Il mondo di Sagan

Sagan, Doha, Podio

Dite “cheeeeese”

La fase “non ci sono più aggettivi per descriverlo” l’abbiamo già passata: e allora andiamo diritti al punto, senza troppi orpelli barocchi, semplicemente Peter Sagan è di nuovo campione del mondo. Nel 2017 sopra alla maglia della Bora (sua nuova squadra) vestirà quella del campione europeo, poi sopra ancora quella iridata e ci sarà ancora spazio per le maglie a punti che di volta in volta si alterneranno. Più che un ciclista un indossatore di maglie.

“Quando inizierà a vincere non la smetterà più”, il problema di questa affermazione è che la dicevamo attorno al 2013 quando Peter aveva già vinto una sessantina di corse. Per la precisione la numero 60 era arrivata ad inizio 2014, la prossima sarà la 90esima. A 26 anni.

Il 2016 è stata la consacrazione definitiva, in barba ad ogni maledizione iridata, il campionato mondiale di Richmond ha aperto definitivamente la gabbia, la belva è uscita ed ora pare non ci sia corsa che non possa vincere: è arrivata la prima monumento, a rovinare il farewell di Cancellara al Fiandre, sono arrivate le vittorie al Tour, ha sfiorato addirittura la generale della Tirreno “facilitata”, queste le ciliegine più grosse su una torta che ormai abbiamo imparato a conoscere. Ha imparato anche a fare a meno della squadra: ieri nel vento del deserto ha perso subito suo fratello. La Slovacchia come suo solito poteva schierare ben pochi corridori (3), ma non era stato un problema l’anno scorso dove s’era messo in proprio e non lo è stato quest’anno dove le fatiche precedenti per portar via la fuga avevano prosciugato un po’ tutti costringendoli quasi a consegnarsi ad un arrivo in volata.

Il vento è stato il grande protagonista di questo mondiale che fino alla vigilia ha fatto parlare di sé più per le polemiche ambientali/organizzative: davvero in Qatar fa caldo?! Davvero non c’è gente sulle strade??? Davvero il cielo è blu? Questi gli enigmi che c’hanno accompagnato alla mattinata più attesa, ci siamo svegliati ieri con la notizia che per le strade verso il circuito finale, oltre alla sabbia, i corridori avrebbero incontrato Eolo e subito la corsa ha preso un senso, a poco meno di 200 km dall’arrivo le condizioni per creare ventagli erano lì ad aspettare i belgi: lo sapevano tutti, eppure due delle grandi favorite di questo mondiale, Francia e Germania si sono fatte trovare impreparate.

L’autoeliminazione di Kittel, Bouhanni e soci è stata impietosa: il nervosismo che ne è conseguito è andato un po’ oltre rispetto al solito. Lanci di borracce contro macchine, gavettoni, ecc ecc…ce la saremmo evitata, mentre da una parte un po’ ci dispiace restare con il dubbio su come proprio queste due nazionali si sarebbero comportate nella gestione della doppia se non addirittura tripla punta. Visto il pianto dirotto successivo al nervosismo, probabile che lo sprinter designato in casa tedesca fosse proprio Degenkolb che così chiude una stagione disgraziatissima dall’inizio alla fine.

A proposito di disgrazie: c’è mancato non vedere Gaviria assieme agli altri big a giocarsi la vittoria, lui che alla Parigi Tours aveva mostrato oltre alle sue ormai riconosciute qualità in volata anche una condizione invidiabile. Si è ritirato dopo uno scontro violento quando però ormai era scivolato nella parte della corsa che non si sarebbe giocata la maglia iridata.

Davanti restavano una ventina di corridori poi unitisi ai fuggitivi di prima giornata che per qualche ora hanno vissuto un sogno, su tutti nominiamo il marocchino Ait El Abdia (giunto poi per 22esimo sul traguardo a 2’48”). Come già accennato l’azione decisiva è stata dei belgi: in 6 hanno rotto il gruppo e sono arrivati al circuito finale con un minuto di vantaggio. Ma non era tanto questo a fare la differenza quanto le energie fatte spendere ai pochi e poco convinti inseguitori, in un paio giri infatti il vantaggio è aumentato esponenzialmente e sono bastati pochi minuti per capire che dietro avevano mollato.

Tutto merito quindi dei vari Naesen, Roelandts, Stuyven e con l’entrata a Doha anche del nostro Bennati. E qui veniamo alla nostra tattica: intanto, assieme al Belgio eravamo i più presenti (4) ed avevamo portato con noi entrambe le nostre prime punte (Nizzolo e Viviani) e uno dei piloti da volata più forti del circuito, Guarnieri. E già solo per questo la nostra nazionale merita un voto positivo. Il problema che si è presentato poi era che nei 25 c’era gente che in una volata “classica” i nostri pur bravi velocisti non hanno molte chance di battere. Che fare allora? Sia i nostri che i belgi mi aspettavo provassero ad attaccare ai -20, poi ai -10, poi ai -5 perché era evidente sia per loro che per noi che battere in volata gente come Cavendish o Sagan, ma anche Matthews e Kristoff era molto dura. Uno di questi magari poteva essere battuto, ma tutti e 4?

Provarci, ma con chi? Come caratteristiche l’unico che poteva farlo forse era proprio Bennati (condizione favolosa la sua in questo finale di stagione) che però era stato speso per mantenere viva la fuga. A quanto pare toccava a Viviani, non proprio un finisseur, ma si faceva di necessità virtù: fatto sta che i 250+ km alla fine si son fatti sentire a tutti e soprattutto a lui e non è riuscito a fare il suo tentativo. Certo, sarebbe stato un tentativo disperato, ma andava fatto perché il mondiale conta vincerlo.

A bocce ferme non eravamo favoriti, siamo stati tra i più scaltri a farci trovare nel momento giusto al posto giusto e poi i nodi inevitabilmente sono venuti al pettine: voto sicuramente positivo per i nostri ragazzi e per chi li ha condotti, un pizzico di amaro ma forse non si poteva fare di più.

Le forze evidentemente non c’erano più per nessuno se gli unici a provarci sono stati gli olandesi e qui mi aspettavo qualcosa di più dai belgi (Van Avermaet?). Si è andati a fare la volata e allo showdown è emerso quello che è indiscutibilmente il miglior ciclista del mondo: una volata regale in cui c’è tutto, potenza dopo una corsa estenuante, sagacia tattica (a forza di secondi posti, si impara…), agilità e capacità di guidare il mezzo che lo rendono unico ed in queste condizioni francamente imbattibile.

Nizzolo ha fatto quinto, battendo i norvegesi Kristoff e Boasson Hagen (rumors riportano un post gara non proprio conciliante tra i due…): penso che a quel punto il campione italiano non potesse fare di meglio. Già per il podio sarebbe servito un mezzo miracolo. Podio che viene completato da due che forse rischiano di aver visto sfumare l’ultima occasione della loro carriera per vestire (di nuovo) la maglia iridata: Boonen (già bicampione del mondo) per sopraggiunti limiti di età (36), Cavendish (vincente a Copenaghen 2011) perché un circuito così forse non gli ricapiterà ancora e perché giovani velocisti crescono.

Cavendish che peraltro ha avuto modo di lamentarsi (senza alcun motivo valido) per una scorrettezza a suo dire subita nel momento in cui lui e Sagan si sono lanciati per la volata, chi dà una parte, chi dall’altra. L’inglese s’è trovato davanti Matthews più lento e con zero spazio per superarlo, un momento di incertezza che alla fine ha fatto la differenza tra avere la maglia che dura un anno e digrignare i denti appena dopo l’arrivo alla ricerca di qualcuno di incolpare.

Doha, Sagan imperiale

Sagan imperiale

azazelli

Da giovane registravo su VHS tutte le finali di atletica, mondiali ed olimpiadi, poi m'hanno cancellato il record di Donovan Bailey con Beautiful e mi sono dato al download. Vivo di sport, cerco di scriverne.

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11 risposte

  1. viverestanca ha detto:

    Su Sagan c’è veramente poco da dire. Troppo più forte di tutti sotto svariati aspetti.
    Per quel che riguarda il mondiale invece è inevitabile che si esplorino nuovi mercati, il Qatar è fatto magari tra un poco toccherà agli Emirati o al Kazakistan.

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