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In cima al mondo

In cima al mondo

Il mondiale vinto da Sagan è nel sorriso di Boonen che lo incrocia pochi metri passati il traguardo: uno ha appena concluso la sua fatica, ancora in sella, l’altro ha abbandonato la bicicletta e torna a piedi in direzione opposta, pervaso da uno stato di trance e gioia, uno stato che nel nostro piccolo, seduti sul divano, davanti a Rai2, viviamo anche noi.

Boonen è solo il primo che si incontra con Peter, ne vediamo anche altri fare la stessa cosa, solo sfiorati dalla ripresa televisiva, si scambiano “cinque” volanti, mentre lui continua a godersi il momento. Sagan, l’eterno (a 25 anni) secondo, quello che non ha mai (gli anni sempre quelli sono) vinto una monumento, quello che si scioglie dopo i 200 km è campione del mondo.

Per carità, tutto vero, e il fatto che anche lui durante la stagione ci abbia scherzato su ha reso queste etichette anche più simpatiche, ma il fuoco che ha messo a 2 km dall’arrivo nell’azione che ha deciso la corsa le ha spazzate via. Il mondiale poi dipende molto dal percorso, forse non ha il fascino storico di un Fiandre o di una Roubaix, ma ha un enorme vantaggio rispetto ad essi: l’anno prossimo lo slovacco pedalerà con la maglia iridata addosso, quella maglia con l’arcobaleno ci ricorderà almeno per 12 mesi questa serata, Degenkolb (per sua fortuna) non dovrà andare in giro con la pietra al posto del “computerino”. E male che vada, se la maledizione dovesse colpire anche lui, alla fine non ce ne renderemo nemmeno conto.

Sagan a Richmond è stato perfetto, senza squadra (erano in tre, lui, suo fratello e il primo che passava in bici per Bratislava, cit.), non s’è mai visto per 255 km e per una volta oltre ad essere stato tatticamente ineccepibile è riuscito a fare il vuoto senza trovarsi nessuno a ruota pronto a rubargli la scia (e la vittoria) perché “tanto sei più forte in volata ed io non ti do un cambio”. È dura essere un predestinato nel mondo del ciclismo e questa vittoria, anche per questo, vale molto di più, perché quello che non vince mai* è campione del mondo a 25 anni (succede a Kwiatkowski, un altro classe 1990). *una 60ina tra corse di un giorno e tappe, senza contare le classifiche generali e maglie a punti varie.

Sagan l’ha vinto sullo strappo al 15%, andando via di forza e sulla discesa successiva, con quelle 3 4 pedalate seduto sul telaio ha aumentato il suo vantaggio che poi, con l’acido lattico sino alle orecchie, ha mantenuto sulla rampa che portava all’arrivo. Un traguardo che non sembrava arrivare mai, ma che più che aumentare i suoi dubbi, ha avuto il merito di fargli assaporare ancor meglio il momento.

Mai banale, Peter. Nemmeno nella vittoria. Fuori dal cerimoniale quando sparisce dal podio (ma dove l’avevano messo? In una cantina?) per andare a prendere la sua bandiera, fuori dal suo personaggio, spesso guascone, nella prima intervista da iridato:

“Se io posso cambiare, tutto il mondo può cambiare” o qualcosa di simile, come in Rocky IV, ma a parti invertite. Un discorso all’umanità in cui il ciclismo diventa metafora di vita, c’è la gioia, la sofferenza, il sacrificio, la rivalsa: come si fa a non amarlo?

E gli italiani? Spariti a 5 km dall’arrivo dove francamente era troppo tardi per le nostre potenzialità e caratteristiche. Fino a quel momento presenti o quanto meno inquadrati. C’eravamo con Viviani, che a 33 km dall’arrivo entra nell’unica azione degna di nota di questo mondiale, un gruppo pieno di talento con Kwiatkowski, Boonen, Stannard, Moreno, Mollema ed Amador. Bravo lui a non lasciarseli scappare, meno bravi altri suoi compagni che probabilmente dovevano essere lì al suo posto in quel momento.

Invisibili Nibali ed Ulissi, con il primo “protagonista” del cambio di bici più veloce di sempre “due secondi, due secondi e mezzo al massimo”: la De Stefano e il collegamento telefonico meriterebbero un articolo a parte. Un po’ troppo nelle retrovie Felline, che in ciò ha un suo difetto che in una corsa come questa risulta negativamente determinante, poi inquadrato perché speso fino ai -5 per chiudere non si sa bene a che pro. Ai limiti delle loro possibilità Trentin e Nizzolo, migliori degli azzurri, rispettivamente 34esimo e 18esimo: mi fanno notare dalla regia addirittura dietro al primo dei giapponesi (Arashiro, 17esimo). A latere ci consoliamo con l’under 23 di venerdì dove piazziamo Consonni secondo, benché rammaricato per non essere partito un po’ prima, e un Moscon quarto, letteralmente dominante al di là della posizione finale.

Si poteva fare meglio tatticamente? Forse sì, ma quando, almeno sulla carta, potevamo tentare qualcosa avevamo già un uomo nel gruppo davanti, sempre ammesso e non concesso che chi fosse deputato a tentare questo qualcosa avesse avuto le energie per farlo. Sapevamo non avremmo potuto vincerlo, speravamo in un piazzamento, ma siamo stati respinti con perdite. Avevamo sognato un attacco di Nibali nel penultimo giro o un Trentin/Felline in grado di restare davanti nell’ultima tornata. Le gambe però non mentono mai.

Torniamo delusi noi, torna deluso Degenkolb che chiude mestamente al 29esimo posto dopo aver dato tutto per chiudere su Stybar ai 4 km dall’arrivo sul primo dei tre strappi finali, in quella che pensava potesse essere l’azione decisiva. Meglio i belgi, non tanto per i piazzamenti finali (solo Gilbert nei 20, decimo), ma perché, assieme agli olandesi, sono stati gli unici a provare a fare qualcosa che evitasse la vittoria di uno dei tre favoriti. Bene Michael Matthews, che perso dalla regia americana, mantiene fede ai galloni di outsider d’eccellenza riuscendo a chiudere al secondo posto, con un sorprendente Navardauskas terzo.

Domenica si chiuderà la stagione, con il giro di Lombardia: il sottoscritto proverà ad essere presente dal vivo (è una vita che non vado ad una corsa e dopo questa stagione seguita con Mattia e Davide qui sul blog, sarebbe una degna conclusione), nel caso non ci riuscissi e dovessi seguirla come al solito dal divano ammetto che mi mancheranno (ma anche no) le riprese dall’alto con l’ebrezza di scoprire da che parte della sopraelevata sbucheranno i corridori.

azazelli

Da giovane registravo su VHS tutte le finali di atletica, mondiali ed olimpiadi, poi m'hanno cancellato il record di Donovan Bailey con Beautiful e mi sono dato al download. Vivo di sport, cerco di scriverne.

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11 risposte

  1. mlbarza ha detto:

    Adesso non lo posso chiamare più (Pozz)Sagan ^_^

    Scherzi a parte, Sagan ha fatto un numero pazzesco, così come era stato gli anni passati per Kwtiatkowski e Gilbert (Rui Costa è stato un pelo diverso) che era l’unico modo per arrivare da solo. Finalmente ora, senza la scimmia della vittoria importante addosso, sarà libero di tritare gli avversari anche nelle monumento, sperando che Tinkoff gli dia una squadra un minimo adeguata, anche se lo slovacco ne ha relativamente bisogno.

    Sui nostri, francamente non capivo l’eccessivo ottimismo della vigilia sui media e ho capito ancor di meno la tattica adottata. Non avevamo corridori adatti a quel tipo di percorso, su quella distanza, e infatti i nostri sono spariti tutti nel momento decisivo. Per come si sono comportati, con le nostre due armi “migliori” che si sono mosse a 3 e 2 giri dalla conclusione, ho quasi avuto l’impressione che alla fine volessero correre per preparare lo scatto di qualcuno, che poi non c’è nemmeno stato. Forse Nibali, boh…

    Bravi nel limite delle loro attuali capacità Felline (che forse era quello con le gambe migliori dei nostri) Nizzolo e Viviani; Trentin è sparito sul più bello, ma d’altra parte se in carriera fai sempre e solo il gregarione, seppur in un Super Team, non puoi inventarti capitano di punto in bianco. Gli altri tra l’insufficiente e il pessimo, con il solito sospetto che ci viene dipinto da anni come il nostro migliore per le corse di un giorno e a conti fatti in queste corse ha sempre la scusa pronta per giustificare il suo assenteismo nelle fasi salienti…

  2. mlbarza ha detto:

    Ahahah, sono stato troppo criptico. 😀

    Il solito sospetto è Diego Ulissi, che da anni cercano di farci mandare giù come il futuro uomo da classiche. E che in vita sua non è mai entrato tra i primi 10 in una monumento, ma forse manco nei primi 20…
    Domenica, povero, c’aveva l’asma, per quello si è visto sempre e solo in fondo al gruppo. Chissà perchè, ma l’asma si ricorda di averla solo nelle corse importanti…

    Detto questo, la faccia di Sagan sul traguardo, con quell’espressione da “embè, che vi aspettavate qualcun’altro?” è priceless

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