E adesso cosa succederà ai Thunder?

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Nel corso di questi playoff, gli Oklahoma City Thunder hanno vissuto diversi momenti in cui il cammino davanti a loro sembrava farsi estremamente complicato: ma ogni volta, la prestazione giusta al momento giusto e la necessaria dose di fortuna hanno sempre riportato la loro stagione sui binari giusti. Ci sto girando intorno, ma la parola che non vorrei usare è “destino”: sembrava l’anno dei Thunder, nonostante tutto. Nonostante la guerra con i Memphis Grizzlies, con tutti quegli overtime, i giochi da 4 punti, e il titolo “Mr. Unreliable” dell’Oklahoman a stuzzicare Kevin Durant. Nonostante il fattore campo perso in Gara 1 coi Clippers e l’essersi fatti sfuggire un grande vantaggio in Gara 5. Nonostante l’infortunio di Serge Ibaka, inizialmente considerato fuori per tutto l’arco dei playoff e poi miracolosamente in campo per Gara 3 con gli Spurs. Eppure nemmeno il ritorno di Ibaka è bastato: con la sconfitta casalinga per 112-105, gli Spurs hanno sconfitto i Thunder in 6 gare, e Oklahoma City è fuori dai playoff.

Molti giornalisti americani hanno cominciato a ipotizzare addirittura che la finestra da titolo di OKC si sia già chiusa, dopo il viaggio alle Finals nel 2012 contro gli Heat (perse per 4-1). Già prima della conclusione della serie in molti avevano ricominciato a parlare della trade di James Harden, vista come il momento in cui la franchigia posseduta da Clay Bennett avrebbe rinunciato al giocatore che le avrebbe consentito di lottare per il titolo negli anni a venire. Che questo sia vero, è ancora da decidere, dal momento che l’impatto di trade simili non può essere valutato guardando solo alle conseguenze sul breve termine.
Ma a prescindere che si creda o meno che aver tradato Harden abbia pregiudicato le chance di titolo dei Thunder, la domanda che tutti si fanno è: cosa succederà ai Thunder?

Stando al parere di autorevoli giornalisti come Zach Lowe, moltissime franchigie stanno già pianificando il loro futuro con un occhio di riguardo all’estate del 2016, quando per la prima volta Kevin Durant diventerà free agent. Quelli in cui queste franchigie sperano è che Durant non riesca a vincere un titolo entro quella data e che la paura di rimanere un “perdente di successo” gli faccia decidere di cambiare squadra. Questa possibile analogia con LeBron James ovviamente non tiene conto delle differenze tra i Cleveland Cavaliers dell’era LeBron e questi Thunder: a differenza della superstar dei Miami Heat, ad esempio, Durant ha già un compagno di squadra dal livello eccezionale (mi riferisco ovviamente a Russell Westbrook, autore di una postseason memorabile). Ma anche se la situazione dei Thunder non è pressante come quella dei Cavs prima del 2010, è ovvio che anche in Oklahoma la voglia di vincere un anello comincia a farsi piuttosto urgente. Ponendo come scadenza quella della free agency di Durant, cosa possono realisticamente fare i Thunder per massimizzare le proprie possibilità di vincere un titolo?

CAMBIARE ALLENATORE

Non esiste un allenatore nell’NBA che riceva una quantità di insulti e critiche paragonabili a quelle che Scott Brooks si vede recapitare su base quotidiana. Molte delle critiche sono ben motivate: dopo tutti questi anni non ha ancora installato un sistema d’attacco per la sua squadra, che è costretta a basarsi su un consistente numero di giochi da chiamare e sull’estro delle proprie superstar; inoltre, l’eccessivo spazio dato in campo a veterani non produttivi (Fisher, Perkins, Butler) a discapito di quintetti più efficienti e giovani con potenziale ha (giustamente) fatto innervosire molti di quelli che seguono le vicende del basket NBA. Tuttavia, come ricordato da Paul Flannery in questo bell’articolo di SBNation, al netto di tutti i difetti di Brooks, bisogna tenere conto anche di tutto il resto: i suoi meriti nella crescita, nell’esplosione e soprattutto nella coesistenza di quell’agglomerato di talento che sono i Thunder è innegabile. Quanti coach, ad esempio, avrebbero costretto Westbrook in dei binari non suoi, o peggio l’avrebbero relegato ad un ruolo lontano dalla palla perchè “incapace di gestire l’attacco”? Invece oggi RW è #PointGodzilla, uno dei giocatori più determinanti della Lega e di sicuro uno di quelli contro cui è più difficile giocare. Merito di Brooks? Se ne può discutere. Certo è che i giocatori sembrano per la maggior parte convinti che l’allenatore dei Thunder sia un tassello fondamentale della propria chimica, l’uomo che li ha portati fin qui e a cui devono molto della loro crescita. Quando interrogato riguardo al possibile futuro della panchina dei Thunder, Kevin Durant ha risposto: “[Scott] is our guy. I’m riding with him”. E se aggiungiamo agli endorsement dei giocatori un curriculum di tre finali di conference in quattro anni, risulta difficile immaginare che la franchigia di Oklahoma City si disfi presto del proprio coach. Del resto, se consideriamo gli allenatori rimasti sulla piazza (Mark Jackson, Lionel Hollins, forse Jeff Van Gundy), non è facile trovare nomi così significativi da garantire un netto salto di qualità rispetto ai già ottimi risultati dei Thunder.

TRADARE RUSSELL WESTBROOK

L'unica cosa da "scambiare" sono le sue camicie

#LetWestbrookBeWestbrook, a partire dal guardaroba

Un’ipotesi sempre molto in voga tra i tantissimi detrattori del prodotto di UCLA. Non credo che il GM dei Thunder, Sam Presti, sia realmente aperto a una soluzione del genere, dal momento che privarsi di Westbrook vorrebbe dire alterare in maniera probabilmente irreparabile sia il clima nello spogliatoio, sia gli equilibri in campo. Westbrook, con tutti i suoi difetti, è il motore che fa girare l’attacco dei Thunder e che con la sua ferocia fa da complemento a quella macchina di efficienza che è Kevin Durant. Soprattutto nel breve periodo, sostituire il vuoto lasciato da Westbrook sarebbe insostenibile per chiunque. Detto delle ragioni per cui Oklahoma City non vorrebbe privarsi della sua point guard, va anche detto che non vedo una trade in grado di lasciare soddisfatte entrambe le squadre coinvolte. Le point guard di livello a cui OKC potrebbe mirare appartengono tutte a squadre che su quei giocatori stanno costruendo progetti (penso a Stephen Curry, a John Wall e a Damian Lillard). Rimarrebbero Ricky Rubio (un non-tiratore che complicherebbe ulteriormente le spaziature dei Thunder), Goran Dragic e Rajon Rondo, e mi pare evidente che Westbrook, nonostante le tre operazioni al ginocchio negli ultimi 12 mesi, abbia un valore infinitamente maggiore dei sopra citati. Ovviamente la trade potrebbe riguardare giocatori di ruoli diversi con cui compensare la dipartita di Westbrook, ma dal momento che lo slot di ala piccola è occupato dal regnante MVP, ciò significherebbe andare a cercare un lungo: ma se così fosse, perchè allora nel 2012 non rinnovare Harden anziché Ibaka e poi tradare Westbrook per un lungo?

La mia sensazione è che, comunque la si guardi, una trade che comprenda Westbrook porterebbe di gran lunga più danni che benefici dalla franchigia dell’Oklahoma.

CRESCITA INTERNA

Se osservando le manovre di Sam Presti alla guida dei Thunder abbiamo imparato qualcosa, è che il GM di scuola Spurs crede nella capacità della sua società di valorizzare tutto ciò che risiede al suo interno. Basti pensare alla trade di Jeff Green nel 2011, quando allo strapagare il prodotto di Georgetown preferì portarsi a casa il veterano Kendrick Perkins (strapagando anche lui, va detto, ma utile per portare carattere e identità difensiva), fiducioso che con i maggiori minuti a disposizione James Harden sarebbe esploso. Detto fatto, l’anno dopo Harden vince il titolo di Sesto Uomo dell’Anno ed è talmente chiaro a tutti quanto il Barba sia forte che OKC è costretta a cederlo, perchè non può rinnovargli il contratto senza varcare il confine della spinosa luxury tax. Nella trade coi Rockets, i Thunder ottengono Kevin Martin (poi scaduto e firmato da Minnesota), Jeremy Lamb e due scelte al primo giro del draft (una delle quali è già stata usata con Steven Adams).

Si può concordare sul fatto che nessuno di questi giocatori valga James Harden, ma rimane il fatto che con questa trade OKC ha acquistato una grande flessibilità e una notevole profondità di roster. Già in questa stagione si sono visti i continui progressi di Reggie Jackson (che ha praticamente vinto da solo una disperata Gara 4 contro Memphis), Jeremy Lamb (che in questi playoff ha fatto mediamente bene, quando Scott Brooks si è deciso a concedergli minuti prima sciaguratamente destinati a Fisher e Caron Butler) e il significativo impatto di Steven Adams, ancora un po’ grezzo ma che per la sua consistenza è già visto da molti come il centro del futuro dei Thunder. Presentarsi ai nastri di partenza della prossima stagione con Durant, Westbrook, Ibaka, Perkins e Collison, attorniati da Jackson, Lamb e Adams (a cui aggiungerei Perry Jones III) in crescita potrebbe essere la migliore chance dei Thunder di rimanere ai vertici della Western Conference. Una strategia, a parere di molti, troppo conservativa, ma è pur vero che nei playoff basta un infortunio decisivo a una squadra per cambiare completamente il quadro delle contender al titolo; l’anno scorso (con Westbrook) e parzialmente quest’anno (con Ibaka) è capitato ai Thunder, non è detto che la prossima volta possa toccare a qualcun’altro.

Supporting cast

Supporting cast

L’unico dubbio di questa strategia appare il rinnovo di Thabo Sefolosha, free agent quest’estate e uscito scontento dall’essere stato messo in panchina nelle ultime serie di playoff. Il giocatore svizzero, al netto di un’efficacia difensiva comunque mediamente maggiore di un giovane come Jackson, crea troppi problemi all’attacco già macchinoso dei Thunder, e in questi playoff coach Brooks si è visto costretto a estrometterlo dal quintetto, in favore di Caron Butler prima e di Reggie Jackson poi. Le prestazioni deludenti di Sefolosha non devono però farci perdere di vista il quadro generale: lo svizzero rimane l’unico eccellente difensore sugli esterni che i Thunder possiedono; Durant è migliorato difensivamente moltissimo, ma non è uno stopper e comunque le sue energie sono troppo essenziali all’attacco della squadra. L’ideale sarebbe riuscire a rifirmare Sefolosha per una cifra non eccessiva, intorno ai 5 milioni a stagione (penso al contratto che Tony Allen ha firmato coi Grizzlies nella scorsa estate, a 20 milioni per quattro anni). Ma se altre squadre in grado di farlo offrissero di più, sarebbe difficile per i Thunder (sempre restii a pagare la luxury tax) pareggiare. Al momento pare difficile che una squadra possa arrivare a strapagare per un giocatore come Thabo Sefolosha, ma questa situazione mi ricorda ancora una volta Tony Allen quando, dopo aver perso le Finals 2010, lasciò Boston per accasarsi a Memphis. All’epoca sembrò una mossa dall’entità trascurabile, ma nessuno poteva sapere che Allen costituiva il tassello mancante al puzzle dei Grizzlies, capace di dare un’altra dimensione alla loro difesa e di costituire, assieme a Mike Conley, Marc Gasol e Zach Randolph, il core di una delle più forti e ostiche squadre della Western Conference.

Infine, non va dimenticato che i Thunder dispongono di due scelte (la ventunesima e la ventinovesima) nel primo giro del prossimo draft, che da tempo viene descritto come uno dei più pieni di talento da anni a questa parte. Presti ha già dimostrato in passato il fiuto suo e dei suoi assistenti in sede di draft, quindi meglio non sottovalutarlo.

FREE AGENT/ALTRE TRADE

Per liberare spazio sufficiente a firmare altri free agent, i Thunder dovrebbero non soltanto rinunciare a Thabo Sefolosha ma probabilmente privarsi anche di qualche altro contratto, come ad esempio quello di Kendrick Perkins su cui potrebbe essere applicata l’amnesty clause. Se anche Oklahoma City optasse per questa via (e ne dubito, considerando che anche “amnistiando” Perkins dovrebbero comunque pagargli i soldi del contratto), non ci sono molti free agent di livello che siano allo stesso tempo abbordabili da squadre con limitato spazio salariale come i Thunder: i nomi che saltano all’occhio sono quelli di Luol Deng (che però ha già rifiutato un contratto da 10 milioni all’anno da Chicago, quindi dubito sia alla portata di OKC), Kyle Lowry (che però riceverà sicuramente offerte grosse dopo la sua strepitosa stagione a Toronto) e Lance Stephenson (che è unrestricted free agent ma penso opterà per rimanere a Indiana). Se invece Presti preferisse giocatori più navigati, tra i veterani entrano in free agency Vince Carter (che viene da un’annata convincente a Dallas, anche se l’età comincia un po’ a farsi sentire), Shawn Marion e soprattutto Trevor Ariza, che però rischia di essere uno dei giocatori più sovrapagati di quest’estate in seguito alle solide prestazioni con i Wizards.

L’altra strada ipotizzabile è quella della trade che non coinvolga nessuna delle superstar di OKC: in fin dei conti tutti i giovani sopra elencati, più le draft pick ancora a disposizione, potrebbero costituire un pacchetto più che interessante per molte franchigie; rimane da vedere quali siano le squadre disposte a privarsi di un giocatore importante per ricevere in cambio Jackson, Lamb, Perry Jones o Adams (tutti giocatori promettenti, ma nessuno che dia l’impressione di poter diventare una stella).

MA QUINDI?

Mi pare assurdo anche solo pensare che la “finestra” dei Thunder, il loro tempo disponibile per vincere il titolo, si sia chiuso. Che si stia chiudendo, dipende solamente dalla scelta di Kevin Durant nella free agency nel 2016. Lo so, il precedente di LeBron pesa come un macigno, ma non tutte le situazioni sono uguali, e Oklahoma City potrebbe ancora essere la migliore possibilità per KD di vincere l’agognato anello.

Corsi e ricorsi storici?

Corsi e ricorsi storici?

In fin dei conti, gli Spurs prima o poi declineranno davvero (mi rendo conto che sono cinque anni che tutti lo dicono, ma Duncan e Ginobili dovranno prima o poi ritirarsi), e a quel punto non ci sarà una squadra nella Western Conference con più solidità, esperienza e ovviamente talento dei Thunder. Se i Thunder mantengono questo nucleo, rimangono una contender perenne e prima o poi un titolo dovrebbero vincerlo, LeBron James permettendo. A proposito di LeBron: chi ha presente il momento dell’uscita di Cleveland ai playoff del 2010 contro Boston, ricorda la netta sensazione diffusa che LeBron rischiasse di diventare semplicemente il più forte giocatore di sempre a non aver mai vinto un titolo. Anche lì, la finestra sembrava andare restringendosi. Ma basta una postseason di successo per cambiare tutto: la percezione pubblica (che fa molto), ma anche la capacità di un giocatore di gestirsi, motivarsi e passare “al livello successivo” nel momento in cui serve.

Il cammino che porta al titolo non è necessariamente fatto di ascesa continua. Tutti pensavano che dopo le finali di conference del 2011 e le Finals del 2012, per i Thunder l’unico passo possibile fosse il titolo. Ma non è mai così semplice. Anche i Chicago Bulls del 1990, una squadra guidata da Phil Jackson che sembrava essersi compattata al livello che gli avrebbe permesso di sconfiggere finalmente gli odiati Detroit Pistons, dovettero assaporare ancora una volta l’amaro sapore della sconfitta. Solo nel 1991 arrivò finalmente il primo titolo di Michael Jordan. Stessa cosa per LeBron e il “fallimento” delle Finals 2011 contro Dallas. Ci viene già da guardare a quella di Oklahoma City come una “dinastia mancata”. La verità è che tutte quelle che abbiamo imparato a pensare come dinastie (Bulls, Lakers, Spurs, Heat), per divenire tali, hanno dovuto attraversare grandi fallimenti. Ma quando si parla di queste squadre e di questi giocatori (Kevin Durant ha venticinque anni e da almeno due stagioni è evidente che diventerà uno dei più grandi di sempre) difficilmente è una questione di “se”; è più una questione di “quando”.

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2 risposte

  1. mlbarza ha detto:

    Io credo che il problema fondamentale dei Thunder sia nella “mancanza d’idendità”. Mi spiego: ci sono svariati momenti della partita in cui non si capisce che squadra siano, perchè ballano dall’essere la squadra di Durant, all’essere quella di Westbrook, all’essere un’accozzaglia di nomi in campo senza un granchè di idea dietro. Cosa che invece è riscontrabile in quasi tutte le altre contender al titolo. E lì ricade la più grossa colpa di Brooks, che non è stato in grado di costruire un’alternativa di gioco al palla a KD o RW e poi vediamo.
    Gli stessi Heat alla fine per poter vincere i due titoli hanno avuto bisogno alternativamente di una grossissima mano da parte dei vari tiratori sugli scarichi di Lebron e Wade. Ad OKC questa cosa non c’è, perchè lo stesso Jackson è un giocatore che offensivamente ha un modo di giocare molto simile a quello di Westbrook. Che ti fa mettere le mani nei capelli moltissime volte, ma ha anche fatto dei playoff mostruosi. Cosa che, tanto per dire, Harden ha fatto solo l’anno in cui andò in finale con i Thunder…
    Fossi in Presti, cercherei di portare a casa qualche veterano che sia un solido tiratore, e non un ex giocatore ancora giocante come Fisher e Butler. Non è semplice, ma gli asset per farlo li hanno

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