NFL Draft Stories – 2002

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Il draft 2002 è un po’ povero di storie, la prima riguarda un giocatore selezionato con una delle ultime scelte, che dopo una vita impegnata in un lavoro tanto utile quanto troppo spesso invisibile, fatto anche di gavetta, ha raggiunto le prime pagine dei giornali non tanto per la sua prima e unica apparizione al Pro Bowl nel 2010, quanto per la sua barba.

Se la MLB ha Brian Wilson, se la NBA ha James Harden, la NFL risponde con Brett Keisel: le scritture raccontano che il tutto è iniziato, durante una battuta di caccia con suo padre, nell’estate del 2010, l’intenzione era quella di rifarsi un po’ a quanto succede in NHL, ma piuttosto che farsi la crescere la barba durante i playoff, Brett l’aveva impostata in maniera opposta, siccome non avevano fatto i playoff la stagione precedente, voleva mandare un segnale (?) che potesse invertire la fortuna. 

Non aver paura di papà

Non aver paura di papà

Sulla storia della barba poi c’ha marciato talmente tanto che è diventata un segno di riconoscimento alla quale non ha potuto più fare a meno, per di più ha connesso a questo vezzo (?) estetico anche una raccolta fondi da devolvere poi in beneficenza ad associazioni o ad ospedali che trattano sui bambini malati. Ed è così che annualmente, una volta terminata la stagione, avviene il taglio della barba che dal giorno successivo riprendere inesorabile a crescere fino all’anno successivo. Al termine della “terza rasatura”, qualche mese fa, Keisel ha subito un “duro” colpo: una volta ritornato a casa è stato accolto da uno sguardo interrogativo di sua figlia di 2 anni che s’è vista piombare in casa un gigante a prima vista sconosciuto, solo al suono della sua voce la bimba s’è lasciata convincere che non c’era pericolo, almeno finché non sarà il QB di una squadra avversaria. Insomma, non tutte le stranezze vengono per nuocere, bravo Brett.

expansion draft houston La storia principale del draft 2002 è pero rappresentata in primis da David Carr, ma più ad ampio raggio dagli Houston Texans ed dal loro primo anno in NFL. Quando abbiamo parlato del draft 1999 avevamo sottolineato come expansion team spesso significhi grossi guai in arrivo. Andiamo allora ad analizzare velocemente la genesi di una squadra NFL attraverso le sue privilegiate scelte al momento della sua nascita. Prima di farlo un pensiero va ai Carolina Panthers, che dopo una stagione da 1-15, si vedono soffiare da sotto il naso la possibilità di scegliere per primi, la cosa non darà loro molto fastidio considerando che non avevano nessun interesse a draftare un QB (avevano già preso la fregatura Weinke l’anno precedente) e soprattutto erano già “committati” con la scelta del prodotto locale Julius Peppers, eroe dei due mondi (football e basketball) a North Carolina.

Houston aveva perso la sua gloriosa squadra nel 1997, gli Oilers erano stati trasferiti in Tennessee ed erano poi diventati Titans, l’ultimo QB che aveva incendiato la passione della la folla in città era stato quindi Steve McNair. Quando con la prima scelta assoluta la nuova dirigenza dei Texans aveva annunciato, ancor prima dell’inizio del draft, che sarebbero andati con David Carr lo smarrimento non poteva mancare. Va però sottolineato come, pur facendo parte di un college non di primissima fascia, come Fresno State, Carr, con le sue ottime prestazioni, aveva trascinato il suo ateneo fino a raggiungere il numero 8 della nazione, conquistandosi anche la copertina di Sport Illustrated. I 69 TD lanciati nei suoi due anni da titolare a fronte di soli 21 intercetti gli valsero quindi la prima scelta assoluta, che al momento sembrava meritata, quanto meno in un draft in cui ai primi due giri andarono solo altri 2 QB, Joey Harrington e Patrick Ramsey, robetta (e non è che il resto dei QB draftati abbia riscosso successi migliori, quello meno peggio è Dave Garrard ed è tutto dire).

Prova

Numero 1, quasi costretto.

Carr rappresenta quindi la pietra miliare su cui costruire e l’inizio è con il botto: i Texans sono la seconda squadra neo-entrata a vincere la propria partita inaugurale, ne fanno le spese i Dallas Cowboys, sconfitti nel primo Sunday Night della stagione per 19-10, davanti a 69mila tifosi in delirio, maggior affluenza di pubblico ad una partita di football ad Houston dai tempi del Super Bowl che si giocò in città nel 1974. ESPN commenta l’avvenimento con questa frase emblematica: “Houston non ha vinto un semplice opener, Houston ha vinto il suo Super Bowl“, il fatto che il QB titolare di Dallas fosse il Carter di cui abbiamo parlato nel pezzo precedente ridimensiona un po’ le cose. La striscia di Carr a fine partita recita: 10/22, 145 yard, 2 TD, 1 intercetto e….6 sack subiti. E questo è il dato che maggiormente preoccupa, perché a fine anno i sack che il povero Carr sarà costretto a subire saranno 76, quasi 5 a partita, roba che fa riscrivere il libro dei record. Football Outsider descrive la stagione dei Texans in maniera eloquente: sono la peggior squadra della NFL, hanno il peggior attacco e la terza peggior difesa. Arriveranno solo 4 vittorie e la terza scelta assoluta dell’anno successivo sarà impiegata per dare un target a David Carr, ovvero Andre Johnson. Le cose migliorano sensibilmente, ma Carr resta un giocatore con poco talento, nonostante la percentuale di completi aumenti anni dopo anno passando dal 52% ad un sorprendente 68%. Il front office però non si fa abbindolare: dopo 5 anni passati a vederlo tenere sempre troppo il pallone e con un numero di TD troppo basso e costantemente inferiore rispetto alla somma degli intercetti e dei fumble (9vs15+21 9vs13+4 16vs14+10 14vs11+17 11vs12+16), decide di cambiare direzione. Nella offseason 2007 arriva un nuovo general manager che investe 2 seconde scelte, oltre allo scambio delle prime (cedono l’ottava, per avere indietro la decima) per arrivare a Matt Schaub, al momento irrimediabilmente chiuso da Michael Vick, pre dog-gate, agli Atlanta Falcons. Per Houston da quel momento è iniziata una nuova vita, David Carr invece non ha smesso di girare l’America come backup d’esperienza (nel senso delle botte prese) e, ironia della sorte, in tutto questo girovagare, tra Panthers, Giants, 49ers e di nuovo Giants, ha vinto anche un anello, ovviamente senza alcun merito, ma era nel roster di New York nel Super Bowl 2011.

Ma torniamo alla genesi di una squadra: tralasciamo disquisizioni sulla scelta del nickname esprimendo però un condivisibile rammarico per non aver avuto gli Apollos o gli Stallions di Houston e diamo un rapido sguardo alle 12 scelte di quel loro primo draft, senza dimenticare che oltre ai rookie e oltre alla free agency, per formare il primo roster dei Texans in NFL, la dirigenza texana ebbe modo di sfruttare l’expansion draft, ovvero la possibilità di pescare tra una lista di giocatori che le altre squadre avevano reso disponibili, per lo più scarti. Ne scelsero 19: a livello di nome, quello più interessante, doveva essere l’offensive tackle Tony Boselli, pilastro della linea offensiva dei Jaguars, che però si infortunò in maniera grave ancor prima di iniziare la stagione con i Texans e si ritirò senza mai indossare la loro maglia. Sempre tra questi 19 “scarti”, quello più curioso è senza dubbio Danny Wuerfell, QB vincitore dell’Heisman Trophy nel 1996, che nel 2000 era passato anche in Europa. Mentre è quasi significativo che nessun giocatore viene pescato dai “fuggitivi” Tennessee Titans, che del resto quell’annata batterono in entrambe le occasioni i loro nuovi rivali divisionali, con un sonoro 13-3 nella partita di chiusura stagionale giocata davanti al pubblico di Houston, vittoria che sancì anche il titolo della AFC South: doppio smacco.

Luce riflessa

Luce riflessa

Ma lasciamo l’expansion draft e guardiamo al draft vero e proprio: di Carr abbiamo detto, al secondo giro i Texans selezionano due giocatori: Jabar Gaffney (WR) e Chester Pitts (OG). Il primo è il classico ricevitore con la valigia che vive tra secondo e terzo spot, ed ha il suo momento di maggior splendore grazie alla luce riflessa che emanano Tom Brady e Randy Moss nel 2007, raggiungendo poi un Super Bowl che lo vide però dalla parte sbagliata, quella della mancata perfect season. Chester Pitts invece ancora il lato sinistro della linea dei Texans per 8 anni, si fa per dire considerando l’elevato numero dei sack concessi, giocando sia guardia che tackle. Nel marasma generale è comunque uno dei pochi che si salva, un infortunio al piede però pone fine alla sua carriera professionistica, nonostante un ultimo tentativo ai Seahawks. Sorte molto simile capita ad un altro uomo di linea scelto appena dopo Pitts, Fred Weary, prodotto dell’università del Tennessee, che nel 2007 subì un grave infortunio in una partita proprio contro i Tennessee Titans, che sancì la fine della sua carriera. Dal terzo giro arrivò pure Charles Hill, DT che un anno dopo era già a Berlino a giocare per i Thunder e che dal 2006 al 2008 troviamo agli Orlando Predators (Arena Football League).

Jonathan Wells, RB uscito da Ohio State, fu il giocatore selezionato al quarto giro. Nonostante la buona carriera collegiale (2001 MVP di squadra e protagonista della prima vittoria dopo 14 stagioni in casa dei rivali di Michigan), in NFL non ebbe molto successo, riuscendo a restare a roster solo per 4 anni, per un complessivo di 374 portate ad una media di 3 yard a tentativo, per poi sparire inesorabilmente. Le restanti 6 scelte sparse negli ultimi 3 round del draft 2002 nel migliore dei casi (DeMarcus Faggins) hanno navigato in NFL per 5 6 anni, spesso e volentieri hanno più tentativi di fare la squadra che stagioni nella Lega, con una buona dose di giocatori che hanno orbitato in leghe minori, citamo giusto Stylez Greg White, che nel 2007 si aggiudica il premo di miglior difensore del campionato, mettendo a segno la bellezza di 15 sack, ma in Arena Football League, anche lui con gli Orlando Predators, come il già citato Charles Hill.

Si poteva fare di meglio, ma difficilmente, anche impegnandosi, si poteva fare di peggio.

azazelli

Da giovane registravo su VHS tutte le finali di atletica, mondiali ed olimpiadi, poi m'hanno cancellato il record di Donovan Bailey con Beautiful e mi sono dato al download. Vivo di sport, cerco di scriverne.

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