1982 – Siam tutti figli di Bearzot

Millenovecentottantadue. A volte basta solo pronunciare questa annata per evocare un momento preciso, una data dentro la quale, negli anni, si è fatto confluire di tutto. Il momento in cui, nel nostro paese, sono crollate le ultime resistenze verso il boom economico, la Milano da bere, il benessere del popolo guidato dalle nuove televisioni private, dagli aperitivi in centro, i paninari, le mode ricche, scialbe e uniformate, la musica (iper)commerciale. Il momento in cui le vacche erano grasse e nessuno sembrava preoccuparsi del debito pubblico che cominciava a crescere in modo devastante. Momenti in cui il terrorismo rosso e nero pareva finalmente battuto, le guerre si combattevano solo in Medioriente e alla Falkland, che non avevi nemmeno mai sentito nominare, e le voci più rassicuranti erano quelle della radio di Tutto il calcio.

A inizio anno la polizia liberava il generale americano James Lee Dozier e il fenomeno del brigatismo rosso sembrava giunto definitivamente a fine corsa. La mafia uccideva ancora ma sembrava un problema relativo a un paio di regioni, la scala mobile galoppava e i pranzi della domenica erano accompagnati dagli eroi delle monoposto in Formula 1, fino a quel drammatico 8 maggio che si portò via Gilles Villeneuve in uno dei momenti più assurdi e drammatici della storia dello sport motoristico.

È difficile aver nitidezza di quei ricordi quando soltanto il tonfo che senti nel cuore ripensando alle lacrime e ai silenzi ti fa comprendere le dimensioni della situazione. Il 13 giugno, in Canada, il paese natale di Gilles, il destino porterà con sé anche il giovanissimo Riccardo Paletti che terminerà la propria vita contro la Ferrari di Didier Pironi il quale, pochi mesi dopo, uscirà da un altro incidente senza poter più utilizzare gli arti inferiori. Lo sport era visibile come mai lo era stato prima e gli eroi della domenica erano protagonisti di un perenne ed epico scontro nelle arene del calcio che stava trasformando il tutto da popolare a mainstream senza che davvero ce ne rendessimo contro.

Quell’anno sarebbe diventato per tutti l’Ottantadue, un numero più breve che evoca, in un attimo, il momento sportivo più grande dello sport italiano, il più inatteso e, per questo, forse, il più dolce. Un atto di eroismo calcistico che ha pochi paragoni al mondo. L’anno in cui l’Italia uscì dalle ombre, anche grazie ad un gruppo di calciatori guidato dal Vecio, Enzo Bearzot, e agli abbracci, nemmeno troppo virtuali, del presidente partigiano Sandro Pertini.

Made in Italy

Nel 1978 gli azzurri erano arrivati a un passo dalla finale del mondiale dei Colonnelli, unici a battere, nel girone, l’Argentina padrona di casa. Tutti scrissero che quell’Italia aveva espresso un calcio di grande livello e gettato le basi per il futuro che, nell’immediato, era il campionato europeo del 1980 organizzato tra le mura amiche. I due anni che divisero le due competizioni furono invece avare di buone critiche nei confronti di Enzo Bearzot, accusato di essere obsoleto, superato e testardo nella sua insistenza a convocare giocatori bolliti o buttare nella mischia giovani non troppo pronti.

L’europeo in casa va male, gli azzurri battono 1-0 l’Inghilterra ma pareggiano con Spagna e Belgio e vengono eliminati. Finiscono quarti, ai rigori nella finalina, senza aver mai perso ma senza aver mai nemmeno convinto. Il preambolo è però lo scandalo del calcio scommesse, con la polizia che fa irruzione negli stadi, in una domenica come tante, e arresta giocatori e dirigenti. Tutto è cominciato per via della denuncia di un fruttivendolo romano, ma la cosa assume presto le dimensioni del disastro. Il Milan finisce in B, in manette ci finiscono Bruno Giordano e, soprattutto, Paolo Rossi, uno su cui Bearzot sembrava voler puntare ancora dopo l’esperienza del 1978 nella quale il ragazzo aveva timbrato il cartellino tre volte.

Nel 1982 la mafia uccise Pio La Torre, Calogero Zucchetto e il generale dalla Chiesa. Nel 1982 si sarebbe compiuto il massacro di Sabra e Shatila nel silenzio del mondo buono. Jimmy Connors vince Wimbledon, nascono le “alleanze” televisive che porteranno a Italia 1 e Rete 4, Il pranzo è servito diventa il primo quiz ad andare in onda nella fascia oraria del mezzogiorno, muore Grace Kelly e vengono arrestati Tommaso Buscetta e Licio Gelli.

La moneta da 500 lire è la prima al mondo ad essere coniata con una composizione bimetallica; al cinema escono ET, Terminator, Conan il barbaro, Blade Runner, Rocky III e Rambo. A New York 750.000 persone manifestano contro il nucleare, parte la vendita al dettaglio del Commodore 64 e viene prodotto il primo compact disc. Dominique Dunne viene uccisa dal proprio fidanzato, il corpo di Roberto Calvi è ritrovato penzolante sotto il ponte dei Frati Neri di Londra, viene pubblicato Thriller di Michael Jackson e l’Italia passa attraverso tre diversi governi, due dei quali a guida Spadolini.

Il futuro

Il 27 luglio una commissione americana stabilisce che il virus che avrebbe terrorizzato l’occidente negli anni a venire si chiamerà “sindrome da immunodeficienza acquisita”, AIDS, e non più GRID (Gay Related Immune Deficiency) perché, pare, il problema non riguarda solo gli omosessuali. In Italia si registra il primo caso ufficiale. Facebook non esiste, quindi nessuno grida allo scandalo e al complotto della lobby LGBT che ha in mano la finanza mondiale. In cielo ci sono già le scie chimiche, il fumo uccide ma non lo scrivono sui pacchetti di sigarette, gli Abba si sciolgono e, a Rotterdam, l’Aston Villa vince la Coppa dei Campioni battendo 1-0 in finale il Bayern Monaco di Karl-Heinz Rummenigge grazie a un gol di Peter White. Il Barcellona vince la Coppa delle Coppe, il Goteborg la Coppa Uefa, la Juventus si attacca al petto la seconda stella non senza polemiche incrociate, questa volta, con la Fiorentina, l’Inter vince la Coppa Italia, il Milan la Mitropa Cup ma retrocede in serie B, stavolta sul campo.

È un anno come tanti, dove tante cose si potrebbero raccontare, dove tante ne sono accadute. Eppure, il 1982, l’Ottantadue, quando lo nomini, è solo una cosa. Che puoi declinare in diversi modi, ma sempre lì ricadi: Rossi, Tardelli e Altobelli. Giù il sipario. Questo è l’anno in cui si scrisse la storia. Questo è il Mondiale vinto dall’Italia. Anzi, il Mundial.

Naranjito

Dopo il pessimo europeo giocato in casa, un flop anche in termini di pubblico forse dovuto ai recenti scandali del Totonero, gli azzurri aprono il girone di qualificazione con un triplo 2-0 contro Lussemburgo e con prove piuttosto convincenti contro la Danimarca e la Jugoslavia che aveva ripassato la nazionale di Bearzot con un netto 4-1 in amichevole qualche mese prima. Stesso risultato ad Atene prima del crollo nel ritorno in Danimarca (1-3) e due pareggi a Belgrado e in casa con la Grecia. Con i danesi battuti dalla Jugoslavia l’accesso al mondiale è, per fortuna, già garantito quando, a Napoli, strappa il pass per la Spagna ma le ultime prestazioni hanno rilanciato la crociata anti-Bearzot. Inoltre la nazionale perde Roberto Bettega per infortunio.

Senza poter replicare la coppia di attaccanti del 1978, Bearzot convoca comunque Paolo Rossi, fermo da circa due anni ma riabilitato anzitempo dalla giustizia sportiva, e lascia a casa Roberto Pruzzo, capocannoniere della Serie A. Per la stampa, e non solo, la scelta è scandalosa, ma il Vecio sa che, se vuole scommettere tutto su Rossi, non può giovarsi della compagnia del bomber della Roma che sarebbe, per forza di cose, una spina nel fianco troppo facile da sfruttare dalla stampa e una mina vagante nel clima dello spogliatoio.

Bearzot negli ultimi quattro anni ha sostanzialmente confermato la formazione di Argentina ’78, inserendo pian piano gente come Altobelli e Marini, pronta ad inserirsi rapidamente nel “sistema” e assolutamente avulsa alle polemiche del momento, ma anche Lele Oriali, Giuseppe Dossena, Pietro Vierchowood e Giuseppe Bergomi di anni 18. Fa esordire anche un certo Carlo Ancelotti, ma nei 22 decide di portare, nonostante gli venga suggerito uno tra Walter Novellino e Salvatore Bagni, un esterno della Roma, Bruno Conti, con cui chiude i convocati a centrocampo e che lui stesso ha fatto esordire in azzurro proprio nel 2-0 rifilato a Lussemburgo, un risultato che portò l’intera stampa nazionale a chiedere la testa del CT per via della prestazione più che mediocre.

In attacco, senza Pruzzo, i selezionati sono Paolo Rossi, Francesco Graziani, Alessandro Altobelli, Franco Selvaggi e Daniele Massaro. Per tutti Enzo Bearzot è vecchio come idee e come gioco, immobilizzato al 1978 da cui non è riuscito ad emergere pienamente, non tiene conto dell’attualità e di ciò che ha raccontato la Serie A negli ultimi due anni. E punta su Rossi, uno che ha ricominciato a calcare i campi il 2 maggio precedente (segnando un gol), cioè meno di un mese e mezzo prima del fischio d’inizio della Coppa del mondo. E poi c’è Dino Zoff, che ha 40 anni, per la critica doveva uscire di scena dopo il mondiale sudamericano di quattro anni prima, per il mister è un punto di riferimento intoccabile. Le tre amichevoli giocate prima del via ci regalano una sconfitta con Francia e Germania Est (2-0 e 1-0) e un pareggio in Svizzera (1-1). In una sola parola, per esperti e non, il tour spagnolo sarà semplicemente un disastro.

Totem

Il mondiale spagnolo apre le porte a 24 selezioni, un numero mai visto prima. Joao Havelange, che va in cerca di voti per le (proprie) future riconferme alla guida della FIFA, vuole accogliere la richiesta dei paesi extraeuropei che chiedono maggiore rappresentanza. La mediazione, ottenuta soprattutto grazie all’intervento di Artemio Franchi, porta all’allargamento delle squadre iscritte in una Spagna rediviva dopo decenni di franchismo in cui il miracolo economico non è ancora esploso ma impianti e organizzazione, per l’epoca, sono di ottimo livello. L’Italia finisce nel Gruppo 1 con la temibile Polonia, il Perù e il Camerun. Tolto lo scontro con Boniek e compagni, in una situazione normale, la qualificazione sarebbe una passeggiata. Inoltre c’è anche il clima che sembra favorevole: rispetto ad altre zone della Spagna a Vigo si giocherà un girone con temperature inferiori e una discreta ventilazione. Questo dovrebbe far sprecare meno energie alle squadre impegnate nel primo gruppo, ma le preoccupazioni di Bearzot e dei suoi ragazzi sono ben altre.

PRIMA FASE A GIRONI

L’Italia esordisce proprio contro la Polonia, il 14 giugno. Bearzot rimane fermo sulle proprie posizioni, non cambia una virgola rispetto al previsto, con il blocco juventino piazzato in difesa, Fulzio Collovati stopper, Marini, Antognoni, Tardelli e Conti a centrocampo e la coppia offensiva Graziani-Rossi. L’Italia gioca bene. Boniek è sostanzialmente annullato da Tardelli, Claudio Gentile non fa passare nemmeno gli spifferi e la manovra offensiva appare più fluida. Jozef Mlynarczyk, l’estremo difensore polacco, è decisamente più impegnato (e preoccupato) di Zoff e nella ripresa solo la traversa lo salva da un colpo al volo di Tardelli.

La stampa, che pochi giorni prima del fischio di inizio gongolava sullo schiaffo rifilato da Bearzot ad Anna Ceci, tifosissima dell’escluso Evaristo Beccalossi, abbassa i toni prendendo atto che, forse, questa squadra non è così malmessa. Dopo quattro giorni, però, la critica si risveglia ancor più feroce. Affrontiamo il Perù e, dopo un ottimo primo tempo chiuso avanti grazie ad un grandissimo gol da fuori di Bruno Conti, ci chiudiamo nella ripresa venendo inevitabilmente dominati dai sudamericani che giungevano dal pareggio a reti bianche con il Camerun. Il Perù ha tre o quattro occasioni piuttosto ghiotte, di cui una gigantesca e, al 21°, se i vede negare un clamoroso rigore per fallo di Claudio Gentile. A meno di dieci minuti dal termine una conclusione di Ruben Diaz è deviata da Collovati e regala il meritato pareggio a Barbadillo e compagni: apriti cielo. Bearzot è rispedito seduta stante al patibolo mediatico.

E non è finita. Nella giornata decisiva del girone la Polonia ne fa cinque al Perù mentre l’Italia, di nuovo in vantaggio grazie ad un gol di testa di Graziani su cross di Rossi, è subito raggiunta da Gregoire Mbida che regala il pari al Camerun. La partita è brutta, inconsistente e scivola via verso la fine quando, a metà ripresa, gli africani capiscono di poter terminare il mondiale da imbattuti. Un risultato storico per una squadra del continente nero che decide così di rallentare il ritmo e di non tentare il tutto per tutto per puntare a una incredibile qualificazione. L’Italia non se lo fa ripetere due volte e comincia una melina infinita e fastidiosa che permette agli azzurri di passare il turno grazie alla differenza reti.

Di riffa o di raffa

Negli altri gironi lo spettacolo è alterno ma le sorprese non mancano. La Germania Ovest è alla fine di un ciclo ed ha in Karl-Heinz Rummenigge la sua stella più luminosa anche se, si dice, il panzer non pare sia troppo in forma. All’esordio è un dramma: l’Algeria va in vantaggio con Madjer, subisce il pari da Rummenigge ma, un minuto dopo si riporta avanti e vince la partita. Clamoroso. I tedeschi si rifanno battendo il Cile 4-1 (tripletta di Kalle) e poi l’Austria (1-0) in una partita che fece imbestialire i tifosi neutrali per lo scarso impegno degli austriaci già qualificati che, perdendo quella gara, tennero di fatto fuori l’Algeria per differenza reti. Nell’epoca delle partite giocate non in contemporanea il 3-2 con cui gli algerini si erano sbarazzati del Cile permetteva di fare i giusti calcoli e un’Austria fino a quel momento decisamente solida si lasciò andare ad una partita troppo pigra che le tolse anche il primo posto nel girone.

Anche il Gruppo 3 si apre con i fuochi d’artificio: nella gara inaugurale del mondiale il Belgio affonda l’Argentina campione del mondo con rete di Erwin Vanderbergh, mentre l’Ungheria rifila la peggiore delle umiliazioni a El Salvador battendo i centroamericani per 10-1. Gli argentini si rifanno proprio contro l’Ungheria e mettono in mostra il gioiello di casa, Diego Armando Maradona, che al suo primo mondiale sfodera finalmente il suo talento con una doppietta nel 4-1 ai magiari; l’albiceleste fa poi fuori i salvadoregni (2-0) e chiude seconda dietro al Belgio che batte i El Salvador 1-0 e pareggia contro l’Ungheria.

Nel Gruppo 4 l’Inghilterra chiude a punteggio pieno battendo anche la forte Francia di Michel Platini per 3-1; i blues esordiscono con una sconfitta e si salvano senza brillare pareggiando con la Cecoslovacchia che era clamorosamente inciampata in un 1-1 contro il Kuwait, squadra degli emirati salita alla ribalta per l’invasione di campo di uno sceicco che riuscirà a fare annullare un gol regolare di Giresse durante la sfida con la Francia, vinta comunque 4-1 dai transalpini.

I padroni di casa faticano non poco nel quinto gruppo, dove avanzano anche grazie ad arbitraggi che concedono un rigore dubbio contro l’Honduras che permette alle Furie Rosse di pareggiare una partita cominciata male, e ne danno un altro generosissimo (sbagliato e fatto ripetere) contro la Jugoslavia nel match finito 2-1 per la Spagna. L’Irlanda del Nord batte comunque la squadra allenata da Josè Santamaria e vince a sorpresa il girone grazie ai due precedenti pareggi.

Il Brasile la fa da padrone nel proprio raggruppamento e chiude a punteggio pieno divertendo il pubblico segnando ben 10 reti in tre partite. Seconda arriva l’URSS, mentre la squadra simpatia è la Nuova Zelanda che però ne busca tanti un po’ da tutti: 5-2 con la Scozia, 3-0 coi sovietici e 4-0 con i Verdeoro, con Zico che apre le danze segnando in rovesciata. Arriva così la formazione dei gironi a tre squadre con una sola chance di qualificarsi. L’Italia, seconda nel proprio girone, incrocia l’Argentina che ha avuto lo stesso destino e, come prima, si trova il Brasile. È il momento di scrivere la parola fine. Si vola a Barcellona, al piccolo Sarria che diventerà poi il teatro involontario della messa in scena di una leggenda.

SECONDA FASE A GIRONI

Per la cronaca, negli altri gironi la Polonia arriva in semifinale battendo il Belgio (tripletta di Zibi Boniek) e fermando sullo 0-0 l’URSS in una partita che va oltre l’aspetto sportivo, proprio mentre svariati tifosi polacchi hanno già chiesto asilo politico al governo spagnolo per non dover rientrare in patria.Per la stampa polacca è solo “la partita del secolo”. La Germania fatica ancora, batte la Spagna 2-1 ma dopo lo 0-0 iniziale con l’Inghilterra deve sperare che i padroni di casa non crollino contro la nazionale dei Tre leoni. Finirà a reti inviolate con Rummenigge e soci che se ne vanno in semifinale. La Francia, finalmente in gran forma, batte Austria e Nord Irlanda e saluta tutti. E poi c’è il Gruppo C. Il gruppo del Sarria di Barcellona, anche se Havelange, per un attimo, tenta di spostarlo al Nou Camp, dove giocheranno Polonia, Russia e Belgio, ricevendo il diniego da questi ultimi che minacciano di ritirare la squadra in caso di spostamento.

La nazionale azzurra è entrata in silenzio stampa affidando al solo capitano, Dino Zoff, il giocatore meno loquace della storia del calcio, il compito di riferire con la stampa a nome di tutti. La decisione, clamorosa, è presa dopo ciò che si è scatenato sui giornali italiani, dal dileggio agli insulti, dal sarcasmo più becero al gossip pienamente inventato al solo scopo di destabilizzare lo spogliatoio che ormai sembra avere pochi tifosi anche al di fuori della carta stampata.

Bearzot è stato dipinto come un signore anziano chiamato in nazionale a fare l’allenatore mentre passava le proprie giornate a dare indicazioni ai turisti che gli capitavano a tiro nel suo bar preferito, in Friuli. Secondo alcuni articoli un paio di giocatori avrebbero una relazione omosessuale tra loro, affermazione che, oltre a cercare di creare un inutile scandalo a luci rosse, ha ben poca attinenza con i risultati sportivi. Per tutti Rossi è un ex calciatore e degli altri si salva solo, in parte, la difesa e qualche lampo qua e là dei centrocampisti, ma non c’è mordente, non c’è continuità, non c’è gioco. L’Italia dopo tre gare ha zero vittorie, i giornalisti si fregano le mani e attendono l’Argentina del genio Maradona e il Brasile col centrocampo più forte di ogni epoca, tutti pronti a festeggiare il crollo del nostro commissario tecnico e un bello zero nella casella delle vittorie. Il peggior mondiale di sempre.

Barcellona, Stadio Sarria, 29 giugno 1982

Italia e Argentina si affrontano sapendo che da quel match dipende l’unica flebile speranza di qualificazione. Bisogna vincere e poi andare in campo col Brasile e sperare in un miracolo. Bisogna vincere perché, in un girone a tre squadre, se perdi la prima hai un piede nella fossa. Un pareggio obbligherebbe comunque ad una difficile impresa contro i carioca, per questo ci si aspetterebbe un atteggiamento più aperto da parte di entrambe le squadre che, al contrario, per tutto il primo tempo, mirano a non farsi male riuscendoci anche abbastanza bene.

Nella ripresa il copione non cambia anche se l’Argentina comincia ad alzare il baricentro consapevole delle difficoltà di una squadra ormai mal sopportata da tutti in patria, come se ogni italiano non vedesse l’ora di porre fine a quel supplizio sportivo. Così facendo, però, Maradona e soci si espongono all’arte preferita dagli italici calciatori: difesa, e che difesa, e contropiede. E che contropiede. Minuto 55, come un fulmine a ciel sereno l’Argentina si trova sotto dopo una velocissima ripartenza degli azzurri, tre passaggi in corsa sull’asse Conti-Antognoni per mettere Marco Tardelli in condizione di calciare a rete. Diagonale di una precisione magistrale, Ubaldo Fillol è battuto.

Il vantaggio è talmente inatteso che l’Italia sembra incapace di gestirlo. Gli azzurri si chiudono a riccio dietro e subiscono il ritorno dei campioni del mondo. Passano pochi minuti e Daniel Bertoni, da due passi, si divora il pareggio schiantando un colpo di testa contro Dino Zoff che ha comunque un ottimo riflesso per la presa in un secondo tempo. Ancora qualche giro di lancetta e Maradona colpisce il palo su punizione. Tre minuti più tardi punizione dalla destra, Passarella di testa da posizione defilata impegna Zoff che, forse, cerca di mettere in angolo. Il pallone resta in campo ma è l’Italia a recuperarlo e a tentare di ripartire.

Gli argentini pressano altissimo, sentono la difficoltà degli avversari che, sotto pressione, faticano ad uscire dalla propria metà campo. Tardelli e Collovati palleggiano tra loro non senza difficoltà vicino alla linea laterale di destra, dentro la nostra metà campo, fino a quando lo stopper appena passato dal Milan all’Inter, non riesce a girarsi nella giusta direzione e vede Paolo Rossi che, con un movimento rapido e deciso, detta un lancio infilandosi in un buco gigantesco lasciato da tre avversari piazzati. Collovati lo lancia alla perfezione. È il momento della redenzione.

Rossi arriva in area e ha davanti il solo Fillol. È fatta, ci siamo. E invece no. Rossi spara addosso al portiere che si rialza subito e insegue il pallone. Una marea di gente si butta sullo sferoide come nemmeno nelle rissose partite tra bambini al parco da noi ribattezzate “tutti in area” ai tempi delle elementari. Da una carambola strana esce Sir Bruno Conti che insegue il pallone schizzato verso la linea di fondo. Lo raggiunge inseguito da Fillol che, in un attimo, si trova col culo per terra per la finta del giocatore della Roma. Bruno si ferma, non può calciare in porta, troppo defilato e con i difensori a fare buona guardia. Dietro di lui è rimasto Cabrini. È l’unico uomo smarcato in area e non si può non passargliela. Il bell’Antonio chiude gli occhi e calcia di potenza. Fillol, che sta cercando di rientrare, si tuffa, ma il pallone si alza fino a lambire la traversa. Nessuno può nemmeno sfiorarlo. Il Sarria esplode. L’Italia esplode. Gol, due a zero.

Il 2-0 all’Argentina

Due a zero ai campioni del mondo. Rossi avrà la possibilità di chiuderla ma la fallirà, l’Argentina rientrerà così in partita con una punizione di Daniel Passarella che segnerà senza aspettare il fischio dell’arbitro ma vedendosi convalidare, assurdamente, il gol. Mancano sette minuti ma in realtà è finita. L’Italia vince la prima partita al mondiale spagnolo in un momento più che inatteso e rialza la testa.

Barcellona, Stadio Sarria, 5 luglio 1982

Il Brasile ha fatto un sol boccone dell’Argentina nel più classico dei derby sudamericani. Maradona è stato espulso e ha chiuso così il suo primo mondiale, piuttosto deludente. L’uscita del Pibe arriva pochi secondi prima della rete di Ramon Diaz che fissa sul 3-1 il finale del match, un risultato che, nell’ultima partita, lascia un solo esito utile alla squadra di Enzo Bearzot: la vittoria.

I verdeoro hanno qualche limite, certamente; come da tradizione, ad esempio, non hanno un gran portiere, Valdir Peres, e nemmeno l’attaccante, Serginho, è tra i più ricordati dalla grandiosa storia brasiliana. Però, il Brasile, ha un centrocampo che fa tutto. Sa coprire e ripartire alla velocità della luce, ha corsa e qualità da vendere, tecnica sopraffina, fa male da ogni posizione e può colpire in qualunque situazione e da qualunque distanza.

Che centrocampo!

Zico, Falcao, Eder, Socrates, Toninho Cerezo. Un centrocampo offensivo in grado di ragionare ed elaborare qualunque soluzione, a cui si aggiunge un buon talento tecnico anche in altri ruoli, come il buon Junior, difensore che ha segnato la terza rete agli argentini, e Oscar, solido pilone centrale in grado di regalare brividi coi suoi colpi di testa da calcio d’angolo. Il Brasile, insomma, aspetta solo di concludere le ultime tre formalità e portare a casa la coppa che, per inciso, finora sta ampiamente meritando.

Ha giocato un futbol bailado e concreto, divertito e segnato un sacco di gol, mostrato un potenziale da quella mediana dei sogni che non può non essere da titolo. In più, il 5 luglio, a loro basta il pari. Ma questo è un Brasile che non fa conti, troppo magico per i calcoli, troppo bello e troppo forte per fermarsi a davanti ad una vittima sacrificale come l’Italia. Il Brasile giocherà per vincere, divertire e dominare. Perché è il Brasile.

E così qualcuno, non solo in Brasile, magari dimentica che l’Italia non è formata soltanto da piedi in ferro battuto. La circolazione del pallone è subito buona. Dopo 5 minuti, da un pallone controllato da Collovati nei pressi della linea di fondo azzurra per evitare un calcio d’angolo, riparte una tranquilla azione dei nostri. Palla a Scirea, Conti, Oriali. Di nuovo Conti, che supera la metà campo e si diverte a fare finte e spiazzare i brasiliani tra i boati del pubblico che le rumorosissime e sempre presenti trombette sugli spalti a stento riescono a coprire.

Conti danza su Socrates, siamo sulla trequarti avversaria. Alza la testa e con un preciso esterno ribalta il campo per l’accorrente Cabrini. Cross magistrale sul secondo palo, sbuca Paolo Rossi lasciato solo. Se lo sono persi. Rossi. Quello che tanto non segnerà mai. Colpo di testa deciso a incrociare sul secondo palo. Comincia la leggenda di Pablito e l’Italia è in vantaggio. Il boato, nelle case degli italiani, negli appartamenti degli operai in ferie o di quelli che hanno fatto il turno prolungato per essere davanti alle TV, è intenso ma timido. Abbiamo segnato troppo presto.

La squadra di Telè Santana, infatti, non ci mette molto a rimettersi in asse. Socrates per Zico, magia del numero 10 che di tacco fa fuori Gentile la rigioca in verticale per il Dottore che dopo avergli ceduto il pallone si è lanciato in area. Socrates arriva verso il fondo e uccella un non prontissimo Zoff sul primo palo. È stato bello, anche se è durato troppo poco. La testa di un bambino, in quei casi, comincia a pensare ad altro, a fare e disfare sogni e giocattoli con la consapevolezza che arriva dagli adulti che quella gara, semplicemente, non si può vincere. Un bambino tende a non sognare nemmeno in quei momenti perché lo sport è un mondo lontano, difficile, quasi incomprensibile. E se i grandi dicono che non c’è storia, semplicemente, non c’è storia.

Ma la partita si infiamma. Al Brasile lasciamo il compito di giocare meravigliosamente, di danzare e palleggiare creando arte calcistica, mentre noi cerchiamo di resistere, limitare gli avversari e colpire con rapide folate offensive. La marcatura di Gentile su Zico si fa sempre più dura, Tardelli e Oriali cercano di fare da diga. Il muro resiste. Al 25° da un’azione difensiva del Brasile, Paolo Rossi si infila a tutta velocità su un pallone passato troppo corto per Junior. L’attaccante anticipa l’avversario e vola verso la porta, calcia dal limite e buca Valdir Peres. Il boato stavolta è più convinto. Abbiamo segnato due reti al Brasile.

Collovati si fa male e il Vecio mette su Beppe Bergomi, detto lo Zio, che di anni ne ha diciotto. Diciotto. Una follia, ma il disegno nella testa del maestro è perfetto e molto più preciso di quanto non pensi chi sta fuori. La grandezza delle leggende sta nel riuscire a leggere prima ogni cosa, ogni movimento, studiare ogni passo prima che questo venga compiuto. Bergomi annullerà definitivamente Serginho. Zoff fa gli straordinari in uscita su Cerezo e su un paio di punizioni. Gli azzurri non stanno a guardare, reclamano un rigore che non viene assegnato ma chiudono avanti il primo tempo.

Nella ripresa uno scatenato Rossi ha l’occasione di segnare una tripletta ma fallisce e subito dopo, su una bella discesa sulla fascia, Junior si accentra e pesca al vertice destro Falcao. L’Ottavo re di Roma controlla, avanza, mette in moto una finta che sbilancia mezza difesa azzurra, si aggiusta il pallone e lascia partire un siluro di precisione inaudita. Zoff si distende ma può solo pregare. Inutilmente. È il gol del due pari e, stavolta, senti che non li prendi più. Il Brasile non è mai stato realmente alle corde, ma forse si era quanto meno impaurito. Il pareggio, con una ventina di minuti da giocare, gli permette ora di sfruttare il palleggio anche per controllare l’orologio.

Passano cinque minuti e gli azzurri guadagnano il primo angolo della partita su un cross sballato di Antognoni. Conti va alla bandierina e la mette in mezzo, la respinta della difesa è corta, Tardelli la rimette in porta con una semiciabattata in mezza girata, la palla rimbalza davanti a Rossi che la colpisce sotto porta e segna. Quei secondi sono nitidi nella testa di ognuno di noi, di tutti i presenti che, in quel momento, seguono un’azione confusa e bruttina nel silenzio di Nando Martellini, quasi ipnotizzato come un normale spettatore, e pronto a ridestarsi al gonfiarsi della rete. Le case italiane, le piazze, esplodono di nuovo e nessuno, in quel momento, si accorgerà che il Nando nazionale sta urlando “ed è il pareggio! Di nuovo Rossi!”. No, non è il pareggio. Lo sanno tutti, anche Martellini, che forse psicologicamente sta vivendo il “due pari” come una sconfitta, come l’essere sotto nel risultato. Ma il gol di Rossi è il terzo e stavolta è difficile pensare che non possa bastare. Il Brasile avrà anche sette vite, ma questo è il montante che mette davvero alle corde chiunque.

Rossi 3x

I Verdeoro si sfilacciano, cominciano ad accusare anche un po’ di stanchezza, la lucidità cala paurosamente. E, per la prima volta, nella testa del più forte centrocampo di sempre, aleggia l’idea di una sconfitta. I quindici minuti rimasti da quel momento in poi sono ora un vantaggio per l’avversario che, di vite, ne ha tirata fuori una in più di loro. Dopo un magistrale contropiede Giancarlo Antognoni segna di nuovo. Sarebbe la fine ma l’arbitro inspiegabilmente annulla. La partita rimane viva e nel finale regala un’ultima emozione per coronare definitivamente la leggenda di una delle più grandi partite nella storia dei mondiali. Eder spara un pallone disperato in area da una punizione, Paulo Isidoro si inserisce e colpisce con forza schiacciando la palla in porta. Zoff si butta… l’immagine del portiere è coperta da alcuni giocatori, Martellini tace, qualche brasiliano reclama la rete. Zoff si alza e fa segno di no col dito, Nando conferma gridando quasi al miracolo nel microfono. La palla si è fermata sulla linea, bloccata dalle manone di Dino, che è friulano come Collovati, uscito per infortunio e, soprattutto, è friulano come Bearzot.

Passano due minuti e il Sarria esplode in un boato cui fa eco, a migliaia di chilometri di distanza, l’Italia intera, pronta a salire sul carro del vincitore e a rimangiarsi ogni cosa detta negli ultimi due anni. Pronta a festeggiare un’impresa e a sognare una coppa perché, dopo aver battuto i divini brasiliani, l’impressione è che nessuno possa più fermarti. Nota a margine: Zico perde la sua prima partita ufficiale con la maglia della nazionale, la seconda in assoluto. Nel 1986, alla sua ultima apparizione, uscirà ai rigori contro la Francia dopo l’1-1 dei primi 120 minuti. Sul campo nessuno lo ha mai più sconfitto.

SEMIFINALI

Fino al gironcino a tre l’Italia aveva mostrato ottime cose soltanto contro la Polonia. La vittoria sul Brasile e questa consapevolezza, arricchita da una motivazione ormai alle stelle, rendono la semifinale quasi una formalità, anche in considerazione dell’assenza di Zibi Boniek nelle file della Polonia.

Al Camp Nou bastano 22 minuti a Rossi per sfruttare un pallone calciato in area e spizzicarlo di testa nell’angolo lontano. Italia avanti. Nessuna sottovalutazione, ma la Polonia, ancora imbattuta, è già in ginocchio. Per infortunio, grazie alle cure degli avversari, Bearzot perde Antognoni (entra Marini) e Graziani, sostituito da Alessandro Altobelli. Spillo, nella ripresa, lancia Conti che vola via a sinistra, entra in area, pennella in mezzo con un tocco da fuoriclasse divino e Paolo Rossi, ancora lui, deve solo appoggiarla. Italia due, Polonia zero. È una finale raggiunta con sicurezza e decisione, con la forza della grande squadra. Dopo 12 anni si torna a giocarsi il titolo all’ultimo atto. L’ultima volta fu un disastroso 4-1 per il fortissimo Brasile di Pelè, oggi si attende solo la finalista che uscirà dalla sfida di Siviglia.

Francia e Germania Ovest giocano poche ore dopo l’Italia. La Germania va in vantaggio con rete di Pierre Litbarski che aveva già colpito una traversa in avvio. Platini pareggia su rigore e la Francia sembra, tutto sommato, avere più talento e idee per poter vincere. La partita è divertente ma finisce 1-1.

I tedeschi controllano e ripartono e, senza far troppi complimenti, di tanto in tanto picchiano. Il gioco imposto dalla Germania Occidentale è rude, persino il portiere Harald Schumacher si rende protagonista di alcune scorrettezze qua e là per intimidire gli avversari a gioco fermo o dopo qualche uscita. Sul finire della partita Platini lancia in modo egregio il neoentrato Battiston che si invola verso l’area. Schumacher esce ma il francese tocca il pallone e supera il portiere che, istintivamente, o forse no, si gira su un fianco e si stampa con l’anca addosso all’avversario. La palla rimbalza piano piano fuori, a fil di palo. Battiston rimane in terra, perde i sensi e due denti, avrà bisogno di un ricovero, rimarrà in coma e dovrà portare un collarino per qualche tempo.

Battiston K.O.

Schumacher diverrà seduta stante il tedesco più odiato in Francia e non solo. Per l’arbitro non è fallo, forse perché Battiston ha già calciato in porta e, a velocità normale, gli è difficile capire quanto l’uscita kamikaze, nel giro di una frazione di secondo, impedisca realmente al francese di controllare meglio il pallone. Come non bastasse, al 90° già scoccato, la Francia colpisce una clamorosa traversa da trenta metri.

Si va ai supplementari dove si scrive un pezzo di storia incredibile del calcio, una sorta di Italia-Germania 4-3 in salsa tedesca con dramma francese. Pronti via e, in overtime, la Francia sembra subito ribaltare il fato con una splendida girata di Tresor che al 92° regala il primo vantaggio ai francesi. Passano sei minuti e Giresse conclude una prolungata serie di passaggi con una botta che si infila alla destra di Schumacher dopo aver colpito il palo interno. La Germania è al tappeto.

Impensabile che una squadra che ha mostrato così tante difficoltà nel suo percorso possa ribaltare una situazione di questo tipo contro la freschezza ed il talento dei francesi. Subito il 3-1, disperato, Jupp Derwall inserisce un Rummenigge tutt’altro che in forma ma il campione tedesco lo ripaga andando subito in gol chiudendo una bellissima azione e anticipando di tacco l’uscita di Ettori sul primo palo. Poco dopo l’inizio del secondo tempo supplementare Littbarski scende sulla sinistra, crossa in mezzo, il gigante Horst Hrubesch fa da ponte e la rimette in mezzo dove Klaus Fischer la scaraventa in porta in rovesciata. È un gol splendido a coronamento di una partita pazza e divertentissima. Per la prima volta nella storia dei mondiali, saranno i rigori a stabilire chi passerà il turno.

La Germania Ovest sbaglia per prima, al terzo rigore, con Uli Stielike che calcia malamente centrale facendo esaltare Jean Luc Ettori. La Francia è avanti ma Didier Six non fa molto meglio del collega tedesco: tiro debole e centrale, respinta coi piedi dell’estremo difensore avversario. Littbarski pareggia il conto subito dopo. I primi cinque tiri si concludono in parità, ma al sesto è Maxime Bossis a farsi ipnotizzare da Schumacher. Il match point lo ha Hrubesch che chiude i conti. La Francia è clamorosamente fuori dopo essere stata avanti 3-1 ai supplementari e di un rigore. La lotteria che tanto impareremo a maledire fa la sua prima storica vittima in una notte straordinaria. La Polonia arriverà terza vincendo 3-2 lo spareggio tra le sconfitte nella passerella per il 3° posto ad Alicante.

Madrid, Stadio Santiago Bernabeu, 13 luglio 1982

Quella del 13 luglio è una serata magica, forse il momento più alto dello sport italiano. Preceduta da giornate cariche di attesa, da signori in età che ricordano l’occupazione durante la guerra e vivono la partita con un sentimento particolare. Bearzot è ormai riabilitato, sul carro dei vincitori non c’è più un posto nemmeno a pagarlo oro. È una finale, crea tensione per sua natura, ma sotto sotto nessuno si sente inferiore ai tedeschi. Nonostante l’impresa coi francesi, viziata comunque da parecchi episodi favorevoli e chiusa soltanto ai rigori, la Germania ha avuto più di una difficoltà durante il proprio percorso e il suo uomo migliore, Rummenigge, è mezzo infortunato. Lo spogliatoio, inoltre, non sembra così compatto, almeno secondo gli spifferi che escono dalle crepe del muro e ci verranno raccontati successivamente dalle cronache.

L’Italia è invece un gruppo unitissimo e, dalla partita con l’Argentina in poi, ha vissuto di un magnifico crescendo. Il Bernabeu è colmo di tricolori, le trombe da stadio suonano e suoneranno tutta la notte. La tribuna autorità è colma di politicanti, tra i quali spunta Sandro Pertini, presidente tifoso che contro i tedeschi si è anche battuto con il fucile in mano.

Bearzot non ha Antognoni e conferma Lele Oriali a centrocampo, Bergomi parte titolare anche grazie ad un sentito apprezzamento di Zoff. I paganti sono 90.000, alle ore 20.00 le squadre scendono in campo. L’avvio è contrito, i tedeschi la buttano sullo scontro fisico dove possono esserci superiori e replicando il gioco con cui hanno già avuto successo in semifinale. Dietro l’Italia si copre con Gaetano Scirea come libero puro, Collovati e Gentile centrali, Bergomi e Cabrini terzini, mentre la Germania piazza i fratelli Foster su Rossi e Graziani, con Hans-Peter Briegel che avrà il difficile compito di arginare Bruno Conti. Al settimo minuto Graziani esce per infortunio ed entra Alessandro Altobelli. Ci siamo già giocati un cambio.

I tedeschi non spingono, seguendo minuziosamente la loro semplice logica, ma il muro a cinque eretto dal Vecio non lascia passare nulla e, a centrocampo, Tardelli e Oriali sono monumentali. Al 25° la grande occasione: Briegel stende Conti in area, l’arbitro brasiliano Arnaldo Coelho indica il dischetto. Rigore netto, Antonio Cabrini va sul dischetto e spara a lato colpendo malissimo il pallone. È il primo rigore fallito in una finale mondiale e potrebbe fare molto male. Il primo tempo se ne va stancamente, la testa dei tifosi torna sempre a quel maledetto errore dal dischetto.

Nella ripresa la musica non cambia. L’Italia guadagna terreno, i tedeschi si fanno sentire minacciosi sulle gambe degli avversari senza mostrare molte altre idee. All’ennesimo fallo subito Oriali allontana il pallone stizzito e un suo compagno lo rimanda indietro per far battere la punizione. Oriali è ancora a terra quando Tardelli ferma il pallone e batte la punizione a sorpresa per Gentile che avanza qualche metro e crossa in mezzo. Altobelli non ci arriva per un soffio, la sfera rimbalza e arriva davanti alla porta dove si catapultano in tre. Schumacher non riesce nemmeno ad accennare un passo, qualcuno dà una bella zuccata alla palla e gliela mette alle spalle. Boato. Un braccio si alza ad esultare e copre parte della telecamera. Il gentiluomo della Rai, Nando Martellini, grida, per quanto lui possa davvero gridare, e solo dopo pochi secondi si capisce che a segnare è stato Paolo Rossi, con il suo classico opportunismo, la sua agilità negli ultimi metri, il suo fiuto del gol. È la sesta rete, gli varrà un Pallone d’oro e, per tutti, apre le porte al trionfo. Il re Juan Carlos appoggia la mano sul braccio di un sorridente Pertini, composto a sedere mentre il cancelliere tedesco non muove un muscolo.

Sempre Paolo Rossi

La Germania Ovest ora è obbligata a reagire, deve tirare fuori tutta quella forza che è servita quattro giorni prima per rimontare la Francia, per riscrivere la storia. I tedeschi si buttano avanti scoprendosi al contropiede italiano. La partita si velocizza, diventa improvvisamente godibilissima.

Non passa neanche un quarto d’ora e ci troviamo in attacco con Scirea e Bergomi che si scambiano la palla nell’area avversaria; ormai attacchiamo in massa gli spazi, ci riversiamo con i difensori nella metacampo avversaria, siamo più veloci, più in forma, più convinti. Alla fine Scirea la tocca verso il centro, velo di Bergomi e palla al limite dell’area dove Tardelli non la controlla benissimo. Il pallone si impenna e si sposta troppo largo alla sua sinistra; il centrocampista della Juventus si butta praticamente in scivolata per poter calciare in porta e la colpisce da dio. La palla va dritta nell’angolo alla sinistra del portiere tedesco che, immobile, si arrende all’evidenza. È un gol strepitoso; Tardelli si rialza e corre ad esultare eseguendo l’urlo più famoso nella storia dello sport, la panchina si riversa in campo placcata dai militari spagnoli che faticano a riportare l’ordine.

“L’urlo” di Tardelli

Dal 1938 l’Italia aspetta di vincere un mondiale e ora tutto è avvolto dal caos della gioia, tutto è dentro la folle corsa di Tardelli, in crisi mistica da titolo mondiale. Ovunque si sentono clacson, trombe, gente che si affaccia ai balconi a urlare tutto il fiato che ha in corpo, come il nostro ragazzo sta facendo sul campo del Bernabeu. Pertini si alza in piedi, si abbottona la giacca, agita le mani in segno di incitamento. Juan Carlos non sa come tenerlo buono, il cancelliere tedesco non muove un muscolo.

È il 24° del secondo tempo. La Germania è sulle ginocchia, dieci minuti dopo su una stanca incursione cerca un rigore inesistente e perde palla. Conti si divora il campo per la milionesima volta, arriva sul fondo e la tocca ad Altobelli. Spillo con una finta manda per i campi Schumacher e poi l’appoggia in rete facendola passare sotto un difensore tedesco; poi si gira ed esulta come a un torneo di dopolavoristi con in palio la pizza del venerdì sera prima di essere sommerso dai compagni. L’Italia, tutta l’Italia, è una bolgia, persino a Bari non si risparmiano, perché non sanno che, da poche ore, respira il piccolissimo Antonio Cassano. Il cancelliere tedesco non muove muscolo, Pertini li muove tutti, è incontenibile, si gira verso la tribuna e, a nome di tutti noi sussurra quello che stiamo pensando da un po’: “non ci prendono più”. No, non ci prenderanno più.

I tedeschi, i crucchi, gli invasori, i mangiacrauti, esce di tutto dalle campanilistiche esultanze del popolino del calcio. Non ci prendono più. Il gol del mitico Paul Breitner, campione nel 1974, è solo una seccatura che allunga il tempo di attesa, fino al triplice fischio, fino alla corsa a perdifiato della panchina che si scaglia in campo a tutta velocità. Le lacrime, la gioia e quel presidente, lassù, che non lo tiene più nessuno.

Martellini lo dice tre volte: “campioni del mondo”. Già, è la terza volta. Le strade italiane sono intasate dall’isteria collettiva. Mick Jagger, a San Siro, si è esibito con la maglia di Pablito. L’Italia entra finalmente negli anni 80, nella modernità, nella Milano da bere. Sarà solo un attimo, effimero, come sempre. Ma sarà anche un momento impresso nella memoria di tutti, la gioia di un bambino che non capisce come mai gli adulti non ci avessero capito nulla. Nulla. Ma la verità è che non c’erano adulti nel 1982, erano tutti bambini, felici e impazziti: erano tutti figli di Enzo Bearzot. L’unico che aveva capito tutto. L’unico che aveva già visto il finale. Il Vecio.

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Una risposta

  1. Alberto ha detto:

    solo una parola……Bellissimo

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