Pensieri (sulle classiche) primaverili

Domenica con la decana s’è chiusa anche per il 2016 la parte di stagione ciclistica più romantica e affascinante. Da ieri, con il giro di Romandia, si è iniziato a fare sul serio per i cacciatori di corse a tappe: per carità ci sono già state la Tirreno-Adriatico e anche altre corse spagnole come il giro di Catalogna o quello dei Paesi Baschi, corse più che altro utili agli scalatori per allenarsi gareggiando in una fase di stagione in cui praticamente tutti guardano al nord, al Belgio ed ai Paesi limitrofi.

La prossima corsa in linea del calendario World Tour sarà la Classica di San Sebastian a fine luglio, in coda al Tour de France: per i prossimi 3 mesi parleremo di classifiche generali, di maglie a punti, crisi irrecuperabili e recuperi impronosticabili. Prima di buttarci a capofitto nella stagione dei Froome, Quintana, Contador, Aru e Nibali, mettiamo il punto definitivo sui primi mesi di questa stagione.

Le monumento

Arnaud Démare (24 anni), Mathew Hayman (38 anni) e Wouter Poels (28 anni), i vincitori di Sanremo, Roubaix e Liegi prima di quest’anno sommavano 44 partecipazioni alle monumento (9+31+4), le uniche concluse nella top 10 venivano da Hayman (Roubaix 2011 e 2012). Un trio di vincitori così improbabile fa tornare in mente il 2011 con Matthew Goss, Nick Nuyens e Johan Vansummeren vincitori a Sanremo, Fiandre e Roubaix, ma erano comunque corridori, soprattutto i due belgi, che avevano già raccolto buoni piazzamenti. Anche i team di appartenenza sono “bizzarri”: FDJ ed Orica non sono certo squadre dal budget paragonabile a mostri sacri come possono essere Astana o Tinkoff. Il Team Sky è l’emblema del mostro sacro in fatto di cycling team, ma sinora aveva investito più sulle corse a tappe: questa è la prima monumento vinta e c’è l’intenzione di non fermarsi, certo magari sarà difficile vederne un’altra vinta da Poels e più facilmente toccherà a Stannard o Rowe.

Sagan

Se nel 2011 poi la quarta monumento primaverile era stata vinta da Philippe Gilbert, questa volta è toccato al campione del mondo Peter Sagan, vittorioso al Giro delle Fiandre. Peter è stato il dominatore di questa prima parte di stagione. Piazzato ovunque, dal gennaio argentino a San Luis sino alla Roubaix dove è rimasto ad un passo fuori dalla top 10, ha sfiorato la vittoria alla Tirreno-Adriatico mozzata della tappa regina, oltre al Fiandre ha rivinto la Gent-Wevelgem (già sua nel 2013), ed ha fatto secondo alla E3 Harelbeke. Ora sta ricaricando le batterie in ottica della seconda fase della sua stagione che come al solito passerà dalla California ed avrà l’obiettivo di riconfermare per il quinto anno consecutivo la maglia verde a Parigi. Se c’era una maledizione della maglia iridata, lui non è stato avvertito.

Classiche primaverili

Impennata iridata

Cancellara e Van Avermaet

Se ci sono vincitori improbabili, ci sono anche sconfitti che masticano amaro. Anche se qua siamo davanti a due che è impossibile definire sconfitti. Il belga stava facendo la sua miglior stagione di sempre, si presentava al Fiandre se non come favorito, come immediato vice dopo aver avuto una splendida settimana alla Tirreno-Adriatico (poi vinta), dopo aver vinto la Omloop ed essersi piazzato alla Strade Bianche, alla Sanremo e alla Gent-Wevelgem. Poi la caduta nella prima fase del Fiandre, le lacrime e la frattura alla clavicola. Addio sogni di gloria.

Sembra un po’ la stagione 2015 di Cancellara, che proprio dopo un anno così sfortunato si era concesso questo “one more year” anche se già dichiarato come “last”. Lo immaginava però migliore: la vittoria alla Strade Bianche sembrava solo l’antipasto, poi confermato dalla minicrono conclusiva della Tirreno. Il fatto che in tutte le corse del nord Spartacus abbia sempre lasciato la sensazione di essere quello con la gamba migliore è per certi versi sorprendente e per altri genera rimpianti perché poi quella sensazione non s’è trasformata in vittorie. In particolar modo quella sfumata al Fiandre penso se la porterà dentro per un po’ di tempo.

Pavé vs Ardenne

Due mondi a confronto, così vicini geograficamente e cronologicamente parlando, ma così diversi nei protagonisti e nelle sensazioni che ci hanno lasciato quest’anno (anche se probabilmente la questione potrebbe essere allargata anche agli anni passati).  Tanto ci siamo divertiti sulle pietre, con gare scoppiate anche a più di 100 km dal traguardo, tanto ci siamo annoiati (possiamo dirlo?) nel trittico delle Ardenne, regno dell’attendismo e dell’azione nel finale. La Freccia Vallone ormai da un po’ di tempo è semplicemente una volata in salita, una salita iconografica come quella di Huy ma pur sempre volata e in questa arte Valverde è invecchiato molto meno di Purito Rodriguez. Alla Liegi mi sono emozionato solo per le azioni di Betancur (anche se un po’ televisiva) e di Diego Rosa, ma anche lì, vuoi il maltempo, vuoi la nuova rampa “misteriosa” si è atteso sino agli ultimi 3 km e s’è dovuto ringraziare un outsider come Albasini. Perché queste differenze? I big da grandi giri vengono qui ancora fuori forma con poche chance di fare la differenza peraltro provenendo da un mondo, quello proprio dei GT, in cui negli ultimi anni l’attesa è stato un mantra difficilmente smentito. Agli altri conviene puntare tutto nella sparata finale e sperare di averne più degli avversari.

Classiche primaverili

Basta attendere.

I giovani

Spesso siamo impazienti con i giovani, ma è indubbio che ci aspettassimo qualcosa di più da parte dei nati dal 1992 in avanti. In pochi sono riusciti a mettersi davvero in mostra. Meritano una menzione minima Dylan Teuns, solido con la BMC ma senza picchi particolari, Jasper Stuyven che ha beffato i velocisti alla Kuurne e poi s’è speso in aiuto a Cancellara ed infine Michael Valgren, secondo alla Amstel e presente con i migliori alla Liegi. I sorvegliati speciali di questa fase di stagione erano senza dubbio Benoot e Alaphilippe: sfortunato il primo rallentato da una caduta al Fiandre che poi ne ha condizionato il resto delle gare, brillante ma non vincente il francese della Etixx, che in realtà ha fatto una buonissima campagna sulle Ardenne alla quale però è mancato, quasi inspiegabilmente, l’acuto a Liegi.

Etixx

Alaphilippe ci fornisce l’assist per parlare di Etixx che da sempre è la squadra faro di questa parte di stagione. A guardare le vittorie qualcosa non ha funzionato: le uniche apprezzabili sono arrivate a Le Samyn (1.1) con Terpstra, alla Scheldeprijs (1.HC) con Kittel e alla Freccia del Brabante (1.HC) con Petr Vakoc (altro classe 1992 non citato prima). Poca roba e niente World Tour. Il nuovo acquisto Kittel, che aveva iniziato in maniera molto brillante in giro per il mondo, s’è un po’ perso, ma la sua stagione inizia tra qualche settimana, ci sono i presupposti perché possa far bene e dietro a lui sta già bussando Fernando Gaviria (che alla Sanremo ha rischiato di shockare il mondo). Vakoc sta crescendo e l’ingaggio di Daniel Martin finora ha mostrato qualcosa di buono (sia al Catalogna che sulle Ardenne). Sulle pietre sono mancate le gambe di Terpstra e Stybar, quasi invisibili, mentre Boonen sul velodromo di Roubaix ha rischiato di scrivere una delle pagine di sport più belle di sempre, ma Hayman gli ha scippato la penna in quello che è sembrato un po’ il canto del cigno in una stagione che per il resto non lo ha mai visto con una buona gamba. Bene Tony Martin (seppur in compiti di gregariato), solido ma a tratti impalpabile Trentin, dal quale continuiamo a volere un po’ di più.

Gli italiani

La smania che abbiamo sulle prestazioni di Trentin è giustificata dal fatto che continuiamo a vivere questa fase dell’anno con la disperata necessità di scovare da qualche parte un nostro connazionale in grado di fare qualcosa che non sia lavorare esclusivamente per i propri capitani. C’era tanta curiosità per le prime pedalate tra i “grandi” di Gianni Moscon e bisogna dire che non siamo rimasti delusi. Ovviamente per il momento non può che fare il gregario, ma il fatto che il Team Sky l’abbia “convocato” in quasi tutte le corse principali significa che sta rapidamente scalando le gerarchie e la sua presenza nel gruppo dei migliori alla Roubaix (prima di cadere) la dice lunga. Speriamo, nei prossimi anni, che non si trasformi, con la complicità della squadra, in un Oss e lo diciamo provando il massimo rispetto per Daniel, figura centrale delle corse della BMC che però non ha quasi mai avuto il beneficio sinora di poter correre la sua corsa, pur probabilmente avendone le qualità per farlo.

Positivi tra i nostri sicuramente Colbrelli e Rosa. Sonny dovrà passare ad un team World Tour (il suo contratto però scade nel 2017), vogliamo vederlo con più continuità nelle corse “che contano”, intanto si è piazzato nei 10 alla Sanremo (corsa che prima o poi vincerà) e terzo all’Amstel. Rosa invece ha ripreso da dove aveva smesso l’anno scorso, il motore e le capacità di guida sono indiscutibili, arriverà anche l’acuto.

Se si parla di italiani non possiamo non parlare anche del nostro miglior ciclista. Nibali paga, come tanti altri scalatori presenti alla Tirreno, la cancellazione della tappa del Monte San Vicino. Ma per il resto non l’abbiamo mai visto con il colpo di pedale efficace. Alcune volte c’ha provato senza però essere incisivo, molto più spesso ha arrancato staccandosi più per demeriti propri che per attacchi altrui. Il giudizio sulla sua stagione dipenderà esclusivamente dal Giro d’Italia, dove è favorito numero uno, ma sinora ci saremmo aspettati qualcosa di più.

Unica nota davvero positiva quella di Enrico Gasparotto, che a 34 anni (ri)vince l’Amstel Gold Race (già vinta 4 anni fa) acuto in un mese nel quale si registrano i piazzamenti alla Freccia del Brabante (secondo), alla Freccia Vallone (quinto sul muro di Huy) e alla Liegi-Bastogne-Liegi (12esimo).

Classiche primaverili, Una dedica commovente

Una dedica commovente

Il problema sicurezza in corsa

Questa prima parte di stagione sarà ricordata, purtroppo, anche per la morte di Antoine Demoitié, compagno di squadra di Gasparotto alla Wanty, investito da una moto dell’organizzazione della corsa alla Gent-Wevelgem. Il problema della sicurezza in corsa resta di primo piano. Anche nelle settimane successive all’incidente mortale del francese si sono susseguiti altri episodi che magari sono sempre capitati e ai quali ora si pone molta più attenzione, ma che evidenziano che così non si può continuare. Il ciclismo, da casa, non viene quasi mai percepito come uno sport pericoloso e se alla pericolosità dei tracciati ci si mettono anche i mezzi al seguito della corsa (veramente troppi) con le loro manovre spericolate allora il concetto di pericolo viene ulteriormente amplificato. La cosa più imbarazzante, da semplice appassionato quale sono, è che ad un mese dall’accaduto c’è la sensazione che in sostanza non si sia fatto nulla di concreto per evitare che certe cose accadano di nuovo.

Il doping meccanico

Questo è l’altro argomento “non sportivo” che è esploso nelle ultime settimane. Ho letto un po’ qua e visto un po’ là, non ho le competenze per spiegarvi cosa bisogna fare, né tanto meno ci tengo a buttare fango a caso su ambiente e su corridori. Quello che so è che il problema mi pare sia stato preso in considerazione dagli organi preposti (sognavo di poter usare questa perifrasi prima o poi…) e, come sempre, chi viene beccato ad imbrogliare nel ciclismo poi paga e di quello prenderemo atto. Per il resto ho altro da fare (tipo organizzare le preview per il Giro d’Italia che parte tra una decina di giorni) che perdermi in seghe mentali e deduzioni pindariche.

azazelli

Da giovane registravo su VHS tutte le finali di atletica, mondiali ed olimpiadi, poi m'hanno cancellato il record di Donovan Bailey con Beautiful e mi sono dato al download. Vivo di sport, cerco di scriverne.

Potrebbero interessarti anche...

7 risposte

  1. angyair ha detto:

    Dell’aiutino di Démare alla Sanremo non ne parliamo no?????
    Me lo aspettavo in fondo….

  2. mlbarza ha detto:

    Effettivamente è doping meccanico pure quello di Démare:-)

    Concordo sulle differenze notate tra pietre ed Ardenne, mi pare di poter aggiungere che però, casi rari a parte, il singolo che fa la differenza su un gruppo più o meno ampio sia notevolmente in calo in tutte le corse di un giorno, e non solo per quanto riguarda le cotès (dove è addirittura esagerata). La Sanremo si presta più ad arrivi di gruppo per conformazione, ma la Roubaix stessa negli ultimi anni ha visto più arrivi in volata che arrivi in solitaria. Forse il Fiandre è ancora una bella eccezione in tal senso.

    Bisogna capire se c’è la possibilità di fare qualcosa per rompere un po’ questo attendismo, ma non saprei nemmeno io cosa. In fin dei conti è frutto del livellamento dei corridori e delle preparazioni (e delle tattiche in corsa) fatte con lo stampino e gestite in maniera massiva a livello di squadra. Quando entrò il Team Sky anni fa e si iniziarono a scoprire i dettami scientifici con cui intendevano gestire il ciclismo, si era anche piacevolmente colpiti dalla cosa, ora che questo tipo di gestione (che si è visto funzionare) si è diffusa capillarmente il piattume potrebbe essere all’ordine del giorno.

    Ci si è lamentati per anni che le gare su lunga distanza dello sci di fondo, causa partenza in linea, fossero diventate troppo simili a quelle tappe del Tour dove non succede una fava e si aspetta solo la volata. Tra qualche anno magari ci si lamenterà che tutte le corse sono diventate come le noiose tappe in pianura del Tour…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *