2006 – Il cielo sopra Berlino

Febbraio 2006. A Bruges si gioca l’andata dei sedicesimi di finale della Coppa Uefa, la Roma di Luciano Spalletti, dopo essere giunta seconda nel girone eliminatorio, si gioca l’accesso al turno successivo con il ritorno all’Olimpico. I belgi passano in vantaggio. Il pubblico accompagna l’esultanza dei propri beniamini mentre, dagli altoparlanti, per festeggiare la rete dei padroni di casa, fuoriesce un riff molto basso e ritmico subito accompagnato da secchi colpi di batteria che sembrano accompagnare una marcia di lotta tribale. I tifosi della Roma ascoltano con interesse il pezzo e ai due gol dei giallorossi, si prenderanno gioco degli avversari intonando quello stesso identico motivetto con la voce. Sarà così anche al ritorno. E anche per molte giornate calcistiche a venire. Quello che un giorno tutti chiameranno il “po-po-po” è il ritmo di Seven Nation Army dei White Stripes e nessuno, a Bruges, in quel momento, può ovviamente immaginare di assistere ad una vera profezia.

po-po-po-po-po-po…

Al termine del campionato di quello stesso anno esplode definitivamente il caso Calciopoli. Le conseguenze sono devastanti per l’immagine del calcio italiano e per la sua credibilità. Dopo vari ricorsi la Juventus viene retrocessa in Serie B, Milan, Lazio e Fiorentina sono fortemente penalizzate per il campionato successivo, partono deferimenti, denunce, squalifiche. Il clima diventa bollente e non fomenta buoni sentimenti tra i tifosi di tutta Italia. E questo, soprattutto, è il clima che accompagna al mondiale tedesco la nazionale italiana di Marcello Lippi. Gli azzurri, si sa, rendono al meglio proprio in situazioni complicate, soprattutto quando è il gruppo, l’intero spogliatoio, ad essere messo in discussione, ma la crisi che si è aperta appare davvero profonda.

Nella primavera 2006 escono notizie e indiscrezioni poco piacevoli su alcuni grandi campioni della nazionale, da Gigi Buffon, descritto come uno scommettitore ossessivo, a Fabio Cannavaro che, su ordine di Luciano Moggi, avrebbe finto prolungati infortuni per farsi svendere dall’Inter e approdare alla Juve. Sul capitano azzurro pende poi l’ombra infamante del doping per colpa di un video che comincia a circolare e nel quale il centrale azzurro si farebbe fare infiltrazioni che, qualcuno, definisce sospette. Il figlio del CT è poi coinvolto nello scandalo della gestione dei calciatori a causa del suo ruolo di procuratore ma, nonostante alcune critiche, Lippi rimane al suo posto.

Il caos copre il mondo del pallone, di un pallone malato, che richiama ai fasti del Totonero, delle squalifiche di Paolo Rossi e Bruno Giordano e che lascia il sospetto che nulla sia mai realmente cambiato da allora. Si dimettono i vertici della FIGC e della Lega Calcio, qualcuno chiede di non mandare la nazionale ai mondiali, di fermare il calcio, di ripulirlo e ripartire da zero. Troppi soldi in ballo. Il CONI commissaria la Federcalcio e la nazionale parte per la Germania con una sola opzione: vincere, per dimostrare di essere i migliori al di là degli scandali. Impresa piuttosto difficile con una squadra non a fine ciclo ma quasi e, certamente, non superiore a quelle spedite a manifestazioni mondiali dal 1990 in poi.

Calciopoli

Uscita male dal mondiale 2002 per il gioco troppo timoroso di Giovanni Trapattoni e le invenzioni strampalate dell’arbitro Byron Moreno, l’Italia aveva cercato riscatto nell’europeo del 2004 terminando la corsa già al primo turno grazie anche all’ormai celebre biscotto di Danimarca e Svezia. La squadra venne allora affidata a Marcello Lippi, che nella Juventus ha vinto tutto e sfiorato anche di più, ma che a tanti ricorda un po’ Sacchi, non tanto per l’idea di calcio, quanto per la gestione del gruppo che pare renderlo inadatto ad una selezione nazionale. L’avventura non comincia benissimo ed in Islanda, in amichevole, gli azzurri escono battuti per 2-0. L’Italia parte bene nelle qualificazioni dove vince le prime due prima di cedere il passo in la Slovenia (1-0), e di riuscire a strappare tre punti alla Bielorussia dopo una gara rocambolesca vinta tra mille fatiche (4-3 il finale). Gli azzurri vincono in Scozia, pareggiano in Norvegia contro la diretta concorrente al primo posto, e poi amministrano il vantaggio strappando il pass diretto per il mondiale.

Prima di recarsi nel ritiro tedesco gli azzurri si giocano tre amichevoli: la prima è un vittorioso 4-1 proprio sulla Germania, partita che manda chiari segnali di difficoltà dei padroni di casa, allenati dall’inesperto Jurgen Klinsmann e con la rosa forse meno competitiva dal 1966. Poi, in Svizzera, 1-1 coi padroni di casa e 0-0 contro l’Ucraina. Il timore è che lo spogliatoio si senta assediato per gli scandali esplosi in maggio, che la difficoltà sia quella di costruire una squadra di uomini prima ancora di una di calcio.

Il sorteggio ci ha messo nel Gruppo E con Ghana, USA e Repubblica Ceca, un percorso che nasconde più insidie di quanto non si possa immaginare. Gli africani sono motivatissimi per la loro prima partecipazione alla competizione iridata e si ha sempre il timore che, tra le squadre del continente nero, ce ne sia una che trova il modo di rompere gli equilibri naturali del calcio con fisicità e corsa aggiunti a qualche talento sconosciuto. Gli Stati Uniti sono un movimento in forte crescita, nel 2002 sono usciti ai quarti di finale contro la Germania e il campionato nazionale si sta riempendo di vecchie glorie e calciatori sudamericani che via via ne rendono il livello quanto meno discreto. Poi c’è la Repubblica Ceca, un po’ alla fine dei tempi migliori ma squadra solida ed esperta, guidata dal veterano Pavel Nedved.

FASE A GIRONI

La Repubblica Ceca esordisce travolgendo 3-0 gli Stati Uniti mentre l’Italia scopre che il Ghana del presente non vale molto di più di quanto non sia rappresentato dalla sua storia ai mondiali. Gli uomini di Lippi, schierati col tridente Totti-Gilardino-Toni, non giocano ad altissimo livello ma controllano sempre la partita e si procurano parecchie palle gol. Già nel primo tempo Gilardino e Toni (traversa clamorosa) vanno vicinissimi al vantaggio, mentre Totti testa i riflessi di Richard Kingston con una botta su punizione. Alla fine è Andrea Pirlo a sbloccarla con un tiro da fuori che trova l’angolo più lontano, mentre Vincenzo Iaquinta, a meno di dieci minuti dalla fine, approfitta di un retropassaggio errato per fissare il risultato sul 2-0 finale.

L’Italia vince ma convince a metà pur creando molto. Il Ghana non è sembrato irresistibile anche se ha tenuto il campo con estrema dignità e ordine e, nella ripresa, ha costretto spesso gli azzurri sulla difensiva e Buffon ad un paio di buoni interventi. Vista la partenza degli americani ci si sente comunque sicuri del passaggio del turno, anche in considerazione del fatto che ci sono buone probabilità di trovare i cechi a punteggio pieno nell’ultima gara del girone. Invece l’Italia si spegne subito.

Contro gli USA la gara è assurdamente nervosa e brutta. In vantaggio con Gilardino dopo 22 minuti gli azzurri subiscono il pari pochi minuti dopo a causa di un autogol di Zaccardo e sono graziati dall’annullamento di una rete americana dopo papera di Buffon. De Rossi perde la testa e stende con una gomitata McBride: rosso diretto. Fortunatamente alla fine della prima frazione restano in dieci anche gli americani che poi chiudono addirittura in nove per il doppio giallo a Eddie Pope.

La prestazione è comunque di livello bassissimo, con un nervosismo ingiustificato e che, in virtù dell’inattesa sconfitta della Repubblica Ceca contro il Ghana (2-0) rende l’ultimo match uno scontro all’ultimo sangue. La vigilia è ricca di tensione, nonostante i cechi non dispongano di alcuni titolari sappiamo benissimo che non sarà una passeggiata e che l’aver due risultati su tre è spesso un vantaggio psicologico per quel tipo di avversari che sanno imporre il proprio gioco senza nulla da perdere.

Dando per scontato il successo del Ghana sugli USA, inoltre, sappiamo che la vittoria è necessaria anche per evitare il Brasile agli ottavi, andando ad incrociare così una tra Croazia e Australia. La Repubblica Ceca parte abbastanza bene, tiene il campo e fa capolino nei nostri sedici metri anche piuttosto pericolosamente. Nedevd chiama alla parata il compagno juventino Buffon con un buon tiro da fuori. A completare un avvio claudicante ci si mette l’infortunio ad Alessandro Nesta al minuto sedici.

Lippi getta nella mischia Marco Materazzi, uno che ha calcato il fango del Sandro Cabassi con la stessa veemenza con cui calpesta il velluto della Scala del calcio in Milano. Per le vie del centro risultano chiari i mugugni di dissenso bofonchiati dall’italiano tipo di fronte alla televisione, che interrompe di tanto in tanto i fini commenti tecnici da allenatore mancato a causa di una broncopolmonite avuta durante lo sviluppo con rutti carichi di Peroni familiare.

Alla mezz’ora il lamento si trasforma in estasi quando Materazzi colpisce di testa un corner battuto da Totti. La palla si infila nell’angolo basso senza che Petr Cech possa farci molto. Uno a zero e partita che si infila sul binario giusto. Nella ripresa l’Italia ha più spazi, i cechi sembrano demotivati, gli azzurri giocano disinvolti e puntano la rete un paio di volte. Filippo Inzaghi fa il suo esordio al terzo mondiale e, a pochi minuti dalla fine, con un contropiede da due contro zero, dimostra al mondo la regola che vale solo per lui: mai passarla. Nemmeno se ne andasse della tua vita, il pallone non lo devi mai passare. Superpippo si presenta davanti a Cech e, invece di appoggiare un comodo assist a porta vuota per il liberissimo Simone Barone, decide di provare il dribbling. Che riesce. Due a zero e, forse, al liberissimo Simone Barone non l’avremmo passata neppure noi. Come previsto il Ghana batte gli Stati Uniti che chiudono a zero, mentre l’Italia arriva prima e troverà agli ottavi l’Australia, che strappando un 2-2 alla Croazia, grazie ad una rete al 79° di Harold Kewell arriva seconda dietro al Brasile a punteggio pieno.

Una vita da Barone

Nel Gruppo 1 la Germania padrona di casa chiude a sua volta a nove punti, faticando più del previsto in alcune situazioni ma raggiungendo l’obiettivo previsto. A sorpresa arriva seconda l’Ecuador, che all’esordio stende la deludente Polonia col più classico dei risultati e chiude 3-0 la pratica Costa Rica. Nel secondo girone pronostici rispettati con Svezia e Inghilterra che chiudono la terza giornata con un pareggio (2-2) che sta bene ad entrambe. Gli inglesi battono il Paraguay solo grazie ad una autorete di Gamarra e Trinidad e Tobago con un uno-due negli ultimi sette minuti. La nazionale dei Tre leoni non brilla ma si lascia alle spalle il girone e guarda avanti con la solita fiducia di chi, alla fine, non vince mai.

Nel Gruppo C nessuna sorpresa ma l’Argentina fa la voce grossa. Dopo un 2-1 abbastanza tirato contro la Costa D’Avorio di Didier Drogba, l’Albiceleste rifila sei gol alla Serbia e si limita ad un pari a rete inviolate con l’Olanda che arriva seconda. Nel Gruppo D il Portogallo amministra la situazione battendo Angola, Messico e Iran con i messicani che giungono secondi a soli 4 punti. Cristiano Ronaldo è deludente, segna su rigore il 2-0 agli iraniani ma non fa vedere nulla del giocatore che diventerà. È deludente anche la Francia, nel suo complesso, che chiude a 5 punti al secondo posto del raggruppamento G, dopo due pareggi con Svizzera e Corea del Sud e una vittoria tutt’altro che esaltante (2-0) su Togo. Il girone lo vincono gli svizzeri che non subiscono mai gol e, dopo aver fermato la Francia, vincono le due rimanenti partite.

I transalpini si complicano la vita. Cadono nella parte bassa del tabellone dove affronteranno la Spagna, che ha vinto il Girone H a punteggio pieno e, in caso di passaggio del turno, troveranno probabilmente il Brasile che deve risolvere la pratica Ghana. Dietro la Spagna, nell’ultimo girone, arriva l’Ucraina, che ne busca quattro in avvio dagli iberici ma poi si rifà con le vittorie su Arabia Saudita (4-0) e Tunisia (1-0). E’ il momento degli ottavi e in Italia, guardando il tabellone ci si frega già le mani. Australia, poi la vincente tra Svizzera e Ucraina. C’è di che star sereni.

OTTAVI DI FINALE

A Kaiserslautern, il 26 giugno, l’Italia affronta i canguri australiani. È una partita più che abbordabile, una formalità. Il primo tempo registra almeno quattro palle gol per la squadra di Lippi che ha deciso di schierare Alessandro Del Piero al posto del pupone Francesco Totti. La squadra gioca a sprazzi, non gira, è bloccata. Concede pochissimo (giusto un tiro in porta), ma non dà continuità alla manovra. A inizio ripresa l’eccessiva severità della giacchetta nera spagnola, Medina Cantalejo, lascia in dieci l’Italia per l’espulsione di Materazzi che atterra un avversario al limite dell’area. La decisione è eccessiva ma piazza l’Australia in una condizione di gran favore. L’Italia ha mostrato di essere superiore ma non ha mai espresso la forza che permetterebbe di sfruttare il gap tecnico tra le due formazioni e, ora, con tutto da perdere, si trova con un uomo in meno. La difesa regge, il centrocampo fatica a imporsi e al minuto 75 un deludente Del Piero lascia spazio a Totti.

Gli australiani sanno che con un uomo in più vale la pena tentare la fortuna alla lotteria dei rigori più che rischiare di aprirsi al contropiede azzurro e, forse per questo, piano piano vanno ad abbassare il baricentro, permettendo all’undici di Lippi di avanzare e tentare il forcing finale. Un paio di azioni confuse creano qualche brivido poi, all’ultima occasione, Fabio Grosso (segnatevi questo nome) scende sulla sinistra, salta alla grande un avversario ed entra in area dove punta il centro dalla linea di fondo. Non vede compagni, ma un incauto canguro si butta in scivolata e fa al nostro scaltro esterno il regalo più inaspettato. Grosso con una finta si sposta il pallone a destra e si lascia travolgere. Rigore cercato ma netto, soprattutto visto in diretta. Totti va dal dischetto. La telecamera si sofferma su tifosi di entrambi le squadre che si tengono le mani davanti alla bocca in preda ad una tensione intollerabile. Al circolo di Migliarina cala il silenzio. Il luogo che sta diventando il talismano della Campagna 2006 è muto come non lo è mai stato. Totti spara una pallonata fortissima e centrale, il portiere si tuffa e l’attaccante azzurro mima il gesto del neonato che si succhia il pollice in onore dei figli. È il 93° minuto.

Ciuccio!

L’Australia va a casa, l’Italia ai quarti, dove ad attenderla c’è l’Ucraina di Andry Shevchenko che ha eliminato la Svizzera ai rigori dopo lo 0-0 dei primi 120 minuti. Il centravanti milanista ha fallito il proprio tiro dal dischetto, ma gli elvetici non ne hanno infilato uno neanche senza volere. Tre errori su tre. La Svizzera esce senza aver mai subito gol.

Negli altri ottavi va tutto come previsto. La Germania liquida la Svezia con doppietta di Lukas Podolski in 12 minuti, l’Argentina batte il Messico 2-1 grazie a un gol ai supplementari di Maxi Rodriguez, mentre l’Inghilterra spegne gli entusiasmi dell’Ecuador con un gol di David Beckham. Il Brasile travolge il Ghana con tre reti, tra cui quella di Ronaldo, al terzo centro in questo mondiale. Nel big match Francia-Spagna i Blues ritrovano il vecchio smalto e, dopo essere andati sotto grazie al gol su rigore di David Villa, ribaltano la situazione con Ribery, Vieira e Zidane in quello che risulterà l’ottavo di finale e una delle partite in generale più divertenti del torneo.

L’altro grande incontro, Portogallo-Olanda, è invece uno scontro d’altri tempi. La stella di Cristiano Ronaldo è ben lontana dal brillare, ma i lusitani passano con Maniche prima della mezz’ora. L’Olanda prova a reagire e, sul finire del tempo, il Portogallo resta in dieci. Inspiegabilmente la ripresa si trasforma in una specie di rissa in campo aperto. L’Olanda, allenata da Marco Van Basten, preme senza mai trovare la via del gol, il Portogallo cerca di far male in ripartenza. Tra un fallo e l’altro qualche sprazzo di gioco. Finirà in nove contro nove e uno a zero per i portoghesi.

QUARTI DI FINALE

Nei quarti ci si trova di fronte l’Ucraina, squadra che si può temere per il forte centravanti Shevchenko e poco altro. Finora gli ucraini non hanno particolarmente brillato, sono usciti da un girone con Tunisia e Arabia Saudita venendo seppelliti di gol nell’unica partita “vera”, all’esordio, contro la Spagna. Il tifoso italiano vive con una tranquillità mai vista prima questo quarto di finale. Nonostante il gioco con l’Australia sia stato tutt’altro che buono, la sensazione è che essere passati per il buco della serratura al 93° possa aver sbloccato mentalmente i ragazzi di Lippi.

Ad Amburgo partiamo subito forte, mettendo in chiaro chi è che vuol fare la partita. Gli ucraini a centrocampo sono vittime sacrificali della corsa e del palleggio dei nostri, tentano di chiudersi ai limiti dell’area ma noi attiviamo i nostri tiratori. Il primo a provarci è Camoranesi, poco preciso. Al sesto ci prova allora Gianluca Zambrotta che trova l’angolino basso alla sinistra di un Shovkovski che non sembra troppo reattivo. L’estremo difensore ucraino si tuffa, tocca la palla, ma non la ferma. Uno a zero.

Al ventesimo l’Ucraina prova a togliere un difensore per una punta e dare più manovra offensiva. Il gol ha tagliato le gambe ai nostri avversari che faticano anche solo ad avvicinarsi all’area. Shevchenko non trova un solo spazio giocabile. L’Italia è in controllo, la partita in discesa. Ma, come al solito, è tutta un’illusione. La squadra di Oleg Blokhin cambia faccia e comincia ad impensierire la difesa azzurra. Al quinto minuto Buffon si immola contro il palo per fermare un colpo di testa ravvicinato di Gusin. Dieci minuti scarsi più tardi è ancora il portierone azzurro a respingere un tiro ravvicinato degli avversari, l’azione resta viva, Tymoschuk calcia a colpo sicuro verso la porta sguarnita ma Zambrotta gli rispedisce l’urlo in gola salvando sulla riga.

L’Ucraina è partita forte, con la giusta mentalità e sta prendendo possesso della gara. Pochi minuti dopo la più clamorosa delle occasioni, però, è l’Italia a rimettere la testa in avanti; da un’azione di corner Totti pennella uno splendido pallone in area. Luca Toni sbuca con la potenza di un bisonte e lo incorna alle spalle del portiere. È un colpo che fa male, malissimo, alla testa degli ucraini che sembravano aver trovato il giusto approccio. Sheva e soci non si arrendono, si ributtano in avanti e colpiscono una traversa che avrebbe potuto riaprire la partita dopo appena 120 secondi aver subito il secondo gol. E così, dopo soli otto minuti, l’Italia la chiude. Zambrotta domina la fascia sinistra, salta due avversari, entra in area a testa alta, si tira addosso un altro difensore e il portiere in uscita e, con estrema lucidità, la mette in mezzo per Toni che deve solo spingerla dentro. È il tripudio. Nonostante le occasioni concesse (è pur sempre un quarto di finale dei mondiali) l’Italia sembra aver trovato la retta via. Proprio ora, nel momento clou, quando mancano 180 minuti, o poco più, per diventare campioni del mondo.

Luca Toni Pepperoni Numero Uno

Gli azzurri troveranno in semifinale la Germania di Kilnsmann, umiliata a Firenze meno di un mese prima dei mondiali e che, finora, non ha mostrato grandi cose. La rosa dei tedeschi non è all’altezza delle grandi del passato (e nemmeno di quella attuale), ma gioca pur sempre in casa ed è figlia di una tradizione per la quale per battere i panzer devi ammazzarli tre volte. O anche quattro. Non mollano mai. Proprio come contro l’Argentina, dove in una noiosissima partita i tedeschi si trovano sotto di un gol grazie ad una incornata di Ayala. La Germania non sembra in grado di reagire, la partita procede stanca verso il triplice fischio quanto un sussulto di Miroslav Klose la raddrizza in modo inatteso. Altro colpo di testa e pareggio. I supplementari regalano gli stessi momenti di nulla dei tempi regolamentari e quindi si va ai rigori. La Germania li infila tutti, per i sudamericani sbagliano proprio Ayala e Cambiasso. Finisce 4-2 e l’obiettivo minimo per una grande nazionale che ospita i mondiali è raggiunto.

L’Inghilterra ha finora deluso ma è riuscita ad arrivare a un passo dalle semifinali; l’accesso se lo giocherà contro il Portogallo, altra squadra che finora ha reso al di sotto delle aspettative. La partita non è troppo brillante ma le occasioni da gol non mancano. Ci provano Luis Figo e Ronaldo da una parte e Lampard dall’altro che prova più soluzioni. David Beckham, il migliore degli inglesi in questo mondiale, abbandona per infortunio. La seconda doccia fredda è l’espulsione di Wayne Rooney dopo che Lampard si è divorato un’occasione clamorosa calciando a lato. Con l’Inghilterra in dieci il Portogallo ritrova equilibrio e se la ricomincia a giocare.

Le squadre vanno ai supplementari dove, tutto sommato, continuano a giocare pur senza eccedere nello scoprirsi. Si va ai rigori e, come due anni prima all’Europeo, il protagonista diventa il portiere lusitano Ricardo. Nel 2004 aveva fermato Beckham e, al settimo penalty, Darius Vassell. Nella serata mondiale ipnotizza Lampard, Gerrard e Carragher. Viana e Petit sbagliano per il Portogallo ma non basta, CR7 sigla il rigore decisivo e spinge avanti i portoghesi.

Nell’ultima partita la Francia lancia un chiaro segnale. I transalpini affrontano il fortissimo Brasile, reduce da tre finali mondiali consecutive (due vinte e una persa, proprio contro la Francia). I Verdeoro provano subito a impostare il proprio gioco ma non appena i francesi si sistemano nei giusti meccanismi la partita è affar loro. Zidane è in uno stato di grazia, sta giocando il miglior mondiale della sua carriera, decisamente al di sopra anche di quello vinto dove brillò “solo” grazie alla doppietta in finale. Sulla mediana la Francia domina, costruisce e vince la partita. Zidane detta ritmi e passaggi e, al 12° della ripresa, pesca Henry su punizione. L’attaccante è stato abbandonato dalla difesa avversaria e la ringrazia insaccando la rete decisiva. Il Brasile alza la testa, prova a reagire e si procura qualche infruttuosa palla gol. Il risultato non cambierà, il Brasile tornerà a casa da grande favorita.

La Francia in semifinale affronta la sorpresa Portogallo. La partita non è avara di occasioni, le stelle in campo illuminano il gioco, assist e conclusioni di Figo, Zidane, Ronaldo, Henry. La partita è piacevole ed in costante equilibrio. Poco dopo la mezz’ora Henry si procura un rigore che Zidane trasforma portando avanti i francesi. La gara continua sugli stessi ritmi anche nella ripresa. Al 33° Figo manca clamorosamente il bersaglio dopo una corta respinta di Fabien Barthez. La Francia comincia a calare, la stanchezza del tour mondiale inizia a farsi sentire. Il Portogallo tenta il forcing finale senza successo. Per la seconda volta nella sua storia la Francia raggiunge la finale di un mondiale e, comunque vada, visto il percorso di costante crescita durante questa edizione tedesca, non ci arriva da sfavorita. Zinedine Zidane vuole riprendersi il mondo.

Dortmund, Westfalenstadion, 4 luglio 2006

Italia-Germania non è mai una partita normale. Non lo è mai stata. Non lo era quando esistevano un occidente ed un oriente, non lo è stata dopo. Italia-Germania è lo scontro tra due superpotenze del calcio europeo e mondiale, la sifda tra le più titolate nazionali del vecchio continente. Italia-Germania è anche uno scontro di scuole calcistiche opposte ma non così lontane. La fantasia e la velocità della storia italiana, la tenacia e la fisicità della scuola teutonica. A Dortmund Italia-Germania vale tantissimo, quanto all’Azteca nel 1970, il leggendario 4-3 del mondiale messicano. Ciò che temiamo di più di quella Germania è il fattore campo. Ammettiamolo, razionalmente nessuno teme davvero quella partita. Non dopo il risveglio con l’Ucraina, non dopo che Toni si è sbloccato, non dopo i quattro gol del mese prima perché Italia-Germania è tante cose ma mai un’amichevole. Quindi quel 4-1 pesa eccome.

La Germania non è scarsa, ha ottimi giocatori come Klose, Lahm, Ballack, Metzelder, ma non sembra essere una formazione completa, equilibrata. Inoltre, con ogni probabilità, l’errore più grave è stato scegliere Klinsmann come selezionatore, forse convinti che il fattore campo sarebbe stato quel di più in grado di spingere i tedeschi fino in fondo.

Quando le squadre entrano in campo è subito chiaro il clima. Gli italiani presenti sono pochi, sparpagliati qua e là con le loro magliette azzurre e qualche tricolore. La memoria riporta all’Olanda, all’europeo del 2000, all’impresa eroica dei ragazzi di Dino Zoff. Il messicano Benito Archundia fischia l’inizio del match. L’Italia non è per nulla intimorita ed entra in campo per giocarsi la partita a viso aperto. Al 16° Perrotta si presenta subito a tu per tu con Lehmann e sbaglia. Poco dopo ci riprova Totti, la difesa sventa. I tedeschi non stanno a guardare: dopo un pallone recuperato Klose mette davanti alla porta Schneider che spara di poco alto. Le ripartenze azzurre sono sempre rapide e insidiose, verso la fine del primo tempo Toni ha la possibilità di fare molto male su una di queste ma è bloccato al momento del tiro dall’intervento disperato di un avversario.

Nella ripresa i tedeschi aprono spingendo. Buffon è provvidenziale in una uscita bassa su Klose che si è presentato in area dopo essersi bevuto i nostri difensori, poi respinge una staffilata ravvicinata coprendo come da manuale il primo palo. La partita è divertente ma va via calando nell’intensità. Il ritmo scende e la Germania non riesce più a farsi viva dalle nostre parti. Lippi mette Gilardino per Toni e si tiene gli altri cambi per i possibili tempi supplementari. Una fiammata azzurra si chiude con un tocco appena troppo lungo per Perrotta che non arriva ad anticipare Lehmann ed è steso dal portiere tedesco che sventa la minaccia. Si va ai supplementari. Come nel 1970. Come all’Azteca. Si prepara un’altra pagina epica per il calcio italiano.

Lippi capisce le difficolà di tenuta dei tedeschi che si ritrovano sulle gambe anche i trenta minuti in più del quarto giocato contro l’Argentina. Rinuncia a Camoranesi per rinforzare l’attacco con Iaquinta. Pronti via e Gilardino scappa sulla destra, arriva sul fondo e si beve Ballack rientrando con un gran controllo del pallone, incrocia il tiro sul primo palo e lo centra in pieno. Dortmund trema, soffre, si zittisce; l’Italia, tutta rappresentata dal circolo di Migliarina esplode, impreca e ruggisce. Avanti ragazzi, avanti ragazzi!

Il tempo di un sorso di birra e da un angolo di Pirlo una corta respinta regala il pallone a Zambrotta che calcia deciso verso la porta difesa da Lehmann. Traversa! Una fottuta, maledetta traversa. Spesso, nel calcio, questi episodi sono pessimi presagi. Lippi urla “vaffanculo” al fato dalla panchina e sul ribaltamento di fronte Podolski sfrutta malissimo un cross di Odonkor mettendo ampiamente a lato. Entra Del Piero, l’unico attaccante italiano a non aver ancora segnato in questo mondiale. Esce Perrotta. Un altro sbilanciamento offensivo, come uno squalo il CT annusa l’odore del sangue e, in ogni caso, Pinturicchio è anche un ottimo rigorista. Hai visto mai.

Nel secondo tempo supplementare le squadre sono sempre più sfilacciate, sempre più allungate, le gambe sempre meno reattive. Podolski riceve al vertice sinistro dei nostri sedici metri e calcia sicuro in porta, Buffon si lancia e devia sopra la traversa. Poco dopo ci prova Pirlo, con una botta dalla distanza. Costruire azioni è ormai un’utopia, le squadre sfruttano i piedi migliori che hanno provando a passare dalla distanza. Il tiro del fantasista azzurro è potente, non troppo angolato, Lehmann si distende e lo mette in angolo.

Per raccontare quello che succede dopo basta chiudere gli occhi e ascoltare la telecronaca di Caressa. Mancano una manciata di minuti. A Migliarina si scende dalla saletta TV per il rifornimento birra che servirà per i rigori. L’ordine è  pari al corrispondente di quello che servirebbe a garantire il funzionamento di un weekend all’Oktober Fest ma, si sa, i rigori generano tensione. Scendo rapidamente le scale dopo la parata di Lehmann. Al banco, il barista, in completa solitudine, sta guardando la partita sul televisore della sala principale completamente deserta. Nemmeno un anziano col bianchetto. Ordino. Mi appoggio al bancone completamente passato dal sudore. Mi volto verso lo schermo, Del Piero sulla bandierina, sei azzurri in area. Parte il cross, la difesa respinge, la palla arriva a Pirlo in ottima posizione, quattro maglie bianche gli si parano davanti. Pirlo comincia a danzare sulla propria destra, muove i piedi rapidamente, aspetta un passo falso dei difensori per intravedere la porta e tirare. Si decentra troppo ma, finalmente, trova un pertugio: è quello che porta a Grosso.

Fabio Grosso, nato a Roma il 28 novembre del 1977. L’Inter lo ha appena comprato dopo una buona stagione a Palermo infarcita di sgaloppate sulla fascia e cross in mezzo. Fabio può muoversi verso il pallone e provare a incrociare un tiro difficilissimo o spararla in mezzo sperando nel miracolo. Un tedesco gli si fa incontro per chiudere lo specchio ma è in ritardo. Caressa continua a gridare Pirlo! Pirlo! O cose del genere… Fabio arriva sul pallone e lo colpisce con una precisione inaudita. Il boato sopra la mia testa (e quella del barista) voi non lo immaginate. La terra trema, Grosso corre in lacrime e urla come un disperato. Io rifaccio le scale e mi ritrovo in una sala devastata, i divani sono spostati di mezzo metro, nel centro del pavimento una quindicina di persone sono ammassate l’una sopra all’altra e sembrano tutte pronte per un TSO. Mi tuffo nell’orgia. Abbiamo finito la voce. L’Italia ha finito la voce. A Dortmund i tedeschi sono scioccati. Klinsmann in completo stato confusionale batte le mani per dare la carica ad un esercito di ombre.

GROSSO….GROSSO….GOL DI GROSSO….

La nostra Italia sta in quel circolo di Migliarina. Ci rialziamo. Torno al bar, i rigori non ci saranno ma dobbiamo brindare. È il 119° minuto. La Germania cerca l’affondo mentre il barista ritira fuori le birre e le rimette sul bancone. Cannavaro esce di forza dall’area e ruba la palla ai tedeschi. Boato. Guardo il barista e gli dico di fermarsi. Scatto sui pochi scalini che portano di sopra. Arrivo e vedo il lancio di Totti per Gilardino. I tedeschi sono sbilanciati tutti in avanti. Da dietro arriva Del Piero e Gilaridno lo serve mettendolo davanti a Lehmann in posizione defilata. Del Piero è davanti a Lehman. Del Piero è l’unico attaccante azzurro a non aver ancora segnato. Del Piero è quello che non va mai bene anche quando fa bene. Del Piero è quello che ha infilato nel cesso gli europei del 2000. È quello che ci voleva Baggio. Poi ci voleva Totti. Poi ci voleva… Alex non tocca nemmeno la palla, posiziona il corpo appoggiando il peso sulla propria sinistra e poi colpisce con l’interno dentro. Lehmann la guarda passare e infilarsi all’incrocio. È un capolavoro. È l’Azteca. È meglio dell’Azteca. Italia-Germania 2 a 0.

Romano Prodi rischia l’infarto mentre, a pochi metri da lui, Angela Merkel è indecisa se firmare la dichiarazione di guerra nei nostri confronti o l’esilio di Jurgen Klinsmann. La panchina azzurra è una discoteca la cui unica musica è il silenzio del Westfalenstadion sovrastato dalle grida di poche centinaia di italiani. Lippi è rosso come un pomodoro, sta per scoppiare. L’Italia torna in finale per la prima volta dopo il 1994. Alla Germania, che vinse l’ultima volta a Roma, tocca il destino che toccò a noi nel 1990: il terzo posto, conquistato nella finalina col Portogallo (3-2).

Berlino, Olympiastadion, 9 luglio 2006

Per stemperare la tensione si fa finta di nulla guardando la finale di Wimbledon in compagnia. Roger Federer sconfigge il rivale per eccellenza, Rafa Nadal, 60 76 67 63. Lo svizzero ha concesso solo quel set in tutto il torneo. È facile ricordare una finale di Wimbledon in queste circostanze. La sera c’è Italia-Francia. Anche contro i francesi non è mai una partita normale. L’ultima volta li abbiamo battuti nel 1978, ai mondiali argentini. Restando alle competizioni ufficiali abbiamo poi subito il 2-0 a Messico 86, la sconfitta ai rigori in casa loro, nel 1998, e quella col golden gol di David Trezeguet nel 2000. Ventotto anni senza batterli e con due tremende delusioni sulle spalle in tempi recenti.

Le due squadre non erano tra le favorite per giocarsi il titolo ma entrambe hanno avuto un percorso convincente, soprattutto i nostri cugini che, non nascondiamocelo, sono la prima vera Squadra, con la maiuscola, che affrontiamo. I Blues sono partiti a rilento, ma poi hanno fatto fuori la Spagna, il Brasile e il Portogallo, giocando sempre meglio, dominando in mezzo al campo e affidandosi alle magie di uno Zinedine Zidane particolarmente ispirato. L’Italia ha balbettato più a lungo, ma le partite contro Ucraina e Germania hanno presentato una squadra quadrata, in grado di fare molto male in attacco e di difendersi bene, con un Buffon ultimo uomo quasi insuperabile. E poi c’è il carattere. Il gruppo, riunitosi sotto gli attacchi di Calciopoli per dimostrare il vero valore azzurro. Scendiamo in campo con 40000 italiani sugli spalti. L’Italia chiamò!

Dopo sette minuti il disastro. Malouda entra in area, si infila tra Cannavaro e Materazzi e quest’ultimo commette una imperdonabile leggerezza toccando la gamba del francese e stendendolo. È rigore. Zidane scucchiaia, la palla picchia sotto la traversa e rimbalza dietro la linea di porta. Francia avanti. Zizou, con quell’esecuzione, lancia un chiaro segnale: vuole demolirci, umiliarci. Vuole il mondo ai suoi piedi e se lo prenderà con classe, eleganza, freddezza.

La partita si mette malissimo. Il centrocampo francese finora ha dominato tutte le partite a eliminazione diretta e per la squadra di mister Domenech andare subito avanti è una manna. L’Italia dovrebbe prendere l’iniziativa rischiando di essere perforata ogni tre per due e per la prima volta in questo mondiale è sotto. La nostra nazionale è obbligata a sfondare per le vie laterali, Vieira e Makelele sono una diga troppo solida e annullano tutti i tentativi di passare per Francesco Totti. Dall’esterno possiamo sfruttare meglio la rapidità e la pericolosità di Toni sui cross. Al 19° Matrix si redime. Angolo di Pirlo, Mterazzi vola in cielo e sovrasta Vieira, la colpisce con forza e precisione; Barthez è a metà tra l’uscita e il restare in porta ed è battuto. Materazzi esulta indicando con gli indici quel cielo che ha appena sfiorato, quel cielo sopra Berlino.

in cielo, sopra Berlino e Vieira

La parità galvanizza gli azzurri. I francesi appaiono compassati e sulle fasce non riescono ad arginarci. Toni crea scompiglio in area e guadagna un calcio d’angolo dal quale riceve un perfetto pallone di Pirlo che stampa sulla traversa. L’urlo ci rimane in gola, le mani strusciano nervosamente e per disperazione sulle nostre teste. Dopo le emozioni iniziali la partita rientra in una fase di studio, le squadre non rischiano quasi nulla come sempre accade in queste occasioni.

Si va nella ripresa, né Lippi né Domenech cambiano qualcosa. Thierry Henry diventa l’uomo più insidioso con le sue incursioni, Vieira non ne sbaglia una ma esce per infortunio. Gli azzurri tendono a chiudersi un po’ troppo, Totti deve uscire, Perrotta gli fa compagnia. Entrano Iaquinta e De Rossi, al rientro dopo le 4 giornate prese per la gomitata rifilata a McBride. Toni segna con un bel colpo di testa rimettendo in luce la difficoltà francese sulle palle alte, ma mentre l’Italia è in delirio ci accorgiamo che il bomber azzurro smette di esultare. Un fuorigioco, in realtà ininfluente, di Iaquinta fa alzare la bandierina all’assistente dell’argentino Horacio Elizondo.

Il solito Henry si presenta in area palla al piede, Cannavaro lo chiude bene ma l’attaccante dell’Arsenal riesce a calciare, per nostra fortuna non troppo bene. Buffon respinge. Pirlo risponde mettendo di poco a lato una punizione calciata da trenta metri. La partita non è bellissima ma regala sprazzi di bel gioco e alcune belle occasioni. Allo scadere entra Del Piero e si va ai supplementari. Come nel 1998. Come nel 2000. Di nuovo di fronte ad una pagina epica da riempire d’inchiostro o ad un tonfo dolorosissimo.

Ribery ha subito una buonissima occasione che spara malamente a lato prima di lasciare spazio a David “Golden Gol” Trezeguet. Zidane, che aveva chiesto il cambio al 42° della ripresa per poi decidere di rimanere stoicamente in campo, incorna di potenza il cross di un compagno. La palla è potente e precisa, per fortuna troppo centrale e Buffon si lascia bastare un grandissimo riflesso per alzarla sulla traversa. Azione da fotografia.

Posterize

Il secondo tempo comincia senza Henry, stremato da una partita di grande intensità, sostituito da Sylvain Wiltord. Proprio lui, quello del gol al 94° in quel maledetto europeo. Adesso ci siamo proprio tutti. La prima situazione di rilievo arriva al 5° minuto. Materazzi è a terra, dolorante. Ha preso un colpo. Gigi Buffon gira per il campo urlando qualcosa, è evidente che Materazzi sia stato colpito da un avversario a palla lontana. Il difensore azzurro si rialza e viene accompagnato fuori dal campo mentre grida che tutto il mondo ha visto. Tutto il mondo a parte, sembra, la quaterna arbitrale.

Leggenda vuole che uno dei due guardalinee alzi gli occhi verso le schermo e riveda l’immagine di quanto avvenuto. Zinedine Zidane, uno dei più grandi giocatori degli ultimi vent’anni, pallone d’oro, campione di tutto, rifila una testata devastante al torace del giocatore azzurro. Un gesto vigliacco, scandaloso, che per Zizou non è, purtroppo, una novità. Sempre molto corretto, infatti, il francese non è però alla prima occasione che usa la testa per abbattere un avversario. Ma qui, in una finale di Coppa del mondo, il gesto è semplicemente inspiegabile, qualunque cosa possa aver detto Materazzi.

Tutto il mondo attende la giusta espulsione del francese, tranne qualche tifoso juventino, perché noi italiani sappiamo dividerci anche in queste cose. Caressa è ormai al limite del sopportabile, sta chiedendo l’intervento delle Nazioni Unite quando il guardalinee guardone richiama l’arbitro e fa, giustamente, cacciare il francese. La sua partita, il suo mondiale e la sua carriera finiscono così. Con una uscita dal campo, la testa bassa e Materazzi che, dalla linea laterale, in attesa di rientrare in campo, lo osserva con occhi spiritati. Con gli avversari in dieci, senza Zidane, Vieria e Henry, i tre migliori in campo, l’Italia si spinge in avanti ma con troppa stanchezza e senza lucidità. I 120 minuti finiscono qua. Si va ai rigori. Ai maledetti rigori.

La storia recente dei mondiali italiani la dice lunga: fuori ai tiri dal dischetto nel 1990, 1994 e 1998 (proprio con la Francia di Zidane e Trezeguet). Fuori nel 2002 per un golden gol che ci ha forse risparmiato l’ennesima lotteria di sangue. Tutta l’Italia si alza in piedi e si stringe ai ragazzi a Berlino. Il momento tanto odiato e tanto atteso è arrivato. La Seven Nation Army è stata battuta quasi tutta, mancano solo cinque tiri per capire se sarà definitivamente spazzata via. La tensione è al massimo, si esce a prendere aria, si fumano sigarette, si guarda al cielo, scuro e stellato, meraviglioso e infinito come sa esserlo in estate, lontano dal centro. Ancora i rigori, ancora i rigori. La strana ironia del torneo più importante del mondo: giocare sette partite in un mese e giocarsi l’attimo più importante di una carriera sportiva in cinque rigori.

Comincia Pirlo. Solito sguardo spento, volto stanco, distaccato, un piede fatato. Barthez, insultato per tutta la partita dal pubblico di Migliarina in totale continuità con la finale di Euro 2000, va alla propria destra. Pirlo calcia centrale e si bacia la fede. 1-0

Wiltord, grande sospiro sul dischetto, poi spiazza Buffon. 1-1

Materazzi si presenta coperto dai fischi francesi. L’arbitro gli chiede di aggiustare il pallone sul dischetto, ma lui non si scompone. Matrix ha giocato al Sandro Cabassi di Carpi, lo stadio Olimpico di Berlino non lo preoccupa. Sinistro preciso nell’angolino, Barthez intuisce ma raccoglie la palla in fondo al sacco. 2-1

I boati che accompagnano i rigori sono sempre uguali. Volume altissimo, durata breve. Un grido che è quasi uno sfogo, un verso da cavernicolo affamato e incazzato. Fin quando non arriva David Trezeguet. Sì, sempre lui, quello del golden gol, non ricordo se lo abbiamo già scritto. L’attaccante della Juve contro il portiere della Juve e Caressa che ripete all’infinito “…lo conosci”. Ma anche David conosce Gigi e infatti lo spiazza. Solo che alza troppo il pallone che picchia forte sulla traversa e rimbalza in campo. Ha sbagliato. Stavolta il boato è di quelli lunghi, quasi come quelli che sottolineano una vittoria. Qualcuno invita alla calma, altri non riescono a stare fermi e scuotono i pugni in segno di esultanza. Sappiamo tutti che il prossimo rigore è un mezzo match point a livello psicologico. Anche nel 1998 sbagliarono prima loro, con Lizarazu. Ma quello successivo lo sbagliò Demetrio Albertini.

Stavolta, dopo l’errore, va Daniele De Rossi. Successivamente dirà di aver pensato che non poteva sbagliarlo. Semplicemente non poteva. Ha marciato dal centrocampo al dischetto ripetendosi che non lo avrebbe sbagliato. Dopo la sciocchezza della gomitata con gli USA non può più sbagliare. Barthez intuisce ma De Rossi la spara sotto la traversa e anche lui si bacia la fede. 3-1

Per la Francia tocca Abidal. Sembra nervoso, troppo teso, si aggiusta i calzettoni. Il guardalinee chiede a Buffon di stare fermo sulla riga, ‘sto rompicoglioni. Abidal calcia e spiazza Buffon. Gigi non ne sta vendendo una. 3-2

Arriva Del Piero. Ci dirà poi che, nel tragitto della maledizione, ha pensato solo a come calciare il rigore perché, come insegnano i grandi rigoristi, quando appoggi la palla sul dischetto, in una situazione così, non puoi più cambiare idea. Non puoi perché Baggio nel 1994 ha cambiato idea al momento del tiro e sappiamo bene com’è andata a finire. Del Piero è un grande rigorista ma ha una storia travagliata con la nazionale, una splendida signora che ha sempre amato ma dalla quale non è quasi mai stato corrisposto. Si è rilanciato, col gol in semifinale, ma quel 2-0 era tanto bello quanto ininfluente. Questo rigore pesa come il mondo. Del Piero calcia alla propria sinistra, Barthez vola dall’altra parte, e Alex sfoga la propria gioia. 4-2

Per la Francia va Sagnol che spiazza Buffon per la quarta volta su quattro tiri. Non c’è niente da fare, ormai è chiaro che non si può contare sul nostro portierone, trafitto solo due volte in questi mondiali, da un autogol e da un rigore, proprio questa sera. Ma alla lotteria niente da fare. 4-3

Adesso abbiamo davvero il match point.

Va Fabio Grosso. Lippi lo ha messo come quinto perché è l’uomo dell’ultimo momento. Il rigore procurato con l’Australia, il gol ai tedeschi. Lui chiude il cerchio. Grosso è da tre anni nel giro della nazionale, ma cinque anni fa giocava nel Chieti, in Serie C2. Cosa può passare per la testa a un ragazzo in quella situazione? Dal Chieti al rigore che vale la Coppa del mondo. Un peso insopportabile. I professionisti che hanno vissuto quelle situazioni spesso raccontano aneddoti e pensieri del momento, ma secondo noi sono solo suggestioni. In quei momento la testa è vuota, il cuore batte forte, il respiro si ferma nel momento stesso in cui colpisci il pallone e riparte quando questo finisce la propria corsa. E muori dentro, quando questo picchia sul palo o è respinto dal portiere mentre il boato dello stadio copre la tua disperazione e rimani l’uomo più solo sul campo.

No, non pensi a niente. Se pensassi a qualcosa torneresti indietro e ti rifiuteresti di batterlo. Del resto in NFL è tradizione chiamare un time out prima di un field goal decisivo per gli avversari proprio per dare al kicker il tempo di pensare, di cominciare a preoccuparsi, di uscire da quella trance agonistica che ti guida ad agire con automatismi perfettamente immagazzinati nel tuo inconscio. Chissà a cosa pensava Grosso. Iaquinta e Toni cominciano ad interrogarsi su chi sarebbe, nel caso, il sesto rigorista. Andrea Pirlo si avvicina a Fabio Cannavaro, lo abbraccia al collo. “Fabio, ma se Grosso segna abbiamo vinto?” ” Sì Andrea…” Fabio Grosso avrebbe poi dichiarato di aver pregato perché Buffon parasse il quarto rigore francese, ma il portiere azzurro aveva un bidone della spazzatura al posto del cuore quella sera e non se ne è fatto niente.

Lippi si aggiusta gli occhiali. Grosso si morde la lingua, fissa il pallone. Per un attimo, ma solo un attimo velocissimo, alza gli occhi al cielo, il buio cielo di Berlino, poi li riporta sulla palla. L’Italia è immersa in un silenzio surreale interrotto dal fischio dell’arbitro. Rincorsa lunga, Grosso parte. Ci siamo, tratteniamo il fiato, ci abbracciamo come i compagni di Grosso a centrocampo. Caressa è zitto da almeno venti secondi. Sono momenti interminabili, la rincorsa sembra una mezza maratona, non finisce mai. Grosso arriva sulla palla e la spara fortissima alla propria destra, a mezza altezza. Barthez si sdraia dall’altra parte. Gol. 5-3. Non ne abbiamo sbagliato uno.

Corsa mondiale

Il fiato esce dai polmoni tutto insieme con la forza d’urto di un pezzo della NY hardcore anni 80. È follia, entusiasmo, una corsa pazza e sparpagliata in mezzo al campo. Lippi ha la tipica faccia di chi ci ha sempre creduto, nemmeno troppo sorpreso. Noi quella di chi non ci voleva credere ma ora… ora non sa cosa farsene. La corsa per i festeggiamenti è immediata, su un furgone scoperto, fino a notte fonda, in piazza, per le vie del centro, con quel “po-po-po” che rimbomba all’infinito, nato per caso a Bruges e ora portato in trionfo a Berlino. Con quel riff di Seven Nation Army che ti batte nel cuore per ore.

Germania 2006 regala il quarto titolo mondiale all’Italia, inatteso e meraviglioso, la vittoria di un gruppo ricompattatosi all’ultimo momento sotto la crisi, cresciuto piano piano tra mille difficoltà ma contenuto nel carattere nei momenti che contavano davvero. Non è la vittoria di nessuno in particolare, stavolta è realmente la vittoria di tutti nel vero senso del termine. Le immagini del giorno dopo che in loop ripropongono le piazze italiane che esplodono sul rigore di Grosso sono commoventi, magiche, esaltanti e mostrano le scene di una festa che non vorresti mai far finire. Roma, Milano, Napoli, Torino, Padova, Firenze, Bologna, Carpi, Migliarina. Il mondo del calcio ai nostri piedi nel momento più buio del nostro calcio. C’è tanta Italia in questa contraddizione. La maledizione dei rigori vinta. E quella notte di Berlino, indimenticabile, con quel meraviglioso cielo scuro e infinito che all’improvviso si tinge di azzurro.

(Photo credit should read NICOLAS ASFOURI/AFP/Getty Images)

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