soprattutto per celebrare i ricordi di tre decadi vissute sulle spalle, tra immagini, aneddoti e sogni d’un tempo. O, almeno, cerchiamo di raccontarli per come li ricordiamo. Per il resto c’è Wikipedia.

Capitolo 4 – Danish Dynamite

Danish Dynamite, La Danimarca del 1992

La Danimarca del 1992

Nel 1992 il torneo continentale entra nell’ultimo decennio del millennio con una edizione ricca di imprevisti prima ancora dell’inizio della fase finale. La geografia politica europea sta cambiando rapidamente e in Svezia si giocherà l’ultima edizione a otto squadre prima che la competizione si trasformi, quattro anni dopo, in un torneo davvero molto simile ad una sorta di “mini mondiale”. Manca l’Italia il che, inevitabilmente, toglie fascino ed attesa per i tifosi della nostra penisola. La squadra di Azeglio Vicini, benché ricca di talento, giunge alla fine di un ciclo. Gli Azzurri non sembrano minimamente vicini alla freschezza di gioco espressa quattro anni prima né, tanto meno, durante lo sfortunato mondiale ospitato nel 1990. L’avventura delle qualificazioni si ferma a tre punti dall’URSS con la quale la nazionale pareggia due volte 0-0. A Mosca gli azzurri si fermeranno su un legno colpito da Ruggero Rizzitelli, mentre a Roma sarà l’Olimpico, ad un quarto d’ora dalla fine circa, in preda alla depressione di una prestazione non esaltante anche se ricca di occasioni, ad invitare il CT ad andarsene, non solo dalla guida tecnica, ma proprio a fare in… ci siamo capiti. Il coro esce forte e chiaro dalle casse della televisione e mio padre si alza dal divano per intonarlo insieme ai tifosi romani. È il gemellaggio a distanza, l’universalità dello sport. L’Italia, sconfitta solo in Norvegia (1-2), esce dal ballo prima ancora che inizi la festa e qualcuno, con la matematica che già ci condanna, dà ascolto ai cori romani e caccia Vicini. Arriverà Arrigo Sacchi che esordirà proprio contro la Norvegia chiudendo con un pareggio. In casa loro, però, nemmeno i russi sono tranquilli anche se escono imbattuti dalle qualificazioni. Il motivo di certa irrequietezza non è certo il calcio; il muro di Berlino è caduto, le ideologie sono finite, varie regioni del continente fremono di volontà indipendentiste. Sparita la nomenclatura del Cremlino, Estonia, Lettonia e Lituania si dichiarano indipendenti: l’Unione Sovietica non esiste più. La squadra, per partecipare agli europei, si iscrive come CSI (Comunità degli Stati Indipendenti) ed ha l’approvazione della Uefa.

Danish Dynamite, La divisa della nuova selezione russa

La divisa della nuova selezione russa

Alle qualificazioni europee si registra, inoltre, l’allrgamento ad una nuova squadra: le Faer Oer. Niente di che, l’arcipelago dipendente dalla Danimarca diventa una comparsa come tante, sulla falsa riga delle piccolissime nazioni come San Marino e Andorra. Fa però storia, se non è già addirittura leggenda, l’esordio vincente contro l’Austria (1-0) grazie al gol di un certo Torkil Nielsen, cui fa seguito un dignitoso pareggio in Irlanda del Nord (1-1). Il girone che comprende le isole Faer Oer è vinto dalla meravigliosa Jugoslavia. Gli slavi hanno tutto per fare benissimo; la generazione degli Under 20 campioni del mondo a fine anni 80 è cresciuta e sta gettando ottime basi. Nel 1990 la Stella Rossa di Belgrado, spina dorsale della selezione nazionale, vince la Coppa Campioni a Bari. Pochi mesi dopo, ai mondiali, nonostante la batosta in avvio con i futuri campioni del mondo della Germania (1-4), la Jugoslavia procede fino ai quarti di finale, dove si arrende soltanto ai rigori all’Argentina, giocando in dieci dalla mezz’ora del primo tempo.

Ma le diatribe politiche nei Balcani non seguono i (più o meno) pacifici percorsi del resto dell’ex Europa Orientale. Mentre dietro quella che fu la cortina di ferro il Patto di Varsavia si arrende a referendum e trattati, in Jugoslavia si accendono vecchi rancori etnici e culturali. Le volontà indipendentiste, soprattutto quelle croate, non vengono ben viste dal governo centrale. Il clima sia avvelena. La Supercoppa europea del 1991 tra Manchester United e Stella Rossa è giocata in gara secca in Inghilterra per scelta della Uefa che non ritiene opportuno far giocare una partita a Belgrado. Da qualche mese, in Jugoslavia, si è passati alle armi; l’escalation militare è pazzesca e la razza umana darà il peggio di sé. Il 30 maggio 1992 la Uefa esclude dalla fase finale degli europei la Jugoslavia, vincitrice del Gruppo 4 con sette vittorie, una sola sconfitta ed un bilancio marcature pari a 24-4. La Jugoslavia cessa di esistere in ogni senso e la squadra potenzialmente più forte del torneo non ci sarà, anche se di fronte alle immagini dei massacri cui ci abitueremo per qualche anno, la notizia non fa così effetto. La Federazione europea convoca in extremis la Danimarca che era giunta seconda. Richard Moller Nielsen apprende quindi la notizia a soli dieci giorni dall’inizio del torneo e, invece di preparare l’amichevole contro la CSI già messa in calendario, si ritrova a preparare l’Europeo. L’allenatore danese riesce anche a ricucire il rapporto con alcuni dissidenti della formazione che, in aperta contestazione con il gioco troppo difensivista del CT, avevano abbandonato la squadra. Tra questi i fratelli Laudrup: Brian accetterà di far parte della spedizione mentre Michael rifiuterà l’invito. Il più forte giocatore del mondo in allenamento, come lo definì il compagno di squadra alla Juventus, Michel Platini, si perderà quello che è probabilmente il più grande trionfo sportivo nella storia del suo paese.

Il torneo comincia il 10 giugno ed è, per la cronaca, il primo in cui i giocatori hanno il nome stampato sulle maglie. Ai blocchi di partenza ci sono le più tradizionali squadre del continente tranne, appunto, l’Italia di Vicini. Francia, Inghilterra, la Germania finalmente riunficata e l’Olanda sembrano le grandi favorite per il titolo, con pericolosa outsider la Svezia che sfrutta il fattore campo ed ha una squadra da tenere d’occhio.

Danish Dynamite, Cantona contro la Svezia

Cantona contro la Svezia

Francia e Inghilterra, invece, vanno subito a casa. Gli inglesi non ne vincono nemmeno una ed escono con due punti, i francesi si fanno invece battere al 78° minuto dalla Danimarca (2-1) che, così, acciuffa il passaggio del turno dopo aver pareggiato l’esordio coi britannici e perso contro i padroni di casa il derby scandinavo, grazie ad un gol di Thomas Brolin. Nell’altro girone sono state sorteggiate Olanda e Germania che continuano così la loro personale sfida avviata nel 1988 e proseguita ai mondiali italiani. I tedeschi, in avvio, non brillano. Pareggiano all’esordio con la CSI al 90° grazie a Thomas Hassler, battono la non irresistibile Scozia ma vengono spazzati via dall’Olanda (3-1) nell’ultima partita. Sarebbe eliminazione se non fosse proprio per l’orgoglio scozzese. La nazionale delle highlands, aritmeticamente eliminata dopo due sconfitte, travolge la CSI cui, a questo punto, basterebbe il pari. Finisce 3-0 con reti di McStay, McClair e McAllister che è un po’ come se per l’Italia segnassero il signor Rossi, il signor Verdi ed il signor Bianchi. Tedeschi e olandesi passano alle semifinali promettendosi l’ennesima e definitiva rivincita nella finalissima.

E così i germanici, come spesso gli è capitato nella loro storia, arrivano in semifinale, senza far troppo rumore stavolta; lì vi troveranno la Svezia e faranno emergere la loro proverbiale potenza. Hassler in avvio porta avanti la Germania, Karl-Heinz Riedle raddoppia nella ripresa. Thomas Brolin la riapre su rigore ma, di nuovo Riedle, chiude la porta in faccia ai gialloblu. Kennet Andersson dà una ultima, vana speranza al popolo del Rasuna di Stoccolma segnando di testa grazie alla complicità dell’estremo difensore Bodo Illgner, ma in realtà è finita lì: 3-2 Germania Unificata e padroni di casa a… casa. Il viaggio è quindi breve, consolatevi. La Svezia ci riproverà due anni dopo, ai mondiali statunitensi, uscendo in semifinale contro il Brasile per un gol di testa di Romario, lasciato troppo solo in area perché sotto il metro e settanta, in Svezia, non ti marcano sui palloni alti. Non lo concepiscono. La Germania è in finale, da campione del mondo in carica punta alla doppietta che riuscì solo alla nazionale degli anni ’70, capitanata all’epoca proprio da quel CT che li avrebbe portati sul tetto del mondo: Franz Beckenbauer.

Dall’altra parte si gioca Olanda-Danimarca. Gli Orange sono campioni in carica e, dopo una mediocre parentesi ai mondiali (zero vittorie ed eliminazione agli ottavi), puntano a rilanciarsi di nuovo sul palcoscenico europeo. Tra Marco van Basten e compagni e la finale c’è solo quell’involontaria protagonista che è la Danimarca, una selezione che si è lasciata alle spalle i fasti degli anni 80 dove era apprezzata nel mondo per l’ottima qualità di gioco tanto da essere paragonata, a tratti, addirittura all’Olanda del calcio totale. Considerata una delle più forti squadre a non aver vinto un mondiale quell’undici era, per il mondo, semplicemente la Danimarca dei Danish Dynamite.

La nazionale scandinava che vola in Svezia non diverte come quella allenata dal tedesco Sepp Piontek nel decennio precedente, ma non va sottovalutata. Ha giocatori di esperienza e, soprattutto, la leggerezza di chi ha trovato dei soldi in terra all’ingresso di un casinò: nulla da perdere. In porta presenta il grande Peter Schmeichel, uno che scriverà pezzi di storia col Manchester United e per un certo periodo sarà anche il più forte portiere del mondo. Davanti a lui un muro a cinque, solido, ben oliato. Il gioco della difesa danese è estremamente fisico, conta molto sull’esperienza di Lars Olsen, cui Nielsen affida la fascia da capitano. A destra gioca un certo John Sivebaek, superstite del Dankse Dynamite e altro tassello di grande esperienza. Dopo l’europeo il veterano passerà due stagioni a Pescara e arriva all’edizione svedese della Coppa Europa con un grandissimo bagaglio culturale nell’arte pedatoria appreso in giro per l’Europa. Sivebaek conta anche due stagioni nel Manchester United, tra il 1985 e il 1987, dove colleziona 31 presenze e una sola rete: la prima segnatura in assoluto della lunghissima gestione targata Alex Ferguson allo United. In mezzo al campo Nielsen offre ancora tanti muscoli. A fare i mediani davanti alla difesa, giusto per essere sicuri di coprirsi bene, Nielsen schiera il potente Kim Vilfort, un metro e novanta per 86 chili e ottima predilezione alle incursioni offensive con l’eleganza di un bufalo impazzito, e John Jensen che, dopo la spedizione in Svezia, vestirà la maglia dell’Arsenal. A trequarti trova spazio un altro gigante (188 centimetri) dai piedi non delicatissimi come Henrik Larsen, avvistato a Pisa tra Serie A e B, tra il 1990 e il 1993; praticamente arriva agli europei da retrocesso.

Mancando la grande stella Michael Laudrup, l’attacco a due si basa sul fratello Brian, seconda punta lievemente arretrata, girovago di mezza europa (Bayern Monaco, Fiorentina, Milan, Rangers, Chelsea e Ajax) e protagonista di una carriera condita da più bassi che alti, e Flemming Povlsen del Borussia Dortmund, centravanti spigoloso ma non certo un bomber di razza. La Danimarca è questa, una cenerentola considerata vittima sacrificale che all’ultimo momento ottiene almeno la soddisfazione dell’invito alla festa più bella. Il girone di qualificazione, in realtà, ha dato ottimi risultati. La nazionale scandinava perde in casa con la Jugoslavia e pareggia in Irlanda del Nord, lasciando probabilmente il punto decisivo per la qualificazione proprio a Belfast. Vince però le altre sei partite, subendo solo sette gol in totale e riuscendo nell’impresa di espugnare Belgrado, il primo maggio del 1991, con una doppietta di Bent Christensen che ribaltava il gol di Darko Pancev. Christensen chiuderà le eliminatorie con sei gol ma dovrà abbandonare la spedizione alla fase finale dopo le prime due partite per via di un infortunio.

Senza la prima punta titolare i danesi sembrano spacciati. Non che le prime apparizioni siano state piene di fuochi d’artificio, ma ora viene a mancare quel terminale offensivo su cui, nella testa di Nielsen, poggiava quasi totalmente l’attacco della squadra. La Danimarca riesce a fermare l’Inghilterra all’esordio, ma è praticamente già fuori dalle fasi finali dell’europeo quando al 60°, contro la Francia, Jean-Pierre Papin pareggia il gol di Larsen. Eric Cantona scende sulla fascia (a proposito, auguri per i suoi primi 50 anni, festeggiati martedì, ndr), resiste ad una carica, salta un avversario e la mette in mezzo. Un suo compagno stoppa di petto e serve di tacco Papin che buca Schmeichel con un gran diagonale. A dodici minuti dalla fine, però, la difesa transaplina si lascia clamorosamente sorprendere da un contropiede innescato da metà campo in modo un po’ confusionario. Il fuorigioco non riesce e permette una discesa a destra dei danesi, palla in mezzo deviata in rete da Lars Elstrup sotto porta. Quattro minuti più tardi, a qualche chilometro di distanza, Brolin affossa gli inglesi a Stoccolma: la Danimarca è in semifinale e l’attacco si è finalmente sbloccato dopo essere rimasto a secco nelle prime due gare. I segnali cominciano ad essere positivi, ma non così tanto da fare davvero sperare in una impresa titanica.

La Germania ha quindi vinto e divertito contro la Svezia, e ora tocca all’Olanda cercare il pass decisivo contro la Danimarca, per regalarci l’attesissimo big match con la coppa in palio. Ma la semifinale va giocata, non è che puoi chiedere alla Danimarca di non partecipare solo perché, sportivamente parlando, non dovrebbe nemmeno essere lì. E i danesi, probabilmente, cominciano ad annusare il profumo di qualcosa di più grande di una pur ottima qualificazione alle semifinali. Non è esagerato, né retorico, in casi come questi, parlare della forza del gruppo. In tornei così brevi l’impresa è sempre possibile e la Danimarca, una volta giunta in semifinale, deve essersi chiesta: perché no? Ma per fare l’impresa serve, appunto, la forza dell’insieme, una volontà di ferro che ti permetta di non disunirti mai e di colmare, con lo spirito, il gap tecnico con gli avversari. Roba che nei film riesce sempre, nella vita reale meno spesso ma, a volte, capita. Al 5° minuto della semifinale la Danimarca azzanna subito l’impresa. Brian Laudrup scende a destra e scodella un pallone in mezzo che il portiere olandese, Hans van Breukelen, evita accuratamente con una pessima uscita. Sul secondo palo, a porta vuota, sbuca Henrik Larsen che incorna e segna. L’Olanda reagisce e dopo meno di venti minuti pareggia con Dennis Bergkamp che insacca anche grazie ad una indecisione di Schmeichel. È la classica partita che non riesci a interpretare. Ti aspetti sempre il crollo, da un momento all’altro, dei danesi, i quali, al contrario, dieci minuti dopo raddoppiano. È ancora Larsen a spedirla in rete, calciando dal limite una corta respinta della difesa olandese.

La Danimarca c’è. La squadra di Nielsen è viva, in un crescendo di prestazioni la timida formazione di Laudrup e soci è lì che se la gioca contro l’Olanda rispondendo colpo su colpo e andando addirittura in vantaggio due volte. È il momento in cui capisci che devi tifare per loro, per la cenerentola, per l’impresa e senti, in cuor tuo, che mezza europa è lì con te, anzi, con loro, a spingerli verso la vittoria contro l’arroganza delle superpotenze della ricca Europa del calcio.

Nella ripresa il ritmo cala, Olsen e soci si barricano dietro fino al minuto 86 quando Frank Rijkaard la pareggia risolvendo una mischia davanti alla porta danese. È finita, pensi. È una mazzata gigantesca, un colpo troppo duro da incassare quando sei così vicino al traguardo. È il colpo del KO, quello che magari non ti stende al tappeto ma ti porta a pregare che l’ultima ripresa arrivi il più in fretta possibile con una onorevole sconfitta ai punti. Ma i predestinati non mollano, non si disuniscono, non perdono la testa. Fanno quello che si fa nei film: reggono tutti i supplementari e portano i detentori del titolo ai rigori dove tutto si riscopre improvvisamente possibile anche se, quando annunciano i rigoristi, ti si secca la gola e capisci che questa è una lotteria truccata. Il primo rigore lo calceranno gli olandesi e, dopo il primo giro di giostra, hanno segnato entrambe le squadre. Al secondo tiro si presenta Marco van Basten, giusto il tempo per fumare una sigaretta in balcone, bersi una birra o, che so, leggere la prefazione di quel libro che hai appena comprato. Invece decidi di fissare lo schermo cominciando a pensare a Povlsen che lo tirerà subito dopo il Pallone d’Oro del Milan. Riuscirà il nostro eroe a pareggiare lo scontato gol che gli olandesi vanno or ora a segnare? Van Basten parte, la calcia alla propria destra, abbastanza angolata, non fortissimo ma sembra ben piazzata.

Danish Dynamite, Lo prende? Lo prende...

Lo prende? Lo prende…

Peter Schmeichel si tuffa dalla parte giusta e vola a respingere con la manona il tiro dell’olandese: l’eroe di Monaco di Baviera affonda davanti al gigante biondo. Povlsen ha una responsabilità immensa e la butta dentro. La Danimarca non sbaglierà più; Kim Christofte realizzerà con freddezza il quinto e decisivo rigore spedendo tutto un paese a Goteborg, Stadio Ullevi, nell’incredulità del popolo pallonaro. Cenerentola è al Ballo Reale.

Il più è fatto. Può sembrare paradossale ma è così. La Danimarca non ha più nulla da perdere, ammesso che abbia mai avuto qualcosa da perdere davvero: ma è passata dal divano di casa alla finale dell’Europeo in un attimo, non può più temere nulla, nemmeno l’avversario più tosto. Le sensazioni sono positive ma di fronte ci sono i campioni del mondo. La Germania qualcosa da dire lo trova sempre, come si è notato in semifinale. Era data per spacciata già al girone, cominciato maluccio, è stata travolta dall’Olanda e poi eccola qua, in finale, mentre i tulipani si leccano le ferite. I Panzer, sempre loro, in finale. La partita è una fase tattica di studio, come sempre in queste occasioni, anche se sono i tedeschi a creare due o tre occasioni niente male. Ma i danesi mordono ogni pallone, si mangiano l’erba seguendo le piste di qualunque cosa puzzi di germanico e passi loro vicino, anche i pastori tedeschi della polizia.

Su un pallone recuperato con un tackle da indagine penale (ma pulitissimo sul pallone) in zona di attacco si libera il gioco per John Jensen all’altezza del vertice destro dell’area di rigore. Il centrocampista arriva in corsa, chiude gli occhi e calcia con forza. Di quell’istantanea, di quel momento in cui Jensen ha colpito con tutta la sua forza il pallone, rimane impresso un difensore tedesco che si butta a terra quasi rotolando verso l’avversario, immolandosi per una disperata respinta. Ma il pallone si alza, lo supera e arriva velocissimo in porta. Bodo Illgner alza le mani quasi a casaccio, si tuffa in modo irregolare, come se fosse colpito da qualcosa di troppo pesante. L’impressione è che quel pallone lo veda partire e poi ne senta solo il sibilo quando questo gli passa accanto alla velocità del suono. La rete si gonfia. La Danimarca è avanti. L’incredibile sta accadendo davanti ai nostri occhi, ma non siamo nemmeno al ventesimo e i tedeschi mica li batti così facilmente. No, questi lo sai come sono, li devi prendere a calci in testa anche mentre sono moribondi, sfiniti a terra.

La Germania gioca, spinge, la Danimarca colpisce in contropiede. Schmeichel ci mette le manone un paio di volte poi, nel secondo tempo, è Vilfort ad avere un pallone d’oro per chiuderla ma lo spedisce fuori in diagonale praticamente solo davanti al portiere. Pensi che da una buca così non esci più, è la legge del calcio: se non la chiudi con occasioni del genere non la vinci, non la puoi vincere. I tedeschi, se non li stendi e poi gli tiri anche un paio di bastonate mentre sono svenuti, tornano sempre fuori. Hanno la corazza e sette vite, loro. E infatti, pochi minuti dopo, ecco un cross da sinistra per i tedeschi ed ecco Jurgen Klinsmann che sbuca fuori dal nulla e la colpisce di testa. E’ un colpo di testa eccezionale: Kataklinsmann si arrampica in cielo, sovrasta un difensore che non riesce neppure a muoversi, impatta alla perfezione e segna. Ha segnato per forza. Non può non aver segnato. Gol bellissimo. Ma l’arbitro indica il corner. Il pallone è uscito. Meglio, Schmeichel ci ha messo la mano, d’istinto. Stava rientrando in porta dopo aver accennato l’uscita ed è riuscito a prenderla, a toglierla dall’incrocio. La folla danese esulta come se avesse segnato.

E allora tanto vale riprovarci Danimarca. Dai, andiamo… palla alta a centrocampo, la prendono i danesi di testa rilanciando Kim Vilfort che controlla di petto, avanza e lascia secchi due difensori tedeschi scartando improvvisamente a sinistra. Uno dei due gli si butta davanti in scivolata ma Vilfort riesce ad incrociare perfettamente il tiro sul primo palo evitando il tackle. È un pallone non velocissimo ma dannatamente angolato: Illgner si muove, si tuffa, ma non ci arriva. La palla picchia sul palo interno e rimbalza verso la porta. Ed entra. Gol. Due a zero.

Danish Dynamite, Due a zero!

Due a zero!

La Danimarca esplode, una marea rossa sommerge Vilfort. Guardi l’orologio: è il 78° minuto. Come con la Francia, come per il gol di Elstrup, come quando ti sei aggrappata al girone con le unghie per catapultarti fino alla finale. Ma questo è il 2-0 che vale la coppa. Valla a prendere Danimarca. L’impresa è compiuta, il più grande gesto sportivo del calcio danese tocca il suo apice in Svezia, vicino casa, nel glorioso stadio di Goteborg. La Danimarca vince e, tutto sommato, riesce persino a divertire nonostante una impostazione molto lontana dal tipico concetto di calcio spettacolo. L’armata di Nielsen entra di diritto nella storia col suo pragmatismo e la sua forza fisica e, come per l’Olanda di quattro anni prima, vince un importante trofeo non con la squadra più forte mai avuta, ma con quella che si è trovata a sfruttare le situazioni nel migliore di modi, trovando nel gruppo e nello spirito il modo di vincere un torneo a cui si era “qualificata” appena dieci giorni prima dell’inizio. Lo stravolgimento della geografia politica in Europa non lascia scampo nemmeno al calcio che deve ridisegnare, per un attimo, le proprie gerarchie. La principessa danese mette in fila una dopo l’altra Francia, Olanda e Germania, il calcio d’elite di un intero continente, e si porta a casa la coppa. Non sono i Danish Dynamite di Sepp Piontek, sono molto di più: sono i campioni d’Europa.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=oJ8MefDj5Uo]

Tre anni dopo, la stessa squadra, recuperato anche Michael Laudrup, andrà a giocare e vincere la Confederation Cup, quando ancora è un torneo giocato in Arabia Saudita intitolato a re Fahd. I danesi in finale battono l’Argentina di Gabriel Batistuta. Ancora due a zero. Poi il 1998, i mondiali di Francia, nel girone coi padroni di casa. Lo passano e travolgono la sorprendente Nigeria per 4-1 agli ottavi. Perdono col Brasile di Ronaldo ai quarti, 3-2, dopo essere passati in vantaggio due volte. Ma queste sono altre storie. La vera leggenda era già stata scritta dai campioni d’Europa del 1992, quelli che tentarono di riscrivere la geografia del calcio. Quelli che non ci dovevano nemmeno essere e poi, alla fine, uscirono dal portone principale tra due ali folla. We are red! We are white! We are Danish Dynamite!

Danish Dynamite, Impresa!

Impresa!

CAPITOLI PRECEDENTI

1 – Italia 1980, Rummenigge

2 – Francia 1984, Diavoli Rossi

3 – Germania Ovest 1988, Kieft

CAPITOLI SUCCESSIVI

5 – Inghilterra 1996, Gazza

6 – Euro 2000, Golden Goal

7 – Portogallo 2004, Rehhagel

8 – Euro 2008, La Rumba de Espana

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15 risposte

  1. angyair ha detto:

    La cosa che ho odiato di più dopo la vittoria della Danimarca è che per le stagioni successive ogni allenatore italiano, prima dell’inizio del campionato, diceva che la sua squadra sarebbe stata la Danimarca del torneo…

  1. 26 Maggio 2016

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  6. 26 Giugno 2021

    […] hanno occupato grandi palcoscenici anche se, come tutti sanno, la Danimarca vinse a sorpresa l’Europeo del 1992. Le ultime sfide in un torneo ufficiale sono quelle del 2018, quando le due squadre sono inserite […]

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