A colpi di ricordi – Il ciclismo

Gran cosa la tecnologia. Mi permette di rompere le palle alla gente ventiquattro ore su ventiquattro. Ieri sera mentre il buon Ciavattini seguiva con l’attenzione del vero appassionato di ciclismo la prima parte dell’intervista a Lance Armstrong, io continuavo a rompergli le scatole via WhatsApp. Lui con profonda educazione rispondeva alle mie farneticazioni, finché non gli ho gettato lì un’idea. Il Ciava ed io abbiamo una visione fanciullesca dell’evento sportivo (bestemmie a parte, ovvio) entrambi pretendiamo che una partita o una gara siano in grado di regalarci le stesse emozioni (stupore, incredulità entusiasmo) di quando eravamo bambini. Comunque, mentre insultavo Armstrong e tutti quelli che, come lui, mi hanno rovinato la gioia di seguire il ciclismo con quella spensieratezza, mi sono venuti in mente alcuni momenti indimenticabili a cui ho avuto la fortuna di assistere. Ed ecco l’idea: un bel botta e risposta tra me tifoso deluso e Ciavattini tifoso accanito sulle migliori gare ciclistiche che abbiamo visto quando eravamo ragazzi. Lui mi ha detto vediamo se in questo modo ti riesce di scrivere qualcosa di decente ed eccoci qui.

Alvise: Allora Francesco direi che di roba su cui sbizzarrirci ce ne è in abbondanza. Argentin e la stoccata al mondiale su strada di Colorado Springs, una qualsiasi Parigi Roubaix, il giro del 1990 di Bugno, ma in realtà sappiamo entrambi da chi vogliamo partire: giugno 1994?

aza: Tu mi spaventi, intanto mi chiami per nome…preferisco il nickname, sai non tutti usiamo come nick il nostro nome e poi mi fai sentire troppo importante così. Partiamo dal presupposto che io in memoria avevo 4, ma per giugno 1994 non intendi i mondiali di calcio a mezzogiorno orario locale, vero?!

Alvise: No, pensavo a…

aza: Sì, lo so, l’uno-due che ha messo Pantani sulla mappa del ciclismo e sul cuore di ogni bambino che ancora si poteva permettere di sognare con atleti che semplicemente pedalavano. La fuga “bidone” verso Merano e il capolavoro sul Mortirolo il giorno successivo. Parliamo di uno di quegli eventi per cui vale la pena definire un prima e un dopo.

Alvise: Esatto. Io non lo conoscevo, come in molti credo, ma vederlo scattare in quel modo. Non era un Chiappucci, un onesto lavoratore del pedale che arrivava dove lo portava la testardaggine, non il talento. Pantani era diverso. Lo capivi subito che lui la strada appena saliva la dominava con la classica marcia in più. Vedere Indurain soccombere sotto i suoi colpi era incredibile. E vederlo ripetersi il giorno dopo sul Mortirolo, lo fu ancora di più. Mi ricordo che ne parlai a mio padre in modo entusiasta. Che era magnifico, che era un fuoriclasse e in montagna nessuno poteva batterlo. E l’avevo visto solo due volte, eppure era quello l’effetto che ti faceva Pantani. Lo guardavi pedalare in salita e sapevi che nessuno sul quel terreno avrebbe mai potuto batterlo. Era una certezza, istintiva come il suo talento. Certo da vero espertone dissi anche a mio padre che con quel fisico non avrebbe mai vinto una corsa a tappe importante, se non avessero abolito le cronometro, ma tutti possono sbagliare, no?

Un passaggio di consegne..a 23 anni di distanza

Un passaggio di consegne..a 33 anni di distanza

aza: Mi citi grandi corse a tappe, mi citi “tutti possono sbagliare” e mi si riapre una ferita. Non è Madonna di Campiglio, di quella, quasi in maniera infantile, non ne voglio parlare in questa conversazione. La ferita è molto più personale: io ho un vizio, che soprattutto in quegli anni trova sfogo…messa così può sembrare ambigua, mi chiarisco subito: colleziono “Gazzette dello sport”. Ho la “Gazzetta”, ormai tutta gialla, con Gimondi che gli alza il braccio al cielo di Parigi, ma quella con le ruote della bici di Marco che spruzzano acqua tirata su dall’asfalto, mentre dietro la curva, salendo verso il Galibier, spunta Leblanc, non c’è più, non so quando, non so come, non so chi, ma è andata persa: è un po’ come quando scopri che sopra al record del mondo di Donovan Bailey dei 100 metri di Atlanta 1996 ti c’hanno registrato “Beautiful”…adesso….non voglio dire che la responsabile sia la stessa…ma ci siamo capiti, son comunque bestemmie.

Alvise: Beautiful? Naaaa

aza: Già.

Alvise: So cosa significa e di solito è accompagnata da frasi tipo: “sarà da qualche parte.” e poi “era solo un giornale impolverato che vuoi che sia” oppure “se tu tenessi in ordine le cassette non sarebbe successo.” Al che ti viene uno spasmo cardiaco, seguito da un sacrosanto istinto omicida, decidi che non puoi sopportare nello stesso giorno la perdita del tuo cimelio e della genitrice e soprassiedi, ma ti rode sta cosa ti rode. In un certo senso è come vedere uno per cui tifi arrivare a un soffio da una vittoria meritatissima e vedersela sfuggire da sotto il naso. Chessò Ballerini alla Roubaix del 1993? Bugno alla Amstel Gold Race dello stesso anno. Anche se la prima era ben peggiore, sia per la modalità di come avvenne, ma anche perché la Roubaix è LA corsa in linea. Un dinosauro che non si è estinto e ti lascia immaginare

Fango e sudore

Fango e sudore

cos’era il ciclismo ai tempi dei nostri nonni e anche più indietro. Dove il primo nemico non era l’avversario accanto a te, ma la stessa strada che percorrevi, sempre in attesa di farti cadere con un ciottolo fuori posto oppure bucarti la ruota proprio quando qualcuno prova ad attaccare e tu devi rispondere. La Parigi Roubaix che se non piove, mica è la stessa cosa. In pochi la sanno dominare quella corsa, che di solito è roba dei Belgi o dei Francesi, ma qualcuno dei nostri c’è riuscito.

aza: Sì sì, la Sanremo con il poggio che faceva la differenza, il Lombardia che chiude la stagione, il Giro è sempre il Giro e al Tour tra i francesi che ancor si incazzano e i giornali che svolazzano, ma il ciclismo che trasuda da ogni classica del nord non lo raggiunge nessun tappone dolomitico. Ovviamente idea personale, ma andare a vincere in terra straniera, lassù al nord, ha un sapore particolare. Così ti scopri ad amare Andrea “gomiti larghi” Tafi da Fucecchio (come Alessandro Lambruschini, ma quelli sono altri amarcord): non è bello da veder pedalare, ma è affascinante quando sbuca dalla foresta di Areneberg tutto infangato, come lo è vederlo staccarsi indietro sui muri del Fiandre, per poi vincerla recuperando tutti e staccandoli in pianura, a 35 anni battendo Van Petegam, Hincapie ma soprattutto Johan Museeuw “il Leone delle Fiandre”. La gazzetta dell’8 aprile 2002 scriveva: “L’Italia che vince […] è quella a due ruote della bici, dove alla fine piangono tutti”.

Alvise: Le lacrime spesso però non erano di gioia, perché di tragedie il ciclismo ne ha da raccontare a mani basse.

aza: Verissimo, ma non mi tirare fuori Pantani. L’ho già detto non ne parlo.

Alvise: Non ci pensavo nemmeno. Mi è venuta in mente una storia triste e tragica che in un certo senso ci riporta a dove è nata tutta la nostra chiacchierata. Tour de France del 1995 18 luglio; è la quindicesima tappa da Saint-Girons a Cauterets (ho controllato su wikipedia, mica posso ricordarmi proprio tutto), durante la discesa del Colle di Portet-d’Aspet, mentre tutta l’attenzione era su Richard Virenque in fuga nel plotone c’è una caduta non ripresa dalle telecamere (figurati se la televisione francese non seguiva solo l’idolo di casa). Le immagini mostrano alcuni corridori feriti e uno a terra immobile: Fabio Casartelli di anni 25. Aveva battuto la testa contro un paracarro al margine della strada. Si intravede sangue sulla asfalto e si capisce subito che la storia non avrà un bel finale. Eppure rimani lì a guardare sperando che sia solo svenuto; che adesso si alzerà e muoverà le mani per cercare la bicicletta per rimettersi in sella, perché i veri ciclisti (e lui lo era) tornano sempre in sella dopo una caduta, ma non successe niente di tutto questo. Morì durante il trasporto in ospedale senza aver mai ripreso conoscenza. Lasciò una moglie e un figlio di un paio di mesi. Il giorno dopo il gruppo andò a velocità controllata fino al traguardo dove si staccarono i compagni di squadra di Casartelli come il plotone a un funerale militare per l’ultimo saluto.

aza: A vincere fu il compagno di stanza di Casartelli, Andrea Peron.

Alvise: Alla faccia della memoria da quattro.

aza: Wikipedia pure io, che credi di farti bello solo tu?

E' per te

E’ per te

Alvise: Giustamente… comunque, andiamo a chiudere il cerchio e passiamo a una delle immagini più toccanti della mia vita di sportivo passivo. Tre giorni dopo la morte di Casartelli un suo compagno di squadra va in fuga e arriva da solo al traguardo con una trentina di secondi di vantaggio sul secondo. Al momento di superare il traguardo alza entrambe le braccia in alto, ma non in segno di vittoria. No. Lui indica il cielo, il suo amico scomparso. Un gesto istintivo, meraviglioso nella sua innocente bellezza. Che immagine, che pathos. Un brivido mi corre lungo la schiena e risale su per il collo. Mi commuovo. L’uomo al traguardo era, come noto, Lance Armstrong. Bene, è proprio per quel meraviglioso momento che lo detesto profondamente. Non per i sette Tour rubati, ma per avere infangato quel ricordo della mia vita. Nel corso degli anni il vederlo correre (e barare) in modo consapevole e scientifico, mi ha fatto capire che in lui non c’è mai stato spazio per qualcosa di diverso da Lance Armstrong e che ogni suo gesto è dedicato alla vittoria di Lance Armstrong dentro e fuori dalle gare. La conseguenza non può che essere il dubbio, il dubbio che quel gesto fosse calcolato: il frutto di un ragionamento razionale e ipocrita, non dell’istinto. Un modo per conquistarsi l’ammirazione di tutti. Un po’ come il discorso all’ultimo Tour quando dichiarò che bisognava credere nel ciclismo, che lui ci credeva e che lo sport era pulito. E tanto basta a tramutare la commozione in disprezzo. Grazie Lance e vaffanculo.

alvise

Mi piace lo sport, ma soprattutto mi piacciono le storie.

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8 risposte

  1. angyair ha detto:

    Grandissimo pezzo! Grandissimo!
    Non ti sapevo appassionato di ciclismo Alvise…
    Appena letto l’inizio il primo ricordo che mi è passato davanti agli occhi è stato il mondiale di Saronni (avevo una bici da ciclismo piccola e sognavo di emularlo :D), poi il giro di Bugno (che classe che aveva sui pedali…ma quante bestemmie mi ha fatto tirare per quante occasioni ha sprecato!), la tappa con il Mortirolo quando Pantani staccò Tonkov e poi vinse il Giro (io tifavo per il russo però :D) e poi, inevitabilmente, l’Olimpiade di Casartelli, quella gioia da bambino puro ed innocente, e non nascondo che leggendo l’ultima parte mi sono ritornati, ancora una volta, i brividi.

  2. ringos75 ha detto:

    … umilmente vorrei aggiungere degli sprazzi di ciclismo, quello corso, esultato e visto:

    . Greg LeMond: vince il Tour de France 1989 per solo 8 secondi su ‘il Professore’ Laurent Fignon. All’ ultima tappa si presenta una biciclietta futuristica con due “trampoli” attaccati al manubrio che solo lui allora sapeva da dove arrivano.

    . Chiappucci: e la sua mitica fuga bidone del 1990 sempre al Tour de France che da sconosciuto lo trasfoma ne ‘el Diablo’ e lo catapulta sul podio.

    . Miguel Indurain: anche se tra tutti i campioni è quello che mi ha entusiasmato meno .. certamente rimangono in mente le suo cronometro a medie pazzesche che stroncavano ogni avvversaio.

  3. alvise ha detto:

    Grazie anche a nome di aza per questi commenti. E’ bello sentire le emozioni e le storie di altri spettatori cresciuti con gli stessi “miti”

  4. azazelli ha detto:

    uahahaha se permetti a mio fratello il grazie glielo dico a nome mio 😀 e per stessi “miti” intendi la stessa genitrice che cancella donovan bailey con beautiful?? Allora ok 😀

  5. alvise ha detto:

    Beh la mail che è apparsa quando ha postato il commento mi aveva suggerito la parentela, ma dato che dovevo ringraziare anche angy e lui che io sappia non ha gli stessi “miti” ho generalizzato. Aggiungerei anche che tuo fratello sembra avere una memoria migliore della tua…

  6. azazelli ha detto:

    è semplicemente….più vecchio 😀

  7. Teo ha detto:

    Ho letto con colpevole ritardo questo articolo, che mi è sfuggito alla pubblicazione.
    Volevo condividere i miei 2 momenti scolpiti nel cuore del ciclismo, entrambi legati alla compagnia live di mio padre, esultante insieme a me, con urla di giubilo.

    1) Gianni Bugno in una volata quasi infinita da vivere al Mondiale del 91 a Stoccarda, battendo il grande Indurain

    2) Pantani che finalmente si stacca di dosso Tonkov al Giro d’Italia del 98, nella salita verso Montecampione, dopo 1000 scatti dell’italiano e 1000 recupere del russo.

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