Il rumoroso silenzio della sconfitta (Carpi- Lazio 1-3)

Carpi-Lazio, Gli è venuto il piedino....

Gli è venuto il piedino….

E’ finita nel modo peggiore. La grande stagione del sogno chiamato Serie A si è probabilmente conclusa sul piedino (quello che per i tennisti è il braccino) di Jerry Mbakogu, protagonista della cavalcata degli Immortali verso la massima serie e oggi additato come responsabile numero uno della disfatta. Al Carpi resta la speranza di capovolgere il pronostico a Udine in concomitanza con almeno un pareggio del Verona a Palermo domenica prossima (perché ridete, voi, là in fondo?). L’ultima, misera speranza di salvezza è insomma legata alla buona sorte, al giro fortunato della slot machine, dove inserisci una monetina, tiri la leva e poi speri che l’insieme delle figure che ti si parano davanti modifichi la tua esistenza in un batter d’occhio. E’ stato così un po’ tutto l’anno, l’attesa di non subire troppo l’avversario, giocare con l’anima più che coi piedi, buttarsi oltre ogni ostacolo ed attendere l’episodio favorevole. Con la Lazio è cominciata proprio così, con un rigore piuttosto dubbio fischiato a favore del Carpi e calciato maluccio (eufemismo) da Jerry Mbakogu alla propria destra. Marchetti ci arriva, respinge e Isaac Cofie manca un tap-in vincente piuttosto semplice anche se da posizione defilata.

La squadra di Castori si affloscia su quell’episodio e subisce una Lazio non tanto debordante quanto facilitata dalla poca gamba dell’avversario. Sul primo gol servono tre tiri dei laziali, due dei quali respinti a portiere battuto da Raffaele Bianco, mentre il resto dei Biancorossi resta dietro a guardare, come fanno i rugbisti che non partecipano alle azioni di mischia e attendono di capire se e quando uscirà la palla in loro direzione. Il raddoppio è un discesa facile facile con scambi rapidi dei Biancoazzurri che permettono a Candreva di raddoppiare a porta vuota. Il Carpi è in ginocchio, la strategia è fallita abbastanza rapidamente e quel rigore mancato sullo 0-0 sta pesando come un macigno. Ma Rocchi ne fischia un altro. Un’altra chance, forse l’ultima, per riaprire i giochi. Il pubblico incredulo vede Mbakogu prendere il pallone, piazzarlo sul dischetto e mettersi dritto in piedi davanti alla porta avversaria. Calcerà di nuovo lui. Il momento del riscatto o quello del fallimento eterno. Lo stadio si trasforma in brusio, il brusio diventa fastidio, qualche fischio, dalla curva parte una “Carpi! Carpi!” che sembra mischiarsi ad un “Jerry! Jerry!”. Ci si crede ancora. E’ il momento della speranza. Mbakogu calcia esattamente nello stesso angolo di prima, stavolta addirittura più piano. Malissimo. Marchetti para. È finita.

Nella ripresa il Carpi si butta in avanti, colpisce una traversa, non sfrutta un paio di buone occasioni e Miro Klose la punisce con un contropiede perfetto e in solitaria conclusione nel cuore dell’area. Mbakogu, proprio lui, come tragica finale beffa del fato, accorcia a porta vuota. Non dopo aver mimato il gesto di zittire la curva, quella che lo scorso anno, di questi tempi, era piena di ultras del Modena a cui lui segnava il gol del 2-0 per il Carpi mostrando loro l’orecchio in gesto di sfida. Quel ditone appoggiato sul naso in segno di provocazione, spalanca le porte dell’inferno del tifo. La gente, semplicemente, impazzisce. Il Carpi ha avuto una stagione strana, tutta da rileggere per comprenderne davvero gli errori ripetuti nei mesi che l’hanno costretta a giocarsi tutto in una partita difficilissima e condizionata da eventi assurdi. Ma quel dito, da una punta titolare ferma a un gol (su rigore) fino a ieri, e con prestazioni discutibili dall’inizio a oggi, non ci sta. Non ci sta nell’atteggiamento di chi ha sempre dato l’impressione di scendere in campo con un approccio di superiorità che non si è mai palesato in concreto, come se alla fine, Jerry, sentisse di meritare qualcosa di più di un Braglia semivuoto; magari un Anfield Road ai suoi piedi o un Camp Nou completamente estasiato. La brutta copia del più insofferente degli Zlatan Ibrahimovich che non ha un quinto dei numeri dello svedese e nessun dato statistico per ergersi come superiore ad una curva frustrata che vede in faccia la retrocessione e che crolla, nel momento ultimo, proprio sui piedi del nigeriano.

Jerry Ibramkogu

Jerry Ibramkogu

Le responsabilità, però, sono sempre di chi guida l’imbarcazione, non si retrocede quasi mai per colpa dell’ultimo dettaglio. O per colpa solo di quello. Anche se il momento è decisivo, la penultima di campionato vale esattamente gli stessi punti della prima, anche se, ovviamente, il momento è più decisivo. Ne parleremo, abbiamo detto, c’è l’ultima fermata, l’ultima sosta di questo viaggio comunque meraviglioso. Ma negli occhi, oggi, abbiamo solo i due rigori sbagliati, i due momenti cruciali e decisivi della stagione, i due match point scagliati a rete prima della rimonta crudele di un avversario che da preda diventa predatore. Prima del crollo mentale. E anche se quel dito non ha fermato gli applausi ai ragazzi a fine gara è stato il segno incontrollabile di chi, forse, non ha l’umiltà di comprendere quale sia, realmente, il proprio ruolo e quale l’approccio da tenere in campo. Mentale e non solo. Perché pure Baggio e Del Piero sbagliavano i rigori (magari due alla volta no, ma pazienza) ma non hanno mai lasciato, come ultima immagine del proprio essere atleti, la totale assenza di rispetto per il proprio pubblico, nonostante grandi campioni lo fossero davvero e ne erano perfettamente consapevoli. Non è questione di coraggio o di battersi fino in fondo, è questione dell’istinto decisivo di chi deve azzannare la partita, morderla fino all’osso, non osare sfidare l’impossibile, non osare più del proprio potenziale. Il secondo rigore, ad esempio, non andava calciato dal numero 99. E non andava certo piazzato come il primo a mo’ di sfida. Non andava calciato peggio del primo, palesando grande tensione e insicurezza. Perché quando sei uomo di sport sai che nella mente delle persone, negli occhi del pubblico sarà quell’episodio a rimanere impresso e che a caldo nessuno potrà mai reagire con applausi a due rigori due calciati in quel modo. Se reagisci così qualcosa non va. Qualcosa non è andato a Carpi, tutto l’anno. Qualcosa non è andato nell’ultimo decisivo scontro. Qualcosa non è andato in quello zittire tutti, come a voler togliere anche il diritto di sentirsi sconfitti. Qualcosa non è andato nell’uomo che più ha rappresentato, con 15 gol, la cavalcata verso questo sogno e che, oggi, lo stesso piede, sembra averci tolto risvegliandoci bruscamente con due pedate d’altri tempi.

“Ma quando cinque minuti dopo, e chi ha visto quella partita sa che non mento, ridiedero un calcio di rigore all’Inter, per chi s’intende di calcio, ma a questo punto anche per chi non se ne intende, è facile capire la difficoltà per un giocatore che ha appena sbagliato un calcio di rigore, di riassumersi la responsabilità di ritirarlo.

Lui guardò tutto lo stadio negli occhi. E tutto lo stadio fece : ” No! Puttana Eva…”.
<<Lo tiro io !>> E mise la palla sul dischetto del calcio di rigore con la sicurezza dell’uomo che non avrebbe risbagliato. E risbagliò!

Lode a Evaristo Beccalossi – Paolo Rossi, brano sui due rigori falliti dal fantasista dell’Inter contro lo Slovan Bratislava nei sedicesimi di Coppa delle Coppe

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8 risposte

  1. azazelli ha detto:

    Ma si possono tirare due rigori così?!?! È vero che il Carpi probabilmente è mancato quando c’era bisogno di fare quel qualcosa di più: sostanzialmente nelle ultime giornate la sensazione è stata che ci si volesse salvare solo grazie al calendario. Arrivati a questo punto è un peccato, però è stato comunque bello sperarci sino a 90 minuti dalla fine.

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