L’importante è rialzarsi

C’è un famoso detto che piace molto ai cosiddetti “motivazionisti”, che in realtà non so bene cosa facciano, ma che comunque è molto bello e d’ispirazione nei momenti difficili: “Non è forte colui che non cade mai, ma colui che cadendo si rialza”. Nello sport poi questo assume ancora più importanza visiva perché la metafora del cadere per rialzarsi può essere vista sia come significato della sconfitta che per l’infortunio vero e proprio.

Tanti sono gli atleti che quotidianamente subiscono un grave infortunio, magari uno di quelli che li porta ad abbandonare lo sport agonistico, ma tanti sono quelli che trovano la forza di rialzarsi e lavorano duro per recuperare e tornare in campo. tra questi ci sono quelli, poi, che subiscono altri infortuni gravi, quasi a dar ragione ad un altro detto: “la fortuna è cieca ma la sfortuna ci vede benissimo”. Il primo nome che viene in mente, per esempio è quello di Ronaldo, il Fenomeno, giocatore che anche per gli avversari era difficile non amare che tante, troppe volte, è uscito dal campo in barella per un grave infortunio.

Come non pensare poi ad Arvidas Sabonis, il grande cestista lituano che ha visto la sua carriera limitata da ginocchia ballerine, o il grande Grant Hill, poesia in movimento le cui caviglie sono state un tormento continuo per lui e per noi che non l’abbiamo potuto ammirare a lungo al suo meglio. Ed in genere questi sono giocatori che vengono ammirati trasversalmente, al di là del tifo o della nazionalità, perché in loro il comunque spettatore vede non solo l’inarrivabile atleta talentuoso, ricco e famoso, ma anche l’uomo normale che vede i suoi sogni crollare in un momento e che poi lotta ogni giorno, nell’anonimato, per tornare ad inseguire i suoi sogni. Ed è strano anche come si creai uno strano rapporto con alcuni di questi atleti quando subiscono queste disavventure.

Per esempio personalmente, la vicinanza d’età con Ronaldo ed il fatto che il suo secondo grave infortunio al ginocchio gli capitò proprio nel giorno in cui avevo subito un lutto familiare, ha fatto sì che abbia sempre seguito con grande simpatia le sue avventure, anche quando era avversario della mia squadra, e comunque portandomi sempre a tifare per lui, a sperare di vederlo felice quando lo vedevo in campo. Un rapporto simile si è creato con un giocatore di football che sicuramente avete sentito nominare, nel bene o nel male: Marcus Lattimore.

Qualche anno fa c’era un quotidiano americano, Sporting News mi sembra, che aveva creato una newsletter gratuita a cui io, amante di quasi tutti gli sport d’oltre oceano, seguivo assiduamente. Era il periodo in cui i liceali rendono noto il college in cui sarebbero andati a studiare….ok ok….a giocare, e Lattimore era considerato il miglior prospetto della nazione nella posizione di running back e quindi ogni giorno c’era articoli e news sul suo processo decisionale. S’iniziò così a creare uno strano collegamento tra me e questo ragazzo del South Carolina per cui cercavo spesso notizie su di lui. Alla fine Marcus decise di rimanere a “casa” scegliendo di andare a giocare per i Gamecocks di South Carolina University guidati da quel guru del college football che risponde al nome di Steve Spurrier.

Arrivò l’inizio della stagione e subito Lattimore fece vedere che tutte le attese che si avevano su di lui erano ben riposte iniziando a mettere su cifre entusiasmanti, forse addirittura troppo entusiasmanti perché l’impressione era proprio che fosse lui l’unica arma dei Gamecocks, fosse lui quello che doveva letteralmente trascinare la squadra anche a causa di una situazione quarterback non proprio ideale, sembrava quasi che stava venendo utilizzato troppo! Alla fine per lui, nella sua stagione da freshman, arrivarono 1197 yard in 249 portate con 17 TD su corsa e 412 yard in 29 ricezioni con 2 TD: un uomo solo al comando si direbbe!

La stagione da sophmore iniziò come si era conclusa la precedente, con Marcus che sembrava lanciato verso un possibile Heisman Trophy e con i discorsi su una sua possibile scelta nel primo giro (nell’alto primo giro per la precisione) che già si sprecavano. Ma lo sport, come ben sappiamo, non sempre è tutto rose e fiori ed il 15 ottobre contro Mississippi State arriva un brutto infortunio, rottura dei legamenti del ginocchio, che lo porta a dover terminare in anticipo la stagione.

La chirurgia ha fatto passi da gigante ormai, ed anche la rottura dei legamenti non è più un infortunio così terribile per un runningback, e quindi le preoccupazioni per cui Lattimore non possa più recuperare la sua forma non sono molte. Si ok, qualche dubbio all’inizio della stagione 2012 c’è, specie quando lo si vede nelle prime partite ufficiali con quella grossa ginocchiera protettiva faticare un po’ più del previsto, ma sono dubbi che durano poco perchè Lattimore ricomincia a macinare yard su yard e a segnare touchdown dimostrando di poter tornare come prima (lasciamo perdere la stupida solfa del “più forte di prima”).

Il destino però aveva deciso di riservare altro al nostro Marcus e così il 27 ottobre, in una gara che veniva trasmessa anche sui nostri schermi, Lattimore divenne suo malgrado famoso anche a chi di football sapeva poco perché una normale azione di gioco si trasformò in una specie di film horror quando il suo ginocchio finì innaturalmente piegato a causa del fortuito intervento contemporaneo di 2 giocatori di Tennessee. Per fortuna in quel momento non ero davanti alla TV e mi evitai quelle immagini strazianti (e per molto tempo sono riuscito ad evitarle anche su internet) perché penso mi sarei sentito veramente male. Gli sguardi e le lacrime di tutti i giocatori intorno a lui, di entrambe le squadre, non facevano pensare a nulla di buono, il silenzio nello stadio era incredibile (tornando al discorso dei film horror direi quasi “Argentiano”), e l’impressione era proprio quella di aver visto l’ultima azione di gioco di Marcus Lattimore su un campo da football.

Le notizie che arrivavano dopo la partita parlavano di un infortunio devastante, con la rottura di qualsiasi cosa si potesse rompere in un ginocchio umano, un infortunio molto simile a quello subito da Willis McGahee (attuale RB dei Denver Broncos) anni prima, un infortunio che metteva in grossi dubbi non solo il futuro agonistico di Lattimore, ma anche la stessa possibilità di poter tornare a camminare normalmente. Di questo infatti aveva paura Marcus in quei giorni, non certo di non arrivare a giocare in NFL o di firmare un contratto milionario.

Tra i primi a mettersi in contatto con lui in quei giorni ci furono proprio McGahee e Frank Gore (2 gravi infortuni ai legamenti di entrambe le ginocchia nei suoi anni di college) che gli raccomandarono di non abbattersi, di non mollare, di lottare per continuare ad inseguire il suo sogno. Piano piano, grazie anche al calore umano che gli arrivava da tutti i tifosi di football del mondo, Marcus decise che no, non avrebbe abbandonato il suo sogno e avrebbe subito iniziato a lavorare per recuperare da quest’altro terribile infortunio.

Il suo pro day

Il suo pro day

Ormai il suo tempo al college era finito però, non avrebbe avuto senso aspettare un altro anno a dichiararsi per il draft quando quasi sicuramente non avrebbe potuto proprio giocare in questo 2013, e così ecco arrivare la decisione di presentarsi a questo draft nella speranza che qualcuno avesse voluto puntare sulla sua voglia di lottare per inseguire un sogno. Quando è arrivato il giorno del suo pro day, quando i prospetti si mostrano agli scout delle squadre NFL, lui non era certo in grado di fare i soliti movimenti che vengono richiesti a RB su un campo da football, ma comunque si presentò e mostrò a tutti i progressi che aveva fatto nella sua attività di riabilitazione. Quando alla fine arrivò l’applauso commosso e convinto di tutti gli scout presenti, Marcus capì che ce l’avrebbe potuta fare.

Se fino a un anno e mezzo fa si discuteva se fosse stato scelto nelle prime 5 o nelle prime 10 chiamate, ora però si discuteva in quale giorno sarebbe stato chiamato: al secondo? al terzo? sarebbe finito undrafted? Il giovedì, il primo giorno del draft, andò a rilassarsi, a giocare a golf, senza pensare a quello che sarebbe potuto succedere se il destino non fosse stato così cinico. Il venerdì invece vide tutto il draft a casa, con i familiari, gli amici e una telecamera mandata dalle TV per immortalare il momento in cui il suo nome fosse stato chiamato. Ma quel momento non arrivò e un altro giorno stava passando senza che il suo sogno si realizzasse.

La mattina del venerdì arrivarono alcune chiamate di squadre NFL che gli dicevano di stare pronto, che il suo momento stava per arrivare, ma alla fine queste sono chiamate normali, non c’è niente di sicuro ed i giocatori lo sanno. Lattimore decise di non seguire il draft in TV ma di andare a mangiare con la famiglia in un ristorante di Atlanta (sempre seguito da una telecamera perché ormai la sua vita era una “storia televisiva”) per evitare di innervosirsi in quella che poteva essere una lunga ed estenuante attesa. La telefonata che interruppe il suo pranzo fu certamente la più dolce della sua vita perché dall’altra parte del telefono c’era l’head coach dei 49ers Jim Harbaugh che gli comunicava che il suo nome era appena stato chiamato al quarto giro e che sarebbe presto diventato un nuovo giocatore di San Francisco.

Vi consiglio di vedere il video di questo momento perché potrete vedere negli occhi di Marcus la gioia di un sogno che si realizza ma anche la consapevolezza che il viaggio non è finito, che deve ancora lavorare molto, e nel suo sguardo e nelle sue parole potrete vedere anche la sua voglia, la sua determinazione, perché quando il destino ti ha messo davanti a prove così dure è difficile godersi a pieno quei momenti di gioia (avere di fianco tua madre che strilla come un ossessa non aiuta neanche a dire tutta la verità…).

Nuova vita!

Nuova vita!

Adesso ci sarebbero anche tutti i discorsi su quanto effettivamente potrà fare Lattimore in NFL, perché nonostante la medicina abbia fatto passi da gigante e le esperienze di Gore, McGahee e, ultimamente, Peterson fanno ben sperare per lui, è lecito dubitare sul fatto che veramente lui possa diventare un fattore in NFL, sul fatto che le sue ginocchia gli permetteranno di giocare con i “grandi” e magari di giocarci a lungo. Di sicuro è finito in una situazione ideale perchè i 49ers gli possono garantire un anno di redshirt, un anno in cui lui potrà lavorare tranquillamente per recuperare il massimo della forza senza forzarne il recupero.

Di sicuro ogni amante del football farà il tifo per lui, per vederlo finalmente realizzare il suo sogno e vederlo correre su un campo da football NFL magari segnando un TD. Sono sicuro che quel tifoso, anche se fosse la sua squadra a subire quel TD, in cuor suo starà sorridendo e sarà felice per aver visto realizzare il sogno di un ragazzo cui il destino aveva riservato finora tante amarezze.

Rialzati e corri Marcus, noi ti stiamo aspettando.

angyair

Tifoso dei 49ers e dei Bulls, ex-calciatore professionista, olimpionico di scherma, tronista a tempo perso, candidato al Nobel e scrittore di best-seller apocrifi. Ah, anche un po' megalomane.

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2 risposte

  1. piescic ha detto:

    Che storia! Grazie per averla raccontata, a modo tuo, o non avrei mai saputo niente di Lattimore. (sono serio!)
    Credo che Peterson dovrebbe essere d’esempio: ci si preoccupava se avesse mai potuto camminare di nuovo ed è arrivato a 9 yards dal record di portate in una stagione (certo, l’ultima contro i Packers ha aiutato ENORMEMENTE eh) (e, da tifoso Bears, sono molto imparziale).
    Stay Strong Marcus!

  1. 5 Novembre 2014

    […] il destino ha voluto interrompere prematuramente. Per chi non conoscesse bene la sua storia segnalo questo articolo che avevo scritto al tempo della sua scelta al draft da parte dei […]

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