Finalmente, Danny Boy

“Finally, the last thing I’ll say to the people who don’t believe in cycling, the cynics and the sceptics: I’m sorry for you. I’m sorry that you can’t dream big. I’m sorry you don’t believe in miracles. But this is one hell of a race. This is a great sporting event and you should stand around and believe it. You should believe in these athletes, and you should believe in these people. I’ll be a fan of the Tour de France for as long as I live. And there are no secrets — this is a hard sporting event and hard work wins it”

Queste le dichiarazione di Daniel Martin dopo la vittoria della più importante classica primaverile. Una vittoria molto più importante per il ciclismo di quanto si possa pensare. Questo perché il nipote di Roche (uno dei due triple crown winners) ed il canadese Hesjedal (vincitore dell’ultimo Giro d’Italia), sono entrambi ciclisti della Garmin, che a quanto risulta pare essere una delle squadre più impegnate nella lotta al Doping.

Garmin-Chipotle, Team Columbia e BMC sono infatti clienti della Agency of Cycling Ethics (ACE), un’agenzia in crescita continua, che garantisce per ogni corridore un minimo di 26 controlli all’anno, effettuati senza preavviso e con controlli sia d’urina che di sangue.

Insomma torna a sorridere l’Irlanda, dopo le recenti figuracce del presidente dell’UCI McQuaid (per nulla amato in Patria), e ha tutto il motivo di farlo, visto che non era scontato che Dan diventasse un ciclista professionista. Non per tutti almeno.

Nasce a Birmingham, in Inghilterra, e comincia a dominare fin da piccolissimo i campionati di ciclismo in linea, vincendo anche il titolo nazionale juniores. Ma la Federazione Britannica è molto più propensa ad investire sul Ciclismo su Pista, e chiude diverse porte a Dan. Fortuna vuole che il ragazzo abbia alle spalle una famiglia che ben sa come funziona il mondo del ciclismo e che quindi lo indirizza verso la Federazione Irlandese. La madre di Dan è Irlandese, e quindi la cittadinanza gli spetta di diritto, nonostante non sia nato entro i confini.

La famiglia continua a giocare un ruolo fondamentale nella carriera del ragazzo, e ogni tappa della sua crescita viene adeguatamente ponderata, per evitare di fare scelte che possano comprometterne il futuro o, alla peggio, bruciare il ragazzo. Addirittura nel 2006 rifiuta di firmare un contratto da professionista, posticipando il tutto di 12 mesi.

Dan fa parte della meravigliosa classe ’86, una fucina di giovani talenti che, stando alle premesse, domineranno il Pro Cycling di là a breve. Nonostante si intraveda la classe cristallina, Danny cresce all’ombra di giovani prodigi come Robert Gesink, Roman Kreuziger (vincitore della Amstel di quest’anno), Simon Spilak, Jeròme Coppel, Bauke Mollema ed altri.

Il principale difetto individuato in Martin è l’incostanza, alterna infatti grandi prestazioni a clamorosi passaggi a vuoto. Nonostante tutto nel 2009 il talento sboccia e raccoglie uno stellare secondo posto alla Volta a Catalunya, dietro solamente ad Alejandro Valverde.

Un brutto infortunio al ginocchio ne tarpa momentaneamente le ali, nonostante una bella vittoria della classifica generale al Tour of Poland. Si riprende e nel 2011 finalmente vince la prima tappa in un Grand Tour, durante la Vuelta a Espana.

La costruzione di un corridore da grandi corse a tappe è molto lenta, si sa, ma nel frattempo il ragazzo sembra essere pronto per giocare le sue carte durante le Classiche Primaverili. Ma oltre alla sua “storica” incostanza si presenta anche un altro problema: soffre di allergie. Una bella gatta da pelare, durante le corse tra colli e campagne belga/olandesi.

Nonostante ottime preparazioni, Dan manca sempre il successo. Nel 2012 arriva sesto a La Flèche Wallone e quinto alla Liège-Bastogne-Liège.

Il 2013 parte molto bene, con la vittoria della Vuelta a Catalunya (la corsa dove era stato proiettato nel ciclismo che conta), ma di nuovo manca il successo a La Flèche, arrivando “solo” quarto. Poi alla Liège finalmente il successo (e che successo), ottenuto dimostrando di essere spettacolare, tattico, forte.

Un gran lavoro di Hesjedal gli ha consentito di arrivare nel gruppetto dei migliori, poi ci vuole la pazienza di non rispondere subito all’attacco di Purito, la forza di riprenderlo e la freddezza di beffarlo con lo scatto decisivo.

He’s been knocking on the door a long time, ora può godersi la vittoria più importante della sua carriera. Una corsa che nemmeno suo zio era mai riuscito a vincere.
Chapeau Danny Boy.

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3 risposte

  1. mlbarza ha detto:

    Bravo a Martin che ricordo con piacere vincere una Tre Valli da semi sconosciuto qualche anno fa. Non sapevo del fatto dell’allergia, potrebbe anche essere che il lungo inverno (e per i ciclisti è stato lunghissimo visto il clima di alcune corse) gli abbia permesso di allenarsi meglio e trovare quel qualcosina che gli mancava.

    Discorso più in generale sulle Ardenne: sono state tre classiche appannaggio di tre outsider, seppur di lusso, ma outsider. Sintomo di maggior equilibrio (e le modifiche ai percorsi di Amstel e Liegi in questo possono avere inciso) di forma meno incisiva dei big ed anche di squadre che vogliono controllare la corsa, ma non ne hanno del tutto le capacità di farlo. Mi viene in mente il gruppo che lascia 40” a Kreuziger ai piedi del Cauberg, piuttosto che Gilbert all’aria già all’imbocco di Huy o della mole di corridori arrivati assieme ai piedi del Saint Nicolas.

    • Carmine D'Amico ha detto:

      Son sempre state corse poco controllabili. Molto meno rispetto alle “cugine” del Pavè.
      Gilbert ha da mangiarsi i denti, perché sul Cauberg mi pare abbia fatto uno dei migliori tempi della storia (!!!) quest’anno. Solo che era già troppo tardi.

  2. Simpaticone ha detto:

    Non bisogna dimenticare che nel 2011 Martin arrivò secondo al Lombardia, dietro solamente al carneade Zaugg

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