Ciao Nicky

Ciao Nicky. Così, semplicemente, come si salutano quei vecchi amici che magari vedi raramente e che, in fondo da qualche parte nel tuo cuore, pensi che comunque non perderai mai di vista del tutto, come se i giorni non avessero mai fine. Lo salutiamo così, Nicky, con un ciao, come fosse un amico, uno di quelli che per tante domeniche cercavi nella lunga lista di piloti, nel mezzo della bagarre, o in fondo, nelle posizioni che non contano. Gli abbiamo voluto bene a Nicky, perché era un ragazzo tranquillo, ma sopra le righe, perché aveva talento anche se non era un fenomeno, perché a Laguna Seca poteva vincere anche tenendo il cane al guinzaglio. Nel 2005, quando la MotoGP tornò nel mitico circuito californiano, fu imbarazzante vedere come riuscì a metterli tutti in fila. Il Cavatappi sembrava il passaggio più semplice del mondo tanto lo aveva memorizzato e dominato negli anni delle corse americane. Alcuni cadevano e si lamentavano perché, dicevano, quello non era un circuito per moto. E lui tranquillo, là davanti, lui che non aveva mai vinto un gran premio, staccava il resto del mondo e dominava in scioltezza.

Peccato non fosse sempre Laguna Seca. Di Hayden si è sempre detto che fosse un buon pilota, pulito, uno che faceva fatica a restare in testa, senza punti di riferimento, ma aveva una regolarità spaventosa. In Honda, nel suo periodo d’oro, si dimostrò sempre grande seconda guida, chiunque fosse il suo compagno. Dopo l’anno da rookie mise in mostra proprio la capacità di piazzarsi sempre in ottime posizioni. Fu un anno costellato da molti ritiri e da un infortunio, capitato fuori dal giro del Motomondiale, ma, fatto salvo un GP, non arrivò mai sotto il 5° posto. Poi venne il 2005, Laguna Seca, la prima vittoria, sei podi e il terzo posto finale. Era il preludio di ciò che sarebbe accaduto l’anno dopo, quando Nicky avrebbe compiuto un’impresa impossibile anche solo da pensare.

Era l’epoca dello Squalo Valentino Rossi, uno che aveva vinto già tanto e che stava divorando i campionati un anno dopo l’altro, monopolizzando podi e primati. Cinque volte consecutivamente campione della Classe Regina con in mezzo un passaggio dalla Honda alla Yamaha con la quale trionfò al primo colpo facendo cadere certezze e, forse, qualche testa in casa Honda. E fu proprio Hayden a regalare la vendetta alla casa di Saitama che stava lì ad aspettare l’exploit dell’eterna speranza Dani Pedrosa. Fu un campionato strano, magico, assurdo. Rossi perse molti punti, non sempre per colpa sua e, nel tentativo di rimontare, commise un errore durante le prove di Assen con gomme troppo fredde su un circuito bagnatissimo. Rossi corse menomato, la sfida venne monopolizzata dal suo compagno di squadra, Colin Edwards, e da Hayden. Edwards sbagliò l’ultima chicane, quando era in testa, e finì per i prati. Nicky vinse la gara inaspettatamente per poi concedere il bis, un mese dopo, sempre a Laguna Seca. Hayden non sbagliò un colpo quella stagione; non aveva il passo del campione, ma finì sul podio dieci volte e non si ritirò mai. Quasi mai…

La flessione dopo l’estate riporta sotto gli inseguitori, e proprio Valentino, che a un certo punto è terzo, prima scavalca Pedrosa, poi mette nel mirino Hayden. A Nicky basta ritrovare concentrazione e non fare sciocchezze, difendendosi può compiere un’impresa titanica, essere il topolino che sconfigge l’elefante. Ma al penultimo GP succede l’impensabile. E’ l’epoca in cui non possiamo realmente saltare in piedi sul divano al richiamo di Guido Meda, perché Mediaset interrompe la gara per gli spot pubblicitari, lasciando un minuscolo schermo in un angolo in basso dove poter continuare a seguire la gara. E’ l’epoca del tubo catodico e i telefoni cellulari non sono ancora smart. Hai voglia a stare in piedi sul divano, c’è da stare incollati allo schermo se no non si vede un cazzo. E proprio in quel quadratino vedi le Honda cadere. Pedrosa abbatta inspiegabilmente Hayden. “Why you, son of a bitch!” pare sia l’urlo che esce dal casco dell’americano. Hayden si ritira, la frittata è fatta. Valentino va in testa alla classifica di otto punti.

Rossi aveva subito colpe di altri in quel campionato e sbagliato già troppo di suo per gli standard a cui ci aveva abituato, eppure era tornato in testa proprio nella volata finale. Lo Squalo di quel periodo non avrebbe fatto prigionieri. E invece l’impossibile accadde: Valentino sbagliò ancora. A Valencia, un week end fantastico culminato nella pole position si trasforma in disastro per via di una partenza dove l’italiano viene risucchiato da parecchi avversari. Rossi sa che può gestire la distanza di otto punti in classifica generale, ma cerca subito di rimediare. E cade. Così, all’improvviso, come se la moto non reggesse la sua frenesia di vittoria, scivola a terra. Troy Bayliss, che inforca la Ducati per la prima volta in quel campionato, taglia il traguardo mentre gli altri sono ancora sotto gli ombrellini delle ragazze al via. Nicky Hayden compie l’ennesima gara liscia e senza errori e arriva terzo. Valentino, con le ossa rotte, è tredicesimo. Davanti a noi succede l’incredibile e lì sì, saltiamo sul divano. Non è il tifo contro, non è la voglia di vedere Rossi perdere, è l’idea dello sport che si purifica, è l’impossibile che si avvera, l’imbattibile che perde e rende tutto più terrestre, umano, vicino a noi e ai nostri inutili sogni di normalità. E’ Eli Manning che abbatte gli invincibili Patriots, Miami che rimonta e schiaccia i Mavericks, Buster Douglas che abbatte Mike Tyson, l’Amburgo di Magath che annichilisce la Juventus di Platini, il field goal di Appalachian State che manda al tappeto Michigan. E’ l’impossibile che avviene sotto i tuoi occhi, nell’incredulità del tifo e nella magia dello sport. Da quando si chiama MotoGP, la classe regina ha avuto un solo Re, che in quel momento abdica, davanti al brutto anatroccolo Hayden, e allora lì lo senti davvero tuo amico, perché ci hai voluto credere con lui, perché hai voluto sperare che il filo di monotonia e dominio attorno al quale si era legato il Motomondiale venisse finalmente strappato.

Nicky Hayden dimostrò al mondo che Valentino, quel Valentino, era battibile. Il più forte, sì, ma battibile. Dimostrò che anche nei motori, che anche in uno sport fatto di mezzi meccanici, le imprese potevano accadere. Anche contro un amico, uno vero, che con lui ha condiviso scuderie e battaglie, un amico che risponde al nome del nemico di quel meraviglioso anno, un amico che si chiama Valentino Rossi. Quello che è successo dopo non ha alcuna importanza, Hayden aveva già dato alla MotoGP più di quanto ci si potesse aspettare. E nel tragico destino che lo ha unito ad un altro pilota fenomenale, Michael Schumacher, il fato più nero lo ha atteso lontano dal rischio di quei bolidi velocissimi. E’ stato investito mentre guidava una bicicletta, Nicky. E oggi il suo cuore si è spento, troppo presto e con troppa crudeltà. E’ il destino di tanti sconosciuti, non vogliamo essere ipocriti, ma parliamo di sport e, oggi, parliamo di lui. Soprattutto di lui. Non era spettacolare, forse non aveva nemmeno il pedigree da vincente ad alti livelli, ha vinto solo tre gran premi (in due diversi circuiti), ma nella sua bacheca brilla il trofeo più incredibile. Quello di quando sconfisse lo Squalo contro ogni pronostico. E, tranne i super tifosi del 46, ci sentimmo tutti partecipi di un evento pazzesco. E brindammo con lui, il nostro amico. Nicky Hayden, morto a Cesena e vivo nella memoria di questo sport e di quell’afoso pomeriggio di Valencia. Ciao Nicky.

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