Super Bowl LI – Era 28-3

Un altro destino

Era 28-3 ed era metà del terzo quarto. Nemmeno il TD nel drive successivo aveva il sapore della rimonta per i Patriots: ci avevano messo troppo tempo “come fanno a rimontare 4 possessi se ci vogliono 6 minuti per fare un touchdown?!”, “…se poi ci si mette pure Gostkowski a sbagliare gli XP!!”. Si iniziava l’ultimo periodo sul 28-9, ma l’attacco dei Patriots era finalmente entrato in ritmo: Blount, fuori da una partita in cui non riusciva a guadagnare nulla, era stato sostituito da Lewis e soprattutto da James White (autore di un match sontuoso anche quando sembrava non funzionare nulla in casa Belichick). In più ci avevano pensato i vari Edelman, Amendola e Mitchell a permettere il cambio di marcia.

Piccolo fast-forward e siamo nel momento che ha deciso questo Super Bowl che sembrava già deciso. Atlanta è avanti 28-20, poco prima Ryan aveva suo malgrado regalato a New England la miglior posizione di partenza della nottata: un fumble mentre era braccato dalla defensive line avversaria, che aveva generato 8 punti molto rapidi. Matty Ice (non a caso) però dimostra di saper resettare il tutto, lancia un diamante su una copertura molto stretta, il fatto determinante della vicenda è che dall’altra parte del lancio perfetto c’è l’evoluzione della specie dei wide receiver, quello che più si avvicina all’eredità pesante lasciata da Calvin Johnson: Julio Jones fa un numero che ai tifosi Patriots ricorda tristemente la ricezione di Manningham nel Super Bowl XLVI, là si andava per la rimonta, qua ci si mette in posizione per mandarla praticamente in ghiaccio.

Con quella ricezione fantascientifica infatti i Falcons si portano a 22 yard dalla linea di meta o meglio ancora a 40 yard da 3 punti fondamentali. Mancano poco meno di 5 minuti alla fine della partita, Atlanta viene da 175 minuti di football praticamente paradisiaci: ha dominato i Seattle Seahawks, ha dominato i Green Bay Packers, ha dominato i New England Patriots, è a 3 punti dal poter vincere il suo primo titolo; Atlanta è stata onnipotente in tutti gli aspetti del gioco nelle ultime 2 partite e 55 minuti ed è questo il momento esatto in cui crede effettivamente di esserlo, e perde.

Il play call che ne consegue è tremendo. Gli obiettivi da perseguire sono principalmente 3: 1-non perdere la palla, 2-non uscire mai dal range di field goal, 3-rubare tempo al cronometro, avvicinare la fine (scappare dal destino…). Kyle Shanahan con le sue chiamate riesce a fallire quasi in tutto: dopo una corsa infruttuosa, che però appartiene allo script di cui sopra, arrivano un tentativo di lancio che porta l’attacco a retrocedere di 12 yard causa sack e poi un altro tentativo di lancio che porta dapprima a un guadagno di 9 yards grazie alla ricezione di Sanu che fa tirare un sospiro di sollievo ma che poi é sostituito da un holding che fa sprofondare definitivamente i Falcons in un baratro quasi spirituale.

Ed è proprio lo stesso spirito che aveva pervaso le mani ed il casco di David Tyree che si ripresenta a 9 anni di distanza sullo stesso palcoscenico a rendere ai Patriots ciò che era stato tolto loro: se la ricezione di Julio Jones, poi resa vana da quanto detto, aveva tutte le potenzialità per essere la Manningham 2.0, quello che fa Edelman su una palla intercettabile è la Tyree 2.0.

Andiamo al di là da quanto previsto dalle leggi della natura: il Super Bowl entra in un’altra dimensione in cui l’unica consapevolezza di chi guarda è quella di assistere alla Storia. E non è solo per “la prima volta che un Super Bowl va all’overtime”, è qualcosa di molto di più. One for the ages: quella partita, che tra decenni tutti ricorderemo, sta prendendo forma.

Essere un Atlanta Falcons in quel momento è terribile. Non è un cuore che si spezza, è un cuore che si squaglia. Un attimo vorresti entrare nel televisore a deviare quei palloni chirurgici, l’attimo dopo vorresti solo non guardare. Arriva l’overtime, arriva il coin toss, ormai è un treno in corsa che va verso il destino, arriva anche una flag che piazza l’attacco dei Patriots a 2 yard dal Vince Lombardi Trophy, arriva un tuffo in endzone di James White (chi meglio di lui stanotte?) in cui guardi il replay sicuro che quel ginocchio non abbia toccato il terreno in tempo utile per prolungare la tua sofferenza.

Inevitabile

Era 28-3, adesso è 28-34 e le uniche parole che riesco a focalizzare sono due: grazie e GOAT. Odio la perifrasi “il più grande di tutti i tempi”, ma se c’è un momento in cui bisogna mettere da parte gli “odi” è questo: Tom Brady is the Greatest Of All Time: the GOAT.

GOAT

azazelli

Da giovane registravo su VHS tutte le finali di atletica, mondiali ed olimpiadi, poi m'hanno cancellato il record di Donovan Bailey con Beautiful e mi sono dato al download. Vivo di sport, cerco di scriverne.

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4 risposte

  1. Io non credo che riuscirò mai a dire che Brady sia il GOAT fra i QB, però di una cosa sono sicura: un GOAT i Patriots ce l’hanno, e si chiama Bill Belichick
    Brady è un diamante che in un sistema perfetto risplende ancora di più, ma se togli lui e ci metti un sasso (qualcuno ha detto Cassel?), il sistema continua a funzionare molto bene

  2. Joe ha detto:

    Come era? Vince New England perché Brady non perde (cit.).
    Io non riesco ancora a spiegarmelo, sono incredulo per come si era messa la gara. Però ho in mente due facce di Brady: lo sguardo perso e abbattuto dei primi due quarti e lo sguardo quando è stato inquadrato dopo il fumble di Matt Ryan sul 28-12. Lì ho capito che Tom e i Pats avrebbero azzannato la preda. Terrificanti.

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