Memorie Europee – Euro 2000 – Golden Gol

Cominciamo a raccontare gli europei. Lo facciamo in attesa della nuova edizione di Francia 2016, la prima a 24 squadre con una formula molto simile ai mondiali giocati tra il 1986 e il 1994, comprendente quindi il ripescaggio di quattro delle migliori terze e le gare degli ottavi di finale, mai apparse ad un torneo continentale. La Francia ospiterà gli Europei per la terza volta. Celebriamo il ricordo dell’era moderna, quella che possiamo raccontare, per celebrare i campioni, gli episodi, i simboli e le squadre di tre epoche. Lo facciamo soprattutto per celebrare i ricordi di tre decadi vissute sulle spalle, tra immagini, aneddoti e sogni d’un tempo. O, almeno, cerchiamo di raccontarli per come li ricordiamo. Per il resto c’è Wikipedia.

Capitolo 6 – Golden Gol

Trezegol

Trezegol

Anno 2000. Comincia il nuovo millennio e l’umanità è sopravvissuta al Millennium Bug e alle profezie del “mille non più mille”. L’Italia del calcio ha appena attraversato un decennio indimenticabile a livello di squadre di club: dal maggio 1990 a quello del 1999 le squadre della nostra penisola hanno vinto tre Champions League, tre Coppe delle Coppe e 7 Coppe Uefa presentando un totale di 25 finaliste nel totale delle tre competizioni europee. La nazionale, invece, aspetta ancora un titolo dal lontano 1982. L’ultimo decennio ha rappresentato la triste epoca dei calci di rigore, fatali in semifinale a Italia 90, in finale a USA 94 e ai quarti di finale a Francia 98. Agli europei la triste apparizione in Inghilterra quattro anni prima non era bastata a far allontanare Arrigo Sacchi dalla guida tecnica degli Azzurri, ma il signore di Fusignano si tolse di mezzo quando ad avere bisogno fu il Milan, il suo vecchio grande amore, vero palcoscenico della sua celebrità.

Sacchi diede le dimissioni dopo una sconfitta in amichevole contro la Bosnia Erzegovina e si ripresentò al pubblico rossonero giusto per perdere la storica partita interna con il Rosenborg (1-2) che costò al Milan l’eliminazione dalla Champions League. Al suo posto arrivò Cesare Maldini, tre volte campione d’Europa con l’under 21 e in grado di espugnare subito Wembley durante le qualificazioni mondiali grazie ad un gol di Gianfranco Zola. Ma i rigori di Francia-Italia nel 1998 saranno fatali per il proseguo della sua carriera da CT. Al suo posto viene chiamato Dino Zoff. Dino Zoff è un po’ come nostro nonno, gli vogliamo tutti bene. È quella storia di un calcio in bianco e nero che non abbiamo mai vissuto e puzza tanto di leggenda, ma è anche il nostro primo approccio, da bambini, a questo gioco. È l’uomo della parata all’ultimo secondo col Brasile in Spagna, ed è quello che alzò la coppa al cielo del Bernabeu nell’ultima notte davvero magica del calcio azzurro.

Gli anni 90 hanno visto lo sport italiano esplodere più o meno a ogni livello. Nel volley la nazionale di Julio Velasco ha rappresentato forse la più grande squadra di sempre dominando il mondo per anni pur lasciandosi sfuggire sempre l’oro olimpico (argento ad Atlanta, nel 1996, contro l’Olanda). Nella pallanuoto abbiamo portato a casa tornei olimpici, mondiali, europei, sia in campo maschile che femminile; persino nel basket, giusto un anno prima, abbiamo rimesso qualcosa in bacheca, giusto per levare un po’ di polvere, bissando il trionfo europeo del 1983 (sempre in finale contro la Spagna) e dopo un secondo posto nel 1997. Insomma, manca solo il calcio. Onestamente, mancano anche l’hockey su prato, la pallamano e tanto altro, ma di certo quello che sembra pesare di più, visto l’interesse e l’audience, è il buon vecchio giuoco calcio.

Di Zoff non abbiamo un’idea precisa come allenatore. Il rispetto per l’uomo non è in discussione, lui è il più vecchio di quei figli di Enzo Bearzot che illuminarono i nostri mondiali spagnoli, l’uomo dello scopone scientifico giocato in aereo insieme a Sandro Pertini (avversari il CT e Franco Causio) con la coppa appena conquistata appoggiata lì a fianco, quasi dimenticata nel momento del partitone a carte. Con una Juventus piuttosto mediocre, nel 1989-90, vinse Coppa Uefa (contro la Fiorentina) e Coppa Italia, espugnando nella gara di ritorno proprio la San Siro di Sacchi, quella che inaugurava il terzo anello a un mese dall’inizio dei mondiali. Gol di Roberto Galia per gli annali del calcio.

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In nazionale, però, le cose non vanno benissimo. Il girone per qualificarsi non è dei più impegnativi (Danimarca, Galles, Svizzera e Bielorussia) e, pur vincendolo, non è raro vedere gli azzurri inciampare più e più volte. La squadra non gioca benissimo benché il talento a disposizione sia, come ormai d’abitudine da diversi anni, piuttosto elevato. Dopo un ottimo avvio con tre vittorie su tre (tra cui quella, fondamentale, in Danimarca), gli azzurri si fermano in casa contro la Bielorussia (1-1), pareggiano in Svizzera (0-0) e le buscano in casa dai danesi (2-3) prima di pareggiare, di nuovo, con i bielorussi (0-0) stavolta in trasferta. In mezzo la sola vittoria contro il Galles (4-0) che chiude un bottino di una sola vittoria nelle ultime cinque partite di qualificazione. Pochino. Per fortuna dietro non fanno meglio, i danesi sbagliano decisamente l’avvio (0-0 in Bielorussia e 1-2 contro il Galles, in casa) e quell’ultimo 0-0 dei ragazzi di Zoff permette agli Azzurri di chiudere in testa il girone con un punto di vantaggio sugli scandinavi che finiranno agli spareggi. Le premesse non sembrano essere delle migliori, eppure l’Italia vanta ancora una difesa di livello mondiale, forse la più forte in assoluto, con gente come Fabio Cannavaro, Paolo Maldini, Alessandro Nesta, il veterano Ciro Ferrara e un certo Gianluigi Buffon tra i pali. In mezzo la squadra di Zoff è solida, ha grandi incontristi, muscoli e corsa e può garantire anche qualche gol; ha soldatino Di Livio che ha polmoni per quattro, Stefano Fiore che è emerso a Parma e ha fatto buone cose a Udine, ottimi tiratori da fuori come Demetrio Albertini e Luigi Di Biagio. In attacco sta emergendo ormai definitivamente Francesco Totti, ibrido offensivo della Roma, il miglior talento emergente del nostro calcio non ancora ventiquattrenne. C’è Alessandro Del Piero, che in nazionale fatica ad esplodere ma che, prima o poi, ti dici, qualcosa di buono combinerà. E poi c’è Filippo Inzaghi, uno che fa gol anche quando non vorrebbe. Insomma, la squadra c’è, ma il meccanismo d’insieme, per qualche ragione, si inceppa il più delle volte. I favori del pronostico, che spesso toccano gli azzurri a prescindere, in quanto “grande” del calcio, stavolta non ci sono. Passare il turno è l’obiettivo minimo, la semifinale sarebbe un grande successo, ma il Girone B nel quale si è sorteggiati è complicato: c’è la rognosa Turchia, il Belgio padrone di casa e la Svezia, sempre una incognita da non sottovalutare, sopratutto negli ultimi anni. Come se non bastasse, durante un’amichevole pre europeo, Buffon si infortuna: salterà la fase finale. Giocherà Francesco Toldo e le ambizioni sembrano calare ulteriormente. Si vola così a Euro 2000, il primo europeo del nuovo millennio, il primo ad essere organizzato congiuntamente da due nazioni: Belgio e Paesi Bassi.

L’Europeo si presenta subito tosto e con alcuni gironi davvero di ferro. A queste condizioni non possono mancare le sorprese che, puntualmente, arrivano da parecchi campi. Il Gruppo A è forse il più affascinante: c’è la solita Germania, che ti aspetti sempre, l’Inghilterra della stellina e Pallone d’Oro Michael Owen, il Portogallo di Luis Figo e la rocciosa Romania. I tedeschi, per una volta, se ne vanno a casa subito e con le osse piuttosto rotte: un solo punto (1-1 con la Romania) e due sconfitte, di cui una con l’Inghilterra (1-0, la vendetta di Alan Shearer) e un’altra con un devastante 3-0 per conto del Portogallo che regola i teutonici con tripletta di Sergio Conceicao. Passano Portogallo e Romania, coi lusitani in gran spolvero. Gioco più veloce del (loro) solito, piedi buoni, tanti gol; dietro la spunta la Romania che batte l’Inghilterra in un intenso e decisivo match pieno di ribaltamenti di fronte e occasioni. Chivu porta avanti la Romania prima che Shearer e Michael Owen ribaltino la situazione. Munteanu e un rigore di Ganea ristabiliscono il vantaggio rumeno che giunge al minuto 89 e porta ai quarti la squadra di Gheorghe Hagi. E’ un europeo divertente, giocato a buoni ritmi e con tanto talento in campo. Si segna molto (2,74 gol a partita alla fine) e questo, inevitabilmente, aiuta a godere al meglio deglle partite.

Nel Gruppo C c’è la Jugoslavia, la nuova Jugoslavia, alla prima apparizione dopo la Guerra dei Balcani. Beffati dagli odiati croati che sono riusciti ad ottenere la semifinale già al mondiale del 1998, mentre la Jugoslavia usciva agli ottavi, la nazionale di quella che sarà, poi, anche Serbia e Montenegro, si presenta per fare bene, con le giuste maturità ed esperienza che servono a sorprendere in occasioni come questa. Agli ordini di Vujadin Boskov tanti nomi noti alla Serie A e al calcio europeo: Sinisa Mihajlovic, Dejan Stankovic, Vladimir Juogovic, Perdrag Mijatovic, Darko Kovacevic. Squadra pericolosissima, talentosa e, come spesso capita da quelle parti, un po’ pazza. Infatti, al pronti-via, gli slavi passeggiano per un’oretta in giro per il campo nel “derby” con la Slovenia. Quando riaprono gli occhi il tabellone di Charleroi riporta una notizia pesantissima: 3-0 per gli altri. In quel momento scatta qualcosa e gli uomini di Boskov si catapultano in avanti non prima di essere rimasti in dieci per l’espulsione di Mihajlovic, reo di spintarelle eccessive contro un avversario (o forse reo di essersi presentato al torneo coi capelli tinti di biondo); 6 minuti e tre gol che neanche l’assurda notte milanista di Istanbul. Doppietta di Savo Milosevic (partito dalla panca e subentrato a Kovacevic), che sta per passare al Parma, e rete di Ljubinc Drulovic: 3-3. La rimonta esalta la Jugoslavia che a Liegi, tra alti e bassi, batte la Norvegia, con rete ancora di Milosevic in avvio. Contro la Spagna si gioca l’incontro decisivo e sarà una partita incredibile. Gli iberici hanno 3 punti, frutto della sola vittoria contro la Slovenia dopo il passo falso (0-1) all’esordio contro la Norvegia.

Di fronte due scuole di calcio opposte, due undici che si scontrano tra il fisico di uno e il centrocampo super tecnico degli altri. Milosevic la sblocca ancora una volta ma dopo pochi minuti Alfonso mette il punto del pareggio. Nella ripresa accade di tutto. Dejan Govedarica segna in avvio un bellissimo gol da fuori ma, nemmeno un giro di lancette, e Pedro Munitis lascia immobile l’estremo difensore slavo con un delicatissimo tocco nell’angolo. La Jugoslavia che, si sa, non ci va mai troppo per le leggere, rimane in dieci ma, nonostante l’inferiorità numerica, al 75° è di nuovo avanti. La Spagna ora sarebbe eliminata. Gli slavi scavano una trincea in area e da lì non escono più; l’assedio spagnolo è eroico e generoso ma non porta a nulla fino a che, un netto fallo in area, non produce il rigore che Gaizka Mendieta trasforma per il 3-3. È il novantesimo e, nel frattempo, Norvegia-Slovenia non si sblocca. La Spagna sarebbe ancora eliminata. Al 95° Pep Guardiola controlla un pallone sulla linea di metacampo e lo spara verso un’area di rigore affollata da un centinaio di persone; ponte aereo e palla a centro area ad un incredibilmente solo Alfonso che la scaraventa in rete. Non è Italia-Germania del 70 ma è 4-3 comunque. La Jugoslavia è sul baratro ma ad Arnhem non segna nessuno: gli slavi sono comunque ai quarti.

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Lì li aspetta l’Olanda padrone di casa e tra le grandi favorite. Gli Oranje allenati da Frank Rijkaard avanzano come un carroarmato. Faticano all’esordio ad avere la meglio della temibile Repubblica Ceca grazie ad un rigore realizzato da Frank De Boer all’ottantanovesimo, dopo di che travolgono la Danimarca (3-0) e vincono lo scontro diretto coi francesi campioni del mondo (3-2) in un altro epico scontro. I Bleus vanno avanti due volte, altrettante volte gli arancioni la rimettono in piedi con due splendidi gol di Patrik Kluivert e Frank De Boer. La chiuderà Boudewijn Zenden, messo davanti al portiere avversario direttamente da un lancio del proprio. L’Olanda del tifo esplode e ora ci crede davvero. La finale, obiettivo minimo, sembra scontata. Da quell’avvio un po’ timido alla vittoria del girone sembrano passati mesi. Ai quarti la tosta Jugoslavia riproporrà la stessa, spiazzante tattica utilizzata all’esordio contro la Slovenia ma, questa volta, quando riaprirà gli occhi sarà notte fonda. Gli olandesi ne fanno sei, Patrick Kluivert piazza una tripletta. Il gol della bandiera di Savo Milosevic giungerà con i caroselli per le vie di Amsterdam già in corso da almeno mezz’ora. La consolazione per l’attaccante slavo, che in quattro gare ha segnato la metà delle reti che siglerà in Italia in 31 presenze, è quella di divenire capocannoniere del torneo. Ma in semifinale vanno gli olandesi e ci vanno in modo deciso ed un avviso per tutti. Anzi, sei avvisi.

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Gli europei di Belgio-Olanda dimostrano l’assunto di alcuni antiproibizionisti che, per la pace nel mondo, servirebbe distribuire più marijuana. Cavie dell’esperimento i temibili hooligan inglesi che in Belgio (famoso per le ottime e, molto spesso, tanto alcoliche birre) mettono tutto a ferro e fuoco mentre in Olanda, dove esordiranno, a Eindoven, contro il Portogallo, sono avvistati a filosofeggiare, davanti ai coffee shop, tra le differenze in ambito morale delle opere di Nietzsche e Kant o a padroneggiare importanti argomentazioni sul periodo blu di Pablo Picasso. Un po’ come per i turbolenti tifosi inglesi, anche noi abbiamo la nostra zona calda del tifo. La nostra appendice di Belgio e Olanda è un bar per anziani, uno di quei circoli dove le attività vanno dal ballo liscio alle gare di boccette, dai tornei di briscola a quelli, ufficiosi, di bestemmia. Lì la birra costa poco (pochissimo) e la perduta gioventù carpigiana tiene sempre in considerazione l’aspetto dei costi in situazioni come questa. Nel 1998 la location non ha portato grande fortuna ma due anni dopo, strada facendo, qualcosa di positivo sembra accadere.

Gli Azzurri esordiscono nella difficile sfida contro la Turchia. La sblocca Antonio Conte (sì, l’allenatore di oggi) in rovesciata (sì, in rovesciata), la chiude Filippo Inzaghi su rigore per il definitivo 2-1. È stata dura, la Sala della Cultura (si chiamava così il posto dove tenevano la TV al circolo anziani) non è completamente soddisfatta. Il pubblico qua ha palato fine, ma sono comunque arrivati tre punti in una sfida difficile. Nella seconda partita troviamo il Belgio, che non sembra fortissimo ma gioca in casa e noi della Cultura lo sappiamo che l’organizzazione, cioè l’Uefa, vorrebbe i Diavoli Rossi almeno ai quarti per via degli ascolti TV. Stavolta però gli uomini di Zoff giocano benissimo. Gli Azzurri non rischiano mai nulla, sono sempre in controllo: la sblocca subito Francesco Totti, la chiude con un bellissimo gol da fuori Stefano Fiore. Contro la Svezia segnano Di Biagio e Del Piero con un meraviglioso sinistro all’incrocio in contropiede: 2-1 Italia e punteggio pieno. Incredibile. Gli azzurri volano, sembrano una squadra lontanissima da quella vista durante le qualificazioni e, a dire il vero, da quella degli ultimi 8-9 anni dove, per un motivo o per l’altro, si è sempre balbettato un po’ al di là dei risultati finali.

Con noi passano i turchi, per buona pace degli organizzatori (del resto in Belgio che ascolti vuoi che ci siano), così che ai quarti mancheranno due teste di serie: Belgio e Germania. A differenza di quattro anni prima, poi, i quarti saranno di tutt’altro tenore facendo emergere, in modo netto, il quartetto in quel momento migliore d’Europa: Olanda, Francia, Portogallo e Italia sono alle semifinali con merito, senza polemiche e giocando tutte un buon calcio. I francesi si trovano di fronte la Spagna, ossia la seconda testa di serie (l’altra è l’Olanda) consecutiva. Zidane con una punizione perfetta e Youri Djorkaeff con un bell’inserimento da destra e gran chiusura sul primo palo spengono definitivamente, e per l’ennesima volta nella storia del soccer, le ambizioni delle Furie Rosse cui non basta il momentaneo pareggio di Mendieta su rigore per avere una scossa. Gli olandesi, come detto, demoliscono la Jugoslavia, mentre i lusitani hanno davanti l’ostica Turchia che liquidano con una doppietta di Nuno Gomes (uno dei due gol è un piccolo gioiello). E l’Italia? L’Italia batte il colpo. Trova la Romania di un vecchio Hagi sempre pronta ad un calcio muscolare e fastidioso, ma gli azzurri stanno benissimo, troppo bene perché sia solo una squadra fisica a poterli mettere all’angolo. Le gambe girano, il pallone anche, la Romania ci capisce il giusto. Al 33° Totti la sblocca e la mette in discesa, dieci minuti dopo Pippo Inzaghi la chiude. La Sala della Cultura plaude soddisfatta, l’intelligenzia del calcio d’essai gode di cotanto spettacolo. Siamo in semifinale, e lì ci sarà l’Olanda che, si sa, l’organizzazione vorrebbe in finale eccetera.

La sera del 28 giugno vanno in campo Francia e Portogallo. Come se fossimo già in finale tifiamo Portogallo perché nel match decisivo è meno temibile dei campioni del mondo. Nuno Gomes la sblocca intorno al 20° di un primo tempo bruttino. Nella ripresa la Francia azzanna la partita con Thierry Henry. I francesi non riescono a vincerla, Vitor Bara para tutto e nel finale ci aggiunge un mezzo miracolo che mi fa perdere una milionata alla Snai (c’erano le lire eh…). Ai supplementari è la Francia a continuare a far gioco, gli uomini del CT Humberto Coelho sembrano stanchi, improvvisamente appannati. La sfida si indirizza verso i rigori ma l’austriaco Gunter Benko decide di fischiarne uno per i francesi a 3 minuti dalla fine. Forse giusto per provare, per far scaldare i giocatori, per togliergli di dosso l’emozione della terribile lotteria che si svolgerà di lì a poco. Dopo, quindi, ne darà uno anche ai portoghesi, pensi. Ma Zidane dimentica la regola del fottuto Golden Gol, trasforma il rigore e porta i francesi in finale tra le plateali contestazioni dei portoghesi che non accennano a calare.

Amsterdam Arena, 29 giugno 2000, ore 18. Si esce un po’ prima dal lavoro, bisogna vedere anche gli inni. La Sala delle Cultura è semivuota. Molti sono rientrati a casa dalla loro azienda e hanno deciso di rimanerci dandoci già per sconfitti. La Rai si collega per i pochi intimi, tra cui un paio di anziani. Un mare arancione ti acceca immediatamente. Guardi le immagini e sai già che hai perso. Il clima, lo stadio… non è possibile farcela, siamo stati bravi ma questo è davvero troppo. L’arbitro è un tedesco e di certo non ci vorrà bene. Zoff non fa giocare Totti, gli ha preferito Del Piero. Va be’, prendiamo una birra. Un ettolitro di birra, la vendetta ai ragazzi di Velasco via piedi è rinviata a data da destinarsi.

Com’è andata a finire lo sapete. Chi non lo sa dovrebbe abbandonare questo sito per sempre. E anche il paese. La partita è diventata semplicemente storia del nostro calcio in quell’assurdo rimando all’epica che si fa quando si strappano vittorie che nessuna scienza potrà mai spiegare. Partite così, partite assurde che sfidano la logica del più forte e la giustezza del merito. Partite per cuori forti e fegati ben rodati. Gli olandesi la cominciano a testa bassa, attaccano subito e centrano un legno con Dennis Bergkamp (Oh… my little Denise…); e alla mezz’ora noi siamo già in dieci. L’espulsione di Gianluca Zambrotta ha però due effetti: dà coraggio all’Olanda, che ora ha un motivo in più per non fallire, ma allo stesso tempo mette l’Italia nella condizione perfetta, la riporta al proprio DNA originale, alla radice della sua storia, ossia mettersi a fare quello che sa fare meglio senza che nessun giornalista, il giorno dopo, si azzardi a mettere in discussione le scelte tattiche di Zoff. Gli azzurri si mettono in 60 milioni dentro la propria area di rigore e spiegano al mondo l’essenza del proprio essere calcistico e non solo: il catenaccio. Pochi minuti dopo il tedesco Merk assegna un rigore ai padroni di casa. Il torneo di imprecazioni al circoletto raggiunge livelli inauditi. Gli anziani sono diventati più numerosi, sono almeno cinque o sei ora. Un amico mi guarda e mi chiede quanti rigori ha parato Toldo in carriera. “Pochi” gli dico. Forse nessuno. Che ne so di quanti rigori ha parato Toldo in carriera? Non lo sa Bruno Pizzul, perché dovrei saperlo io? Al dischetto va Frank De Boer. Toldo para. La Sala della Cultura, che di culturale non ha più niente, ammesso che qualcosa ci sia mai stato, al di fuori di qualche quotidiano locale, esplode. Qualche anziano ride, come se non avesse mai visto un portiere parare un rigore. Gli olandesi non ce la fanno; spingono e spingono ma l’unico effetto che ottengono è quello che otterrei io invitando Scarlett Johansson a cena: il vuoto cosmico.

Frank DeBoer vs Toldo...parte 1

Frank DeBoer vs Toldo…parte 1

Markus Merk dopo un’oretta pare essersi stufato un po’. “E basta con ‘sto catenaccio” avrà pensato. E allora altro rigore all’Olanda (ah… le generazioni citate del buon Merk, che comunque ha visto bene in entrambi in casi, andando a memoria). Un altro rigore. Abbiamo contro anche la matematica ora, siamo finiti. Nessuno riesce più a stare seduto. Un paio di anziani abbandonano la sala, l’emozione è troppa. Se qualcuno abbia chiamato il 118 non lo sappiamo perché, nel frattempo, Patrick Kluivert, cinque reti agli europei, ha calciato il rigore e noi abbiamo sconfitto anche la matematica: palo! E siamo ancora zero a zero. E andiamo ai supplementari. E poi ai rigori. L’Italia è stata eroica. Una delle più belle emozioni provate giocando il nulla. Non un’azione, non un tiro, niente. Ma siamo lì, a undici metri dalla finale più inaspettata di sempre, lì contro tutti: contro il mare arancione, contro la sfortuna, l’arbitro, i rigori. Contro tutto e tutti. Lì, dove ogni volta ci ritroviamo, dove subiamo, a ogni mondiale, la tragica sconfitta senza che nessuno riesca davvero a batterci sul campo. Siamo lì, dove abbiamo sempre perso. Ma stavolta, ad avere più paura, sono gli altri. La Sala della Cultura si è vuotata. Siamo rimasti in quattro, nessun anziano. Nessuno ha cenato. Nessuno ha più sigarette. Tutti e quattro in piedi, sudati come se a marcare Bergkamp ci fossimo stati noi. E ci siamo stati, in un certo senso, dentro quell’area di rigore insieme a tutti gli altri italiani a difendere il confine calcistico della nazione.

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Sala della Cultura, 29 giugno 2000, ore 20.30 circa. Calci di rigore, Olanda-Italia.

Luigi Di Biagio. Comincia lui. Ha sbagliato il quinto rigore in Francia-Italia due anni fa, alla Coppa del Mondo. Lo ha stampato sulla traversa, poi il pallone è rimbalzato in campo e ciao. Aveva fatto un buon mondiale, Gigi, ma ha sbagliato quel rigore. Deve avere un peso immenso sullo stomaco. Per me non ci dorme da due anni. Qualcuno batte le mani, forte, a scatto, un paio di volte. “Dai Gigi!”. I fischi del mare arancione lo sommergono. Parte. Edwin Van der Sar indovina l’angolo ma Gigi lo calcia benissimo. Imprendibile. Gol. “Seeeeee!” è il verso della Cultura. E anche quello di Di Biagio che butta fuori due anni di rancore. 1-0

Frank de Boer, il capitano olandese, va a calciare per l’Olanda. Ha già sbagliato in partita. Ancora non sappiamo chi sia Jerry Mbakogu, ma sappiamo quanto sia raro sbagliare due rigori nella stessa partita. È accaduto a Evaristo Beccalossi, tanti anni fa, ma questa è una semifinale dell’europeo. La matematica si sta scatenando contro di noi. De Boer calcia male e abbastanza centrale, Toldo va dalla parte giusta e lo para di nuovo. Pugni sulla tavola, qualcuno in piedi su una sedia. Io mi accanisco a pugni contro un armadio in metallo che non si può aprire e, quindi, sappiamo cosa contenga. Forse armi. De Boer non ci crede. Ha le mani tra i capelli e lo sguardo perso nel vuoto. Noi infieriamo. Il calcio non è sportivo, lo sappiamo. Figuriamoci in questi momenti quando per una volta ti sembra di stare dalla parte giusta del tavolo. Un rigore per parte, 1-0 per noi.

Frank DeBoer vs Toldo - parte 2

Frank DeBoer vs Toldo…parte 2

Gianluca Pessotto è un uomo onesto. Lo vedi dalla faccia. Mai una polemica, mai a rompere le scatole. Lo mettono in fascia a fare il fluidificante e lui ci prova, si impegna e poi, quando salta l’uomo, puntualmente si volta e la passa indietro. Ecco, io non lo sopporto Pessotto quando gioca. Tocca a lui. Figuriamoci, lo calcerà all’indietro. La passerà a Cannavaro. Macchè… palla da una parte, precisa, angolata, perfetta e portiere dall’altra. Due a zero! Altre urla selvagge. Qualcuno prende a calci l’armadietto in metallo. Momento decisivo. 2-0

Jaap Stam. Guarda che faccia, ha paura. E poi questo che piedi vuoi che abbia, non li sa calciare i rigori, non li sa calciare. Dai, dai, dai… fucilata centrale, imprendibile, Toldo è andato giù alla propria destra. Il pallone viene recuperato un paio di giorni dopo in Lussemburgo. Le gesta dei quattro giovani superstiti della sala della Cultura rasentano ora la denuncia per vilipendio ad ogni istituzione conosciuta. Altri colpi di metallo. Dal fondo dell’armadio comincia a colare un liquido rosso. Sangue? Allora c’è un cadavere qua dentro? “Sanguinella” dice qualcuno. Chi è che beve la sanguinella? Nessuno, fa schifo, la sanguinella. È un cadavere, per forza. Continuiamo a guardare il sangue, o la sanguinella, chissà. Poi torniamo ai nostri posti. Ancora due a zero. Toldo fa un sorriso di quelli che non ci credi. Settantotto denti e lo sguardo di chi la sente. La sentiamo. 2-0

Francesco Totti. Numero 20, faccia da schiaffi, fascia per capelli in testa. Ha fatto un gran europeo. È all’inizio del miglior quadriennio della sua carriera, quando mezzo mondo calcistico lo vorrebbe tra le proprie fila. Milan, Real Madrid, Manchester United… rimarrà a Roma per sempre. Adesso però c’è questo rigore da calciare, e lui li sa calciare. Non lo sbaglia, non lo sbaglia. Totti è cupo in volto. Va a mettere la palla sul dischetto e non guarda mai il portiere. Poi alza gli occhi e si mette in posizione. Adesso sale il timore, la paura dello sbaglio. Questo fa la fine di Stam, fucilata in Lussemburgo. France’ parte, ecco la bomba, il portiere è andato giù a destra, è battuto.. ma la palla dov’è? Perché non si muove? Avanza lenta verso la porta, in una traiettoria deformata dalla prospettiva televisiva, rimane sospesa per ore, per giorni. Poi la rivedi… è dentro. Tre a zero. Siamo lì, in casa degli olandesi, dopo una tragedia di 120 minuti in dieci a dominare quel giochino che ci ha sempre visti uscire sconfitti. E ci permettiamo il lusso di prenderli anche per il culo. In casa loro. Pallonetto preciso e centrale spiazzando il portiere. Da quel momento il cucchiaio, dichiarato da Totti ai compagni mentre li salutava per andare a calciare. Er cucchiaio3-0

Patrick Kluivert. Lui due non li sbaglia. Infatti lo segna. Perfetto, preciso, con decisione, spiazzando il portiere. È il primo rigore trasformato di cinque tirati dagli olandesi, che vuoi che sia? 3-1

Paolo Maldini, capitano. E’ il match point. Dai Paolino, portaci in finale. Ma li sa tirare i rigori Paolino? Maldini fa il terzino. Ha un collega al Milan, un certo Alessandro Costacurta detto Billy, che è difensore come lui ma i rigori li calcia benissimo, a parte uno contro il Boca Juniors in una finale di Coppa Intercontinentale. Ma uno può capitare. Infatti a Maldini capita. Debole, centrale, parato. Ci siamo. Troveremo il modo di uscire anche oggi, anche stavolta che è impossibile. Ora segnano e ci mettono pressione. Bel casino. 3-1

Paul Bosvelt. Gioca al Feyenord, fa il centrocampista ma ha piedi discreti, ha il vizio del gol, nonostante il ruolo. In nazionale non ha mai segnato. Questo rigore non farebbe statistica ma pesa come e più di un gol “vero” se lo metti dentro Paul. Il ragazzo è agitato, non ha lo sguardo deciso, del rigorista che non perdona: rincorsa lunga. Paul parte e calcia abbastanza forte nell’angolo alla propria sinistra. Francesco Toldo si tuffa dalla parte giusta, si allunga. Ci arriva. Lo para. Ciao Paul. Bye bye Oranje. 3-1

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Siamo in finale e quello che avviene durante i caroselli in centro, benché dovrebbe essere ormai scaduto in prescrizione, non è qui narrabile. In finale potremmo rifarci della Francia. La vendetta a due anni dal loro mondiale. Ce lo meritiamo. Tanto. La Sala della Cultura è gremita, ci saranno almeno sessanta persone, chi seduto, chi in piedi, chi su un davanzale, chi fuori dalla finestra. Nessuno credeva saremmo mai stati lì e ora eccoci, tutti insieme, per provare a vincere finalmente un titolo che adesso sembra davvero vicino. La Francia è forte ma l’Italia è nella condizione mentale perfetta. Ha sconfitto ogni pronostico, ogni avversario, ogni congiuntura astrale, e ha vinto ai rigori, eliminando in un sol colpo l’Olanda e la maledizione degli undici metri. Marco Delvecchio la sblocca a inizio ripresa. Pessimo momento per la Cultura. Il rifornimento birre fatto durante l’intervallo fa sì che i tavolini siano pieni di birre da 66 completamente piene. Al gol l’esultanza è feroce, primitiva, devastante. La gente scatta in piedi, i tavoli, affiancati l’uno all’altro per creare una tavolata, non hanno fermi tra un pezzo e l’altro e si aprono. Le bottiglie cominciano a cadere, il pavimento si riempie di birra, il frastuono è pazzesco. Vetri ovunque. Ma chi ha pulito il sangue del cadavere nascosto nell’armadio di metallo pulirà anche quello, giusto? Parte il secondo viaggio verso il bar, la birra costa pochissimo, si fa una seconda scorta e pazienza. Intanto siamo 1-0 per noi, ed è questo che conta.

Alessandro Del Piero si divora due gol clamorosi in fotocopia a tu per tu con l’odiato Fabien Barthez, la cui madre, in serata, è più citata di quanto non lo sia il vangelo durante una messa, con toni ovviamente diversi. Ognuno ha gli apostoli che si merita. Da quel momento non riusciremo più a perdonare Del Piero e per giorni, mesi, anni, la mente andrà a Roberto Baggio, uno che quei gol lì li faceva sempre. Metteva a sedere il portiere, gli danazava intorno e l’appoggiava nella porta vuota. Quanto ne ha fatti così? Cento? Mille? Nonostante questo la dominiamo, continuamo ad essere padroni del campo. E la stiamo per portare a casa. Il coro “campioni d’Europa” si leva al cielo proprio mentre Barthez calcia una punizione dalla propria metà campo ed innesca l’assurdo gol di Sylvain Wiltord. È il 94° minuto. Per pochi secondi il sogno si infrange. Eravamo riusciti a cancellare Zinedine Zidane dal campo e a fregarci è Wiltord, con un pallone lento che passa sotto le gambre di Fabio Cannavaro e trova un Toldo stavolta non troppo reattivo. È il colpo del KO: ai supplementari gli azzurri ci arrivano col morale sotto le suole delle scarpe e senza più un briciolo di forze.

Verso la fine del primo tempo supplementare David Trezeguet indovina un magnifico tiro all’incrocio e segna il Golden Gol decisivo. Il secondo europeo consecutivo si decide grazie alla regola più oscena di sempre. I sogni di un trionfo inaspettato e così da vicino sfiorato terminano lì. Il giorno dopo, Silvio Berlusconi, criticherà l’atteggiamento della nazionale portando alle dimissioni di Dino Zoff e palesando di non aver guardato la partita; soltanto qualche anno dopo scopriremo cosa, effettivamente, si fa la sera a Villa Arcore e cioè non si guardano partite di calcio.

Arriverà Giovanni Trapattoni, altro vecio del nostro calcio, grande vincente della nostra storia. Ci porterà fino al mondiale del 2002, dove un altro Golden Gol, stavolta del sudcoreano Ahn, porrà fine alla nostra spedizione. Succederà nella serata del triste (in ogni senso) arbitro Moreno. In un brutto mondiale, con una nazionale scadente nel gioco che giungerà, insieme al Trap, fino al brutto europeo del 2004. Avremo la sensazione di aver buttato via almeno tre generazioni di campioni senza vincere nulla. Per i rigori, per i Golden Gol (regola abolita dopo il mondiale 2002…), per le nostre incapacità. Vedremo sorgere l’impero degli spagnoli che forse non hanno ancora scritto la parola fine. Tutto perduto e sempre per un piccolo dettaglio, al netto delle più che giustificate analisi tecnico-tattiche. Fino a quando, durante una pazza stagione, un mondiale assurdo, polemiche, scandali e un’altra lotteria di calci di rigore, ci verrà regalato il momento che aspettavamo dal 1982. Di nuovo contro la Francia, con un epilogo diverso, che cancellerà tutte queste piccole delusioni sportive accumulate negli anni. E anche se, in cuor nostro, sappiamo benissimo che nessuno cambierebbe mai un titolo europeo con un titolo mondiale, siamo certi che la nazionale che più meritava di portarsi a casa un trofeo era quella del 2000. La prima del millennio, quella di nonno Dino, di Er Cucchiaio e dei rigori dell’Olanda. Quella tradita da un Golden Gol che mandò in fumo la festa dell’Italia intera, simbolo di un regolamento cinico che cancellò la logica dell’eroismo con cui si era arrivati a un passo dal trionfo. L’Europeo della Sala della Cultura in quel circolo anziani, sede di Euro 2000 insieme a Belgio e Olanda. Sede di gioventù, cucchiai e cadaveri negli armadi. Tutto cancellato da un Golden Gol. Tutto, tranne i ricordi.

..e che ricordi!

..e che ricordi!

CAPITOLI PRECEDENTI

1 – Italia 1980, Rummenigge

2 – Francia 1984, Diavoli Rossi

3 – Germania Ovest 1988, Kieft

4 – Svezia 1992, Danish Dynamite

5 – Inghilterra 1996, Gazza

CAPITOLI SUCCESSIVI

7 – Portogallo 2004, Rehhagel

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17 risposte

  1. angyair ha detto:

    Rileggere la storia di quell’avventura è stato bello e terribile insieme…
    Che ricordi!

  2. azazelli ha detto:

    Sala della Cultura centro d’Europa.

    Ma chi c’era nell’armadio?!?! ahahaahaha

    Vogliamo racconto dettagliato dei caroselli 😀

  3. ALBERTO ha detto:

    Ricordi belli e ricordi brutti…..
    Da juventino poi gli errori di Del Piero mi pesarono come un macigno…..
    Avevamo scritto una favola….e’ mancato il lieto fine…
    Se ci penso adesso sto ancora male…..

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