Atlanta 1996: Jury Chechi, il nostro tesoro

Le Olimpiadi del centenario si sarebbero dovute svolgere ad Atene, lì dov’erano nate, ce l’hanno detto in tanti modi e per tantissimi anni, abbinato all’accusa di uno sport sempre più venduto e piegato al volere degli sponsor, ma la verità è che già allora si capiva che senza il supporto economico delle grandi multinazionali, dei grandi marchi, lo sport ai massimi livelli non era destinato a durare a lungo, ed ecco quindi che dopo soli 12 anni da Los Angeles ’84 le Olimpiadi tornarono negli Stati Uniti, questa volta però senza alcun boicottaggio di un blocco sovietico ormai svanito.

Dal punto di vista personale erano ormai i tempi dell’università e i giochi capitavano proprio tra gli ultimi appelli di luglio, quelli in cui cercavi di dare il tutto per tutto per non dover poi presentarti a quelli di settembre che, diciamolo, sarebbero da considerare un crimine contro l’umanità (personalmente di sicuro non ne ho mai passato uno, ma forse non mi sono neanche mai presentato a uno, anche perché in genere venivano messi ai primi del mese e questo avrebbe significato dover passare tutto agosto sui libri e non in spiaggia…)! Erano poi Olimpiadi per lo più notturne per noi da questa parte dell’oceano, non tutto si poteva seguire in diretta e il videoregistrare funzionava a manetta.

Purtroppo Atlanta verrà anche ricordata per essere l’edizione in cui il terrorismo ritornò a far capolino alle Olimpiadi con la bomba che scoppiò nel parco olimpico provocando 2 morti e 111 feriti, ordigno piazzato da un’estremista cristiano. Per quanto riguarda le prestazioni sportive invece i primi ricordi sono legati a Michael Johnson e la sua scopa (perchè per correre così eretto doveva per forza mettere una scopa lì dove non batte il sole no?) che fecè la doppietta 200-400 m piani, così come la francese Marie-Josè Perec per altro. Una doppietta quella dell’americano impreziosita dal formidabile record di 19.32.

Il record di Michael Johnson

Il record di Michael Johnson

Fu anche l’edizione in cui fece l’esordio ai giochi olimpici il calcio femminile (vinto dalle padrone di casa) e vide per la prima volta una squadra africana vincere una manifestazione importante in quello maschile (doveva essere l’inizio di una nuova era calcistica e poi… ma questa è un’altra storia) con quella straordinaria squadra che rispondeva al nome di Nigeria, guidata da quel cavallo pazzo di Taribo West e dai goal di Nwankwo Kanu, che batté in semifinale il Brasile di Bebeto e Ronaldo con goal del 3 a 3 al 90esimo e goal decisivo nei supplementari, e poi l’Argentina di Crespo e Simeone con il goal del 3 a 2 di nuovo allo scadere.

Fu l’edizione in cui scoprimmo la mountain bike grazie alla vittoria di Paola Pezzo (maschilisticamente notata anche per altre qualità) e in cui dominammo il ciclismo vincendo altri 2 ori nell’inseguimento su pista (maschile con Andrea Collinelli e femminile con Antonella Bellutti) e un altro nella corsa a punti con Silvio Martinello che era uscito dall’ombra di Mario Cipollini per dedicarsi con grandi risultati alla pista. Ci fu anche la grandissima delusione del volley maschile che, dopo Barcellona, andò di nuovo a sbattere contro il muro (metaforico e no) dell’Olanda, questa volta in finale e per 17-15 al quinto set, facendo sì che uno dei più grandi insiemi di talento mai avuti nello sport di squadra italiano concludesse la sua carriera in nazionale senza l’oro olimpico. Esultammo di gioia per l’oro Di Donna nella pistola 10m e allo stesso tempo soffrimmò per il suo avversario, il cinese Wang, che crollò all’ultimo tiro dopo aver dominato la gara in quello che è storicamente poi diventato sinonimo di “paura di vincere” a livello sportivo. Facemmo conoscenza con Valentina Vezzali e la sua spaventosa determinazione che si dovette accontentare del secondo posto nella gara individuale di fioretto prima di vendicarsi in quella di squadra insieme alla Trillini (terza in quella individuale) e la Bortolozzi, mentre il pubblico femminile s’innamorò di Antonio Rossi, vincitore nella canoa di 2 ori in singolo (K1 500) e doppio (K2 1000) sulle “note” di Bisteccone Galeazzi.

Come detto prima, per noi erano per lo più Olimpiadi notturne, e nonostante il periodo estivo e da fancazzismo universitario non potevo certo seguire tutto, specie le gare nella serata americana, ce n’era però una che avevo segnato bene sul calendario anche se era trasmessa alle tre di notte italiane (poi scoprì che alle tre era solo l’inizio e la sua durata mi portò praticamente fino all’alba…), e quindi puntai la sveglia alle 02.55 in modo da poter seguire la rincorsa di Jury Chechi all’oro negli anelli, rincorsa che si era bruscamente e dolorosamente interrotta 4 anni prima.

Quando ero più giovane ero un avido lettore della Gazzetta dello Sport, però avevo uno strano modo di leggerla generalmente: iniziavo dalla fine! Questo per due motivi: nelle ultime 2 pagine c’era la sezione relativa alla Puglia nella quale trovare le notizie sul Lecce, e perché mi piaceva un sacco andare a leggere tutte le “brevi” sugli sport “minori”, e ricordo ancora quando avevo letto per la prima volta di due giovani speranze della ginnastica italiana, 2 che potevano ripercorrere le orme di Franco Menichelli, grande protagonista della ginnastica degli anni 60 e oro nel corpo libero a Tokyo 64, e due che, curiosamente, avevano un nome di origine russe: Boris Preti e Jury Chechi (nome derivato dall’atronauta Gagarin).

Incuriosito ne avevo iniziato a seguire le avventure appena possibile, e mi dispiacque molto quando lessi del grave infortunio al tendine di achille che nell’88 fermò Boris Preti, che allora era giudicato più talentuoso e forte di Chechi, e che sembrava poterne far terminare la carriera. Preti ebbe la forza di tornare in pedana a gareggiare, ma ormai il sorpasso di Jury era avvenuto, era lui la punta di diamante della ginnastica azzurra, specie per una specialità, gli anelli, per cui si presentava alle Olimpiadi di Barcellona tra i favoriti assoluti. Un mese prima delle gare però ecco anche per lui il grave infortunio: rottura del tendine di achille, come Boris 4 anni prima e come Menichelli nel 64 nella gara successiva all’oro vinto. Dopo quello il grande Franco chiuse praticamente la carriera, dopo quello Preti sembrava non poter più arrivare ai livelli sperati, era normale temere che anche per Jury questo avrebbe potuto significare addio per sempre ai sogni olimpici.

A Barcellona, curiosamente o forse no, Preti farà una delle sue migliori gare della carriera, finendo 16simo nella gara individuale e guidando la squadra italiana al quinto posto nella competizione per nazioni, risultato storico per noi. Chechi invece si dovrà accontentare di fare il commentatore in TV, iniziando però a mostrare a tutti, non solo a quelli che frequentano il piccolo mondo della ginnastica italiana, le grandi qualità morali che lo contraddistinguono, la spigliatezza con un microfono in mano e una simpatia contagiosa. S’inizia a prendere coscienza che quella non sarà la fine della carriera del ginnasta di Prato.

Jury Chechi sul "suo" divano

Jury Chechi sul “suo” divano

Da allora infatti inizierà un dominio nella specialità degli anelli che per 5 anni consecutivi, dal 93 al 97, vedrà Chechi vincere l’oro mondiale con una facilità difficilmente ritrovabile a così alti livelli, e lasciamo perdere tutti gli altri titoli vinti per problemi di spazio, ma ormai per tutti, anche per chi lo sport “minore” lo segue poco, quella faccia simpatica è un volto noto e quel soprannome, il “Signore degli anelli”, non è più solo legato ad un famoso libro fantasy.

Le Olimpiadi però sono un’altra cosa, si svolgono solo ogni quattro anni e sono quelle che ti consegnano all’immortalità sportiva, non le puoi fallire, e dopo che le ultime le hai già saltate per un grave infortunio, la pressione che hai sulle spalle può affossarti e ha già affossato tanti altri prima di te. Ma la verità è che Jury non se ne cura, lui è superiore a queste cose, lui vive la vita alla leggera, e pur lavorando al massimo per raggiungere i massimi risultati sportivi è ben cosciente che è “solo” sport, come ama ripetere spesso, niente d’importante.

Eppure quando lo vedi gareggiare sai che non è una cosa normale fare quelle evoluzioni, la grazia e tranquillità che trasmette in quelle che dovrebbero essere delle dimostrazioni di forza fisica è qualcosa che ti lascia senza parole: con lo stesso sforzo con lui “tiene” una croce per più secondi tu riesci a sederti sul divano (sederti eh, alzarti è già un’altra cosa…). E la differenza con gli altri atleti è così lampante, anche per i non addetti ai lavori, che spesso sembrano proprio due sport diversi: da una parte lui, Jury, dall’altra il resto del mondo.

E così ecco finalmente Atlanta, una gara seguita nel silenzio più assoluto, quasi in apnea, sia per l’orario che per la tensione, più nostra e del telecronista (Fusco mi sembra) che sua, perchè per lui sembra solo un altro allenamento, una prova normale, eseguita con la consueta classe, “un altro giorno in ufficio”. Quando però la prova si sta concludendo tutti capiamo che l’attesa sta per finire, quell’oro sta arrivando, il telecronista inizia a gridare “Vola Jury vola” e lui termina un esercizio praticamente perfetto quasi senza chiuderlo, sa che non ne ha bisogno, sa che ha vinto, sa che la rincorsa è finita, ed è in quel momento che si capisce che anche lui era teso, anche se non lo faceva vedere, e la sua esultanza è un crescendo rossiniano: il “Signore degli anelli” ha conquistato il suo tesoro più grande.

Dopo il mondiale del 97 decide di dire basta, per lui è arrivato il momento di dedicarsi ad altro, anche la politica perché lui è uno di quei personaggi che hanno spesso “qualcosa da dire”, ma qualcosa che merita di essere ascoltata, sempre. Poi però una promessa fatta al padre e la voglia di rimettersi in gioco lo portano a ritornare alle gare, ma dato che la sua storia sportiva non è, come avete capito, semplice, ecco un altro grave infortunio ad un braccio che gli fa saltare le Olimpiadi di Sidney nel 2000. Tutto finito? Ovviamente no. Chechi si rimette a lavorare con la solita determinazione e forza di volontà per ripresentarsi di nuovo ad Atene nel 2004, non più da favorito magari, ma con la grande soddisfazione di essere il portabandiera dell’Italia nella cerimonia d’inaugurazione: pochi lo hanno meritato maggiormente rispetto a lui nella nostra storia. Naturalmente non può gareggiare senza lasciare un segno ed ecco il bronzo a quasi 35 anni, un’età in cui molti ginnasti fanno al massimo gli allenatori.

La sua carriera può terminare definitivamente e a noi non resta che dire: grazie Jury, grazie per le tue imprese sportive, grazie per il tuo costante impegno contro il doping, grazie per la tua forza di volontà, grazie per la leggerezza con cui hai affrontato la vita e lo sport, nelle cose belle ed in quelle brutte, grazie per essere stato, semplicemente, una persona “normale” ma un’atleta straordinario.

Ogni sogno è possibile se ci credi fino in fondo.

Jury Chechi

CAPITOLI PRECEDENTI

1 – Seoul 88

2 – Barcellona 92

CAPITOLI SUCCESSIVI

4 – Sidney 2000

5 – Atene 2004

6 – Pechino 2008

7 – Londra 2012

angyair

Tifoso dei 49ers e dei Bulls, ex-calciatore professionista, olimpionico di scherma, tronista a tempo perso, candidato al Nobel e scrittore di best-seller apocrifi. Ah, anche un po' megalomane.

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17 risposte

  1. mlbarza ha detto:

    Di quelle Olimpiadi ricordo soprattutto la terrificante calura notturna nel seguire le finali delle gare in TV…

    E di Chechi, più che la straordinaria vittoria, mi rimase impresso lo spettacolo che fecero ad Atlanta con (credo) tutti i medagliati al termine delle competizioni. Praticamente rifece l’esercizio dell’oro, solo tenendo le varie posizioni per un tempo infinito, facendo pure le faccette buffe! ^_^

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