Nuovi HC – Come cambiano le panchine NFL

Nuovi HC, Ti chiami Pettine e sei pelato? Sei fuori!

Ti chiami Pettine e sei pelato? Sei fuori!

Mentre poche squadre continuano a lavorare sul presente, molte altre stanno pensando già al futuro con l’obiettivo di arrivare tra 12 mesi ad essere tra le squadre di cui prima. Il cambio di head coach e più in generale del coaching staff è il primo passo verso nuovi lidi vincenti, non è un caso che negli USA abbiano coniato l’espressione “black monday” per descrivere questa mini rivoluzione che puntualmente colpisce le squadre più deluse il primo lunedì dopo la fine della regular season, con il licenziamento in massa di capi allenatori e l’inizio delle interviste per trovare i loro successori.

Quest’anno le panchine che sono saltate sono state 7 (come più o meno negli ultimi anni): Miami e Tennessee durante l’anno, Philadelphia appena prima dell’ultima giornata, New York Giants, San Francisco e Cleveland nel lunedì più temuto dell’anno ed infine Tampa Bay con una tempistica leggermente ritardata, pochi giorni dopo. In teoria la lista dovrebbe concludersi qui (e già solo per l’assenza dei Colts dovremmo scrivere un articolo a parte), anche se negli anni passati abbiamo vissuto licenziamenti anche a gennaio inoltrato pure di HC ammessi ai playoff, ma sono eccezioni che appunto in quanto tali non possono essere facilmente replicabili o preventivabili (Jim Caldwell a Detroit è stato tenuto in sospeso per 10 giorni in pratica prima di essere riconfermato).

Prima di entrare nel dettaglio dei singoli avvicendamenti, notiamo che tra promozioni interne o “esterne” e riciclo di HC altrui, quest’anno mancano quelli che hanno fatto il salto dal college, pratica che negli ultimi anni è diventata sempre meno diffusa. Perchè? Probabilmente non c’è una sola ragione: innanzitutto gli stipendi al college sono spesso più che paragonabili a quelli in NFL, poi tra i professionisti sta diventando sempre più difficile avere il tempo per programmare non solo nel lungo ma anche nel medio termine (se una squadra ha vinto 5 partite o meno, probabilmente non è solo colpa del coach ma anche del roster che non è di qualità e quindi ci vuole un po’ di tempo per migliorarlo) e quindi per gli allenatori dei college abituati a ritmi molto diversi questo lo rende meno “attraente”.

I nomi più “papabili” (Shaw di Stanford o Saban di Alabama) non hanno al momento intenzione di fare il salto o tornare in NFL (personalmente Saban penso che ci non tornerà più). Infine da sottolineare un iter totalmente diverso: per intervistare un allenatore proveniente dalla NCAA non è obbligatorio chiedere il permesso a nessuno, quindi generalmente non si viene a sapere se qualcuno è stato intervistato, se non magari a posteriori: tecnicamente magari sono stati anche intervistati ma semplicemente non sono stati convinti.

Miami Dolphins: da Joe Philbin (via Dan Campbell) a Adam Gase

I Dolphins avevano provveduto già durante la stagione a fare tabula rasa della gestione della squadra (in tempistiche diverse sono saltati in ordine HC, DC, OC e GM). Quello di Philbin è stato un percorso iniziato 4 anni fa che ha sempre vissuto attraverso “dai, l’anno prossimo andrà meglio, si sono visti miglioramenti” e 0 partecipazioni ai playoff come 0 sono state le stagioni da 9+ vittorie. Francamente era impossibile salvarlo specie dopo un inizio disastroso e la maledizione di Londra quest’anno ha colpito proprio lui.

Il nuovo arrivato, Adam Gase, non ha esperienze da HC e benché molto giovane (37 anni) sono un paio d’anni che stuzzica l’immaginario collettivo come nuova stella nascente in fatto di allenatori. Ha sempre lavorato in NFL (fatta eccezione per i primi due anni, poco più che ventenne, a LSU con compiti molto “marginali”) tra Detroit, San Francisco, Denver e appunto l’anno scorso a Chicago. Per le ultime due squadre è stato uno dei migliori OC della lega ed è proprio grazie alla macchina d’attacco perfetta messa su nei primi anni di Peyton Manning in Colorado che s’è conquistato questa fama e questo posto da capo allenatore.

Ovviamente il ruolo di head coach è totalmente differente e come si dice spesso, il passaggio da ottimo OC/DC a ottimo HC non è così lineare ed immediato. Miami però ha deciso di investire ancora una volta su un HC “inesperto” con provenienza offensiva: è indubbio che il processo di crescita di Tannehill resta ancora centrale sugli eventuali successi delle prossime stagioni.

Tennessee Titans: da Ken Whisenhunt (via Mike Mularkey) a Mike Mularkey

Disclaimer: Vi sveliamo un segreto, questo articolo ce lo siamo divisi in 3. Bene, nessuno dei 3 aveva il minimo interesse di scrivere una mini riflessione su questa nomina, ragion per cui tutto quello che leggerete è stato generato da un bot: i Titans non si meritano niente di più.

In un anno e mezzo Whisenhunt, peraltro perfetto all’opening game, ha vinto 3 partite, non l’avrebbe salvato nemmeno Superman (nel senso di Cam Newton). Nel frattempo è tornato a fare quello che meglio gli è riuscito negli ultimi anni, ovvero l’offensive coordinator ai Chargers, dove nel 2013 si rilanciò alla grande rivitalizzando la sua carriera, oltre a quella di Rivers.

Ai Titans invece molte cose, che già non funzionavano prima del suo arrivo, non hanno continuato a funzionare, si sono visti pochissimi miglioramenti anzi è arrivato in una squadra che vivacchiava “a metà classifica” e ne restituisce una che a fine anno si trova a controllare i tie-break per avere la prima assoluta. E il suo sostituto in questo sembra avere già esperienza considerando che tre anni fa allenò i Jaguars che conclusero 2-14 e “vinsero” la seconda scelta assoluta (trasformata poi da qualcun altro in Luke Joeckel).

Mike Mularkey non ha mostrato particolare meriti in fatto di “head coaching” in questi anni ed anche nella seconda parte di stagione ad interim ai Titans nemmeno il bot che sta scrivendo trova dei motivi particolari per i quali confermarlo. Come offensive coordinator le sue esperienze a Pittsburgh (2001-2003), a Miami (2006) e ad Atlanta (2008-2011) ci raccontano di attacchi più spesso attorno al 16esimo posto della lega, piuttosto che nella top 5, quindi anche allargando il contesto di lavoro ci restano (a noi tre ed al bot) dubbi su dove sia nato tutto questo credito per avere un’altra chance (sarebbe la terza contando anche il biennio 2004-2005 ai Bills, ovviamente con 0 apparizioni ai playoff).

Può essere che non si sia voluto stravolgere la fase di apprendimento di Mariota, che in questo primo anno però più che imparare a cadere non ha potuto fare. Il nuovo HC era presente nel coaching staff come allenatore dei TE ed in effetti Delanie Walker è l’unica nota positiva dei Titans sotto Whisenhunt, ma ovviamente questo incide sino ad un certo punto. Il lavoro da fare è molto e tanto dipenderà anche dal coaching staff che sarà poi assemblato, ma se la nomina del nuovo HC mediamente porta nuovo interesse e curiosità, qui possiamo affermare senza timore di smentita che siamo abbondantemente sotto media.

Philadelphia Eagles: da Chip Kelly a Doug Pederson

Sui motivi del licenziamento di Kelly ci siamo ampiamente espressi e di lui parleremo comunque tra poche righe sotto un altro punto di vista. Philadelphia s’era regalata qualche giorno in più in questo processo di cambiamento rispetto alle altre squadre, anticipandole poco prima della week 17, ma sostanzialmente è stata una delle ultime a scegliere il successore, facendo un po’ la figura di quello che rimane con il cerino acceso in mano quando la fiammella è a pochi millimetri dalle dita. Il soffio che l’ha spenta è quello di Pederson, ma resta un po’ l’odore acre del bruciacchiato. Mentre convincono molto di più le voci che vedrebbero approdare a Philadelphia Jim Schwartz in veste di DC.

Pederson è (o meglio era) l’OC dei Kansas City Chiefs appena usciti contro i Patriots e soprattutto viene dalla scuola di Andy Reid che a Philadelphia ha lasciato comunque un ottimo ricordo, solo vagamente annebbiato dalle ultime due stagioni. Doug era già stato all’interno del coaching staff delle “aquile” per tre anni, durante i quali ha fatto anche l’allenatore dei QB e, curiosità ancora più intrigante, è stato il QB titolare della prima partita da capo allenatore di Reid a Philadelphia nel lontano 1999. Partita persa in maniera rocambolesca e ruolo da titolare poi ceduto all’halftime della partita successiva in favore di Donovan McNabb (seconda scelta assoluta di quell’anno).

Questo nuovo ruolo di HC (se si escludono i 4 anni a Calvary Baptist Academy, che appunto escluderei…) gli arriva soprattutto grazie al lavoro svolto quest’anno con un attacco che ha perso sin da subito il suo asso (Jamaal Charles), ma che da quel momento è cresciuto incredibilmente di rendimento, sfruttando, finché è stato sano, Jeremy Maclin, un altro che a Philadelphia conoscono molto bene, fino a farlo diventare l’elemento cardine dell’attacco.

Complessivamente l’attacco dei Chiefs non ha mai rubato l’occhio (27esimo della lega per yard conquistate), ma pur palesando limiti strutturali evidenti, forse troppo ai massimi livelli, è riuscito ad essere più che efficace al di là delle cifre. In più ha il grosso pregio che è riuscito a far rendere in maniera continuativa quei “packaged play” che stanno prendendo sempre più campo anche tra i pro: condizione necessaria per non buttare totalmente alle ortiche tutto il roster e l’idea di gioco costruita dall’ex Chip Kelly.

Di sicuro è stato molto abile ai Chiefs a far rendere al meglio delle proprie possibilità un attacco non proprio pieno di stelle inserendo tutta una serie di giochi e principi degli attacchi in option (tipici delle squadre del college e poco di quelle NFL) per cercare di sfruttare la mobilità del suo QB e sorprendere le difese avversarie, quindi sembra essere uno dalla mente molto aperta, che si preoccupa più di essere efficace che spettacoloso: è quello che cercavano a Philadelphia?

San Francisco 49ers: da Jim Tomsula a Chip Kelly

Dop aver sostanzialmente cacciato Jim Harbaugh, il management dei 49ers era convinto che mettendo qualcuno di più “amico dei giocatori”, che staccasse un po’ il piede dall’acceleratore, potesse fare bene ad un gruppo che era arrivato 3 volte sul punto di vincere senza mai riuscirci, il problema era che quel gruppo, fra ritiri più o meno aspettati e free agency, non c’era più e la confusione è sembrata regnare sovrana in una stagione condita da infortuni e con la sensazione sempre più forte che nessuno sapesse la via da seguire. Per ripartire si è cercato, di nuovo, di seguire la strada dell’avanguardia che altre volte ha portato bene alla franchigia andando a prendere un allenatore che era stato appena esonerato ma che sicuramente ha la fama di innovatore e di persona fuori dagli schemi: saprà far tesoro Kelly dell’esperienza di Philadelphia? Sono disposti i Niners e la loro fan base a dargli il tempo necessario?

Da tempo si parlava di un possibile matrimonio, a Phila o da qualche altra parte, tra Kelly e Kaepernick, da molti considerati la coppia perfetta l’uno per l’altro, ora questo matrimonio avrà la possibilità di essere celebrato proprio a San Francisco dove il tempo sembrava ormai finito per Kap (al negozio ufficiale dei 49ers le sue magliette erano vendute con lo sconto) e che invece forse questa scelta fa capire che il management crede ancora in lui e quindi ha puntato su un coach che si pensa possa valorizzarlo al meglio (e al negozio ufficiale le sue magliette sono tornate a prezzo pieno. No, non è una battuta). Di lavoro da fare per l’ex Oregon in attacco ce n’è molto, specie per quanto riguarda una linea offensiva che oltre a Staley ha pochi punti fermi, anche se un Hyde pienamente recuperato e un corpo ricevitori variegato possono stuzzicare al meglio la fantasia di Kelly.

Per quanto riguarda la difesa si aspetta con ansia la scelta del coordinatore e dei coach di reparto perchè comunque il materiale giovane su cui lavorare non manca, specie  nelle secondarie, ma soprattutto perchè a Philadelhia è soprattutto questo che si è accusato Kelly di non saper fare: costruire una difesa solida ed affidabile. Più di qualcuno avanza dubbi sull’effettiva compatibilità tra il General Manager Baalke ed il nuovo head coach, ma la presenza nel management di Gamble, grande amico di Kelly e tenuto in grande considerazione dal GM, può aiutare nel far funzionare questo matrimonio che è sì rischioso ma che almeno ha riportato un po’ di entusiasmo a San Francisco.

New York Giants: da Tom Coughlin a Ben McAdoo

Tom Coughlin entrerà nella Hall of Fame, ha costruito qualcosa di incredibile nella città per pressioni più difficile degli USA, dimostrando per quasi 10 anni di meritarsi quei 2 3 anni di riconoscenza in più di quanto potrebbe meritarsi qualsiasi altro capo allenatore. Aveva fatto un po’ il suo tempo, ma ha voluto lasciare comunque ai Giants qualcosa in dono, un coaching staff assolutamente all’altezza. La promozione di Ben McAdoo va letta in questa ottica: i Giants hanno perso un HC tendente al bollito, ma non hanno dovuto stravolgere il lavoro iniziato due anni fa con un coaching staff che Coughlin stesso si era costruito nella Grande Mela per salvarsi il posto.

Per non perdere McAdoo (che ha rigenerato, anzi migliorato la carriera di Eli Manning) i Giants sono stati “costretti” a promuoverlo HC, ma facendo così sono riusciti per ora anche a confermare Spagnuolo e riusciranno a dare una sorta di continuità di lavoro ad una squadra che nonostante tutto stava ripartendo dopo i fasti passati attraverso una ricostruzione che non può mai essere dichiarata se lavori in un mercato come New York.

Certo da fuori l’impressione che si è data è quella che le colpe erano solo di Coughlin (che visti i colloqui avuti da altre parti evidentemente non aveva poi tutte le intenzioni di ritirarsi autonomamente) quando invece c’è anche un problema di qualità del roster, specie in alcuni settori (difesa, OL), e bisogna vedere se McAdoo è veramente l’uomo giusto al posto giusto e non invece l’uomo giusto al posto sbagliato, trovatosi ad essere promosso HC solo perchè si voleva continuare ad averlo come OC e guida di Manning.

Cleveland Browns: da Mike Pettine a Hue Jackson

I Browns selezionano il loro ottavo head coach dal 1999 – ossia da quando hanno ricominciato la loro avventura in NFL – affidando le redini della squadra alla talentuosa mente offensiva di Hue Jackson. Altra novità interessante riguarda il ruolo che sarà ricoperto da Paul DePodesta, nominato Chief Strategy Officer e che porterà un punto di vista totalmente fuori dagli schemi avendo lavorato sinora solo in MLB, lega nella quale s’è fatto strada proprio grazie ad un approccio “analitico” allo sport.

Piccole note di colore: 6 degli 8 head coach si sono susseguiti negli ultimi 8 anni; nello stesso periodo, il resto delle squadre della NFC North hanno sempre avuto lo stesso timoniere. Gli Steelers, considerabili sotto questo punto di vista l’opposto dei Browns, hanno avuto 8 head coach diversi dal 1952. Sempre guardando in division, Jackson è stato alle dipendenze di 2 degli altri 3 head coach (Marvin Lewis e John Harbaugh).

C’è molta curosità intorno a questa nuova esperienza a cui è chiamato l’ex OC dei Bengals, dopo la non-pienamente-convincente avventura del 2008 ai Raiders, quando chiuse con un dignitoso 8-8 (che può essere considerato ancor più positivo rapportatondolo a quella che è la storia recente dei Raiders) ma fu comunque cacciato dalla guida dei predoni, forse punito per la scellerata scelta di buttare i primi due giri del draft nella trade per Carson Palmer (tramutatisi in Dre Kirkpatrick e Giovani Bernard).

Mente offensiva sopraffina, si troverà a guidare una delle squadre più prive di talento in attacco nell’intera lega. L’unico punto di forza – la OL – ormai comincia ad avere una certa età nei suoi giocatori più rappresentativi – Joe Thomas su tutti; grande anche il dubbio su chi sarà sotto il centro nella prossima stagione, visto che la pazienza dei Browns verso il buon Manziel sembra essere terminata da tempo. Riuscirà poi Gordon a restare lontano dai guai e a mostrare le sue (indubbie) capacità in campo, oltre che nella vendita delle auto? Insomma il talento a Cleveland risulta essere offensivo soprattutto al gioco del football, più che agli avversari e Jackson avrà molto da lavorare. Sapranno dargli tempo?

Tampa Bay Buccaneers: da Lovie Smith a Dirk Koetter

 Questo cambiamento è stato un po’ strano invece, ed infatti non è stato immediato, con Smith che era al secondo anno di un processo di sviluppo della franchigia che si pensava dovesse dargli a disposizione più tempo, ancor meglio ora che aveva a disposizione un QB come Winston che ha mostrato buone cose durante il suo anno da rookie ed un record in miglioramento. L’impressione che si ha da fuori è che questa sia stata un cambio di panchina ed una promozione derivata più dalla paura di perdere Koetter, che sembrava essere un nome caldo, che dall’effettivo giudizio sul bienno di Smith (comunque con molte pecche, specie per quanto riguarda il primo anno).

La paura che Winston dovesse subito cambiare offensive coordinator e magari anche sistema di gioco è stata probabilmente la mossa decisiva che ha fatto sì che i Bucs puntassero sulla novità di Koetter che comunque ha avuto le sue brave esperienze come capo allenatore al college a Boise State ed Arizona State ed è tra i più apprezzati “sviluppatori” di quarterback della lega. Se saprà gestire la pressione di un capo allenatore a livello NFL e allo stesso tempo essere l’offensive coordinator (le prime voci dicono che voglia mantenere anche questo titolo) ed il mentore di Winston lo vedremo nel prossimo futuro, ben sapendo che da questo dipenderanno le fortune dei Bucs e del “più veloce rapinatore di chele di granchio della Florida”.

angyair

Tifoso dei 49ers e dei Bulls, ex-calciatore professionista, olimpionico di scherma, tronista a tempo perso, candidato al Nobel e scrittore di best-seller apocrifi. Ah, anche un po' megalomane.

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4 risposte

  1. 15 Aprile 2016

    […] I più maligni vogliono che il GM dopo aver guardato in faccia il suo head coach (che noi stessi non ci siamo trattenuti dal criticare nella sua nomina) abbia pensato: “Io a questo non gli faccio scegliere nemmeno se mettere o […]

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