Il 2017 sportivo dalla A alla Z

Puntuali come il natale, o come il capodanno, eccoci qua a sintetizzare col nostro collaudato metodo alfabetico alcune storielle sportive dell’anno che sta finendo. Personaggi, numeri, eventi, tutto ciò che può essere infilato in questo elenco, che ogni anno ci diciamo che non rifaremo e che, invece, buttiamo giù puntualmente tra un panettone e l’altro. L’alba del 2017 è di quelle che scordi a fatica. La facciamo breve: 5 febbraio, Houston, Super Bowl numero 51, LI come andrebbe scritto in modo corretto. A nove minuti dalla fine del terzo quarto gli Atlanta Falcons sono in vantaggio di 25 punti sui New England Patriots. Finirà con la più grande rimonta di sempre in una finale NFL, per la prima volta terminata in overtime e con il quinto anello alla mano di Thomas Edward Patrick Brady jr. La stampa americana spingerà più che mai su GOAT, che per loro non sta, almeno in questo caso, per “capra”, ma per Greatest Of All Time, acronimo scomodando davvero solo per pochissimi atleti. Vero? Non vero? I numeri dicono così, ma forse non bastano solo quelli. Certo, quello compiuto da Brady e soci puzza di miracolo sportivo lontano mille chilometri e chiude un cerchio, forse non ancora completo, che ci consegna la più longeva e terribilmente forte dinastia del football americano. Una settimana prima, a Melbourne, si chiudeva il primo Slam ATP dell’anno. Lo ha vinto Roger Federer (sì, quello che ha 36 anni), battendo in finale al quinto Rafael Nadal (sì, quel Nadal, il solito…) raggiungendo il 18° titolo major in carriera (chiuderà l’anno a 19) e ritrovandosi in corsa per il trono di numero uno del tennis mondiale. GOAT? La parolina magica ha cominciato a girare nell’aria e, forse, il 2017 è stato un po’ così, per diversi motivi, l’anno dei migliori dei tempi recenti. E colmo di grandi flop…

2017: l'anno dei GOAT

2017: l’anno dei GOAT

A – a 70 anni morire per un incidente avvenuto mentre si guida un quad ha del paradossale, della beffa assurda. Forse non è così assurdo se ti chiami Angel Nieto, uno che la vita spericolata, sulle moto, l’ha vissuta e non cantata. Tredici titoli nel Motomondiale, 90 vittorie, 139 podi nell’era in cui le due ruote erano cavalli selvaggi che ti mettevano sotto il culo una potenza incontrollabile. Per molti, Angel, è stato il più grande di sempre. Probabilmente non è così, ma l’Olimpo lo accoglie a braccia aperte senza se e senza ma, nella sua completa follia di pilota.

B – Dicevamo in premessa? Ah, sì, la B di Brady, Tom Brady. Rimonta capolavoro al Super Bowl LI (record), vittoria in overtime, settimo Super Bowl giocato da quarterback titolare (record), quinto vinto (record), quarto MVP di un ultimo atto Nfl (record). E ancora gioca e proverà ad alzare l’asticella, perché i più grandi sono avvelenati di quella cosa che gli impedisce di smettere, che li fa sentire sempre a un passo da una nuova impresa, ogni volta come se fosse la prima. Ognuno ha i suoi gusti, preferenze e simpatie. Ma se non sei GOAT a questo punto, forse, non lo sarai mai. E’ che ci saremmo stufati di parlare di lui e delle sue vittorie, quindi la chiudiamo qua.

– come Champions League, per l’ennesima volta un’utopia per la Juventus. Il Real Madrid ne infila quattro e porta a casa la dodicesima “coppa dei campioni” della sua storia. I Blancos di Zidane sanno aspettare, contenere, proteggersi. Poi, nel secondo tempo, diventano delle furie e ammazzano una partita che la Juve aveva forse sentito sua un po’ troppo presto: vuoi per la maturità acquisita in questi anni, vuoi per l’esperienza che alla fine ti spinge oltre l’ostacolo, vuoi perché, semplicemente, la legge dei grandi numeri vorrebbe che prima o poi riesci dove non sei (quasi) mai riuscito. Invece Cristiano Ronaldo e soci riscrivono la storia sempre con lo stesso finale, vincendo per la prima volta due volte di fila la competizione da quando si chiama Champions Leauge. Magari, a prenderli uno a uno, non troviamo nemmeno un GOAT a Madrid, forse nemmeno CR7, giunto al suo quinto Pallone d’Oro; ma la squadra, la sua storia, la sua bacheca… spostiamoci tutti.

Ddonne a Lipsia dove, nell’indifferenza di chi non è appassionato, si svolgono i mondiali di scherma, meraviglioso sport che solletica l’interesse dello sportivo da divano soltanto durante le Olimpiadi. Tra le tante medaglie spicca l’oro della squadra femminile di fioretto. Passano gli anni, cambiano i nomi, ma questa rimane una corazzata inarrestabile, una dinastia che, pure tu Bill Belichick, spostati. Dalla stagione di Barcellona 92 guidata da Giovanna Trillini a oggi, quattro ori e un bronzo olimpici, quindici finali mondiali (undici vittorie) e otto titoli europei. Dimentichiamo sicuramente qualcosa, perché siamo tra quelli sul divano che si svegliano per le Olimpiadi e un po’ ce ne vergogniamo. E allora citiamo le ultime quattro reginette per farci perdonare: Alice Volpi, Arianna Errigo, Camilla Mancini e Martina Batini. Immense.

E – come eliminazione. La più brutta, inattesa, clamorosa. La nazionale italiana di calcio non disputerà i mondiali di calcio a Russia 2018, buttata fuori dai playoff nel doppio confronto con la Svezia. Gli azzurri perdono 1-0 in trasferta e non ribaltano al ritorno impattando in un pareggio a reti inviolate. Troppe sarebbero le cose da dire, tante le polemiche che sono esplose a seguito di questo tragico momento per uno sport italiano che fa uscire tutto il veleno di una crisi di sistema che raggiunge il proprio apice nel fallimento calcistico. Alla fine il sospetto è che non cambierà nulla, ma intanto mettiamo a referto, dopo due edizioni pessime (sempre fuori al primo turno) la seconda mancata qualificazione di sempre, la prima da 50 anni. Per par condicio rispetto allo scherma facciamo un nome anche qua, giusto perché è l’allenatore che deve prendersi la colpa, o almeno così vuole la tradizione. E anche perché Gian Piero Ventura, di colpe, sembra averne tante. In questo caso “goat” non è una sigla ma rappresenta perfettamente la figura fatta dalla nostra nazionale se venisse commentata da Vittorio Sgarbi.

La più grande delusione italiana del 2017

La più grande delusione italiana del 2017

FChris Froome è stato appena pizzicato all’antidoping e ancora non sappiamo, tra corsi e ricorsi, quale sarà la situazione che affronterà questo grande ciclista nel 2018, anno in cui vorrebbe prendere parte anche al Giro d’Italia. Restiamo all’ufficialità, comunque, perché nel 2017 Froome centra Tour e Vuelta (primo titolo), ma è soprattutto in Francia che imprime il proprio marchio: quarto titolo, terzo di fila come sanno fare le leggende, come fanno i più grandi. Sperando che questa storia possa essere raccontata esattamente in questo modo anche tra decenni e che non venga cancellata dal veleno del doping, come già accaduto, prendiamo solo ciò che è ufficiale e solo ciò che abbiamo visto. Un uomo solo al comando, fino a Parigi e oltre.

G – come Sergio Garcia, il golfista e non il calciatore. Dopo quattro secondi posti in un major del PGA, lo spagnolo riesce a trionfare nell’unico dove non era mai nemmeno riuscito a piazzarsi tra i primi tre. E che major. Il Major. The Masters, ad Augusta, dopo un drammatico playoff contro l’inglese Justin Rose. Garcia vince tre titoli PGA nel 2017, ne ha nove totali nel Tour, 29 in carriera. Non è mai stato numero 1 del ranking e, forse, non lo sarà mai. Ma ha una giacchetta verde nell’armadio che possono indossare solo quelli che hanno fatto qualcosa di grande.

H – A ventotto anni Marcel Hirscher, favoloso slalomista austriaco, vince la sua sesta coppa del mondo di sci nordico. Il fatto che sia la sesta consecutiva aggiunge “solo” un dettaglio pesante come un macigno ad una impresa già immensa di per sé e che toglie il primato di titoli vinti alla leggenda lussemburghese Marc Girardelli che trionfò nella classifica finale per cinque volte (l’ultima nel 1993). Sei titoli li aveva raggiunti solo la sua connazionale Annemarie Mroser-Proll nella coppa femminile, ma nemmeno lei era riuscita a infilarle tutte insieme una dopo l’altra. La tirannia di Hirscher è spaventosa per i numeri tanto quanto per la longevità, visto che nessuno dei grandi del passato, scomodando anche i nomi più mitologici, si era anche solo avvicinato ad un filotto del genere. Il massimo era stato di tre vittorie consecutive e lo avevano messo insieme Gustav Thoni, Ingemar Stenmark e Phil Mahre. Scomodiamo pure tutti i nomignoli del mondo, capre e caproni, ma oltralpe c’è qualcuno che ha riscritto la storia dello sci e il suo libro dei record.

I – come imbattibile. Sì, perché ci sono quelli che diventano “i più grandi di sempre” ma anche quelli che, pur non venendo considerati tali, sono imbattibili. Uno di questi è Floyd Mayweather, che ha concluso, o almeno così dice, la propria carrierea pugilistica, combattendo il 50° incontro da pro. Con la vittoria numero 50. Qualche anno fa ESPN lo inserì come il 48° migliore di sempre; non sappiamo se ora i ragazzi del network americano cambierebbero idea, certo è che il record rimane spaventoso, anche se concluso con un incontro un po’ troppo clownesco contro il campione di UFC Conor McGregor che, praticamente, non ci ha capito una mazza per tutta la durata del match. Mayweather supera così il grande Rocky Marciano che rimase imbattuto per 49 incontri ma non ebbe la fortuna di competere nell’epoca della UFC, delle sciocchezze televisive e degli incontri fuffa che pensavi esistessero solo nella saga cinematografica di Rocky (Balboa). Floyd è una macchina da soldi e un ottimo pugile, probabilmente non verrà mai ricordato come il migliore di sempre, ma quello 0 alla casella sconfitte è un’eredità scomoda per chi vorrà, dopo di lui, provare a riscrivere il libro delle stelle.

J – come Joshua, Anthony Joshua, uno che forse il libro delle stelle vorrebbe riscriverlo. Perché il pugilato, talvolta, è ancora uno sport vero, puro e regala grandissimi momenti. E così, chi non ha visto l’olimpionico britannico, nel frattempo salito a 20 vittorie consecutive tra i pro (e, ovviamente, zero sconfitte) battere Volodymyr Klycko per KO tecnico all’undicesima ripresa non sa cosa si è perso. E farebbe bene a recuperare la visione del match. Incontro spettacolare, tattico, potente e veloce, con Joshua che picchia meglio e di più e che alla quinta mette giù l’ucraino. Klycko si riprende, Joshua è stanco, si difende ma comincia a subire fino al crollo durante l’ottavo round. Sembra fatta, il britannico non ne ha più, è letteralmente alle corde. E invece… E invece si riprende eccome, si rimette a boxare a un buon livello e trova una combinazione perfetta alla penultima ripresa che piega l’avversario. Klycko va giù una volta. Poi una seconda. L’arbitro dice basta e Joshua riunifica la corona di campione del mondo dei pesi massimi per la IBF, la IBO e la WBA. Spettacolare.

K – in inglese ci sono i GOAT, ma possiamo anche parlare di qualche King ogni tanto, senza sigle: intendiamo proprio dire re. A volte le due cose si uniscono, come nel caso di Roger Federer, King Roger, che nel 2017, dopo un lungo periodo di stop, rinasce e stupisce il mondo. Oltre a dominarlo. Vince il quinto Australian Open e, soprattutto, l’ottavo Wimbledon. Ribalta la psicologia dei duelli con Rafa Nadal, dai quali esce vincitore quattro volte su quattro dominando lo spagnolo come mai gli era riuscito prima. Roger esce battuto nelle semifinali del Masters da David Goffin, ma chiude un 2017 straordinario con 7 titoli ATP e il secondo posto nel ranking. Giusto dietro a Rafa Nadal che non è da meno e vince il decimo Roland Garros ed il suo terzo US Open. Ma di anni, Rafa, ne ha “solo” 31 e in una carenza di talento come quella del tennis di oggi, sorprende (un po’) meno della rinascita dello svizzero. Ma è lui a chiudere numero uno. Decidete voi.

Il 2017 di Rodger Federer è la ciliegina sulla torta del GOAT

Il 2017 di Rodger Federer è la ciliegina sulla torta del GOAT

L – tutti lo chiamano Li, Signor Li, Mister Li. Forse perché pronunciare il suo nome completo, Li Yonghong, potrebbe suonare buffo alle nostre orecchie. Resta il fatto che il magnate cinese, ad aprile, ha portato a termine il celeberrimo closing che, al termine di una trattativa durata un anno, ha tolto il Milan dalle mani di Silvio Berlusconi dopo 31 anni e 29 trofei. Il gruppo cinese, che trasmette al popolo tifoso ancora più fumo che certezze sul futuro della squadra rossonera, piazza comunque 250 milioni sul mercato estivo. I risultati, per ora, non si vedono. La squadra non se la passa benissimo, Vincenzo Montella è già stato esonerato e Gennaro Gattuso non sta facendo meglio del suo predecessore. La Cina è vicina ma, insieme all’Inter, la Milano cinese del calcio, sembra abbastanza lontana dallo stabilizzarsi ai vertici del calcio italiano.

MMotoGp, motociclismo, moto, mondiale. Sono le parole che abbiamo sempre abbinato a Nicky Hayden, campione del mondo in classe regina nel 2006 e morto a Cesena il 22 maggio 2017. Nella più tragica delle beffe Hayden muore sì a causa di un incidente su due ruote, ma al momento dell’inatteso epilogo si trova alla guida di una bicicletta. Nella sua carriera in MotoGp solo tre vittorie, due a Laguna Seca e una ad Assen, nel 2006, quando vinse un impensabile titolo iridato e trasformò, improvvisamente, l’amico e rivale Valentino Rossi in un essere umano scalfendone la leggenda di invincibile e ponendo fine, momentaneamente, al suo dominio sull’asfalto della Classe regina.

NNeymar non sarà mai il più grande giocatore di sempre, forse, ma di certo passano da lui le speranze di rinascita della nazionale brasiliana. E quelle di vincere in Europa per il Paris Saint Germain che ha deciso di sborsare la folle cifra record di 222 milioni di euro per pagare al Barcellona la clausola sul contratto del talento carioca. Partendo dal presupposto che nessun giocatore può avere un valore così alto, Neymar è diventato l’acquisto più costoso di sempre prima ancora di essere il migliore sulla piazza. Anzi, prima ancora di avvicinarsi all’essere il migliore sulla piazza. La storia che verrà saprà dirci chi ha avuto ragione. Per ora, noi, pur riconoscendo il valore del giocatore, votiamo per il Barcellona.

O – L’ostracismo nei confronti di Colin Kaepernick non è bastato a impedire a decine di giocatori NFL di muovere la silenziosa protesta nei confronti del problema che gli afroamericani vivono ogni giorno negli States, soprattutto in rapporto alla questione della brutalità di certi poliziotti. Rimanere in ginocchio durante l’inno è a un certo punto divenuto quasi un obbligo morale per molti atleti all’interno del sistema della Lega gestita da Roger Goodell, tanto che persino alcuni proprietari hanno, in talune occasioni, deciso di appoggiare i propri giocatori nell’esecuzione della protesta. La cosa ha alzato un bel polverone, divenendo uno degli argomenti più discussi nel mondo della palla ovale e dello sport a stelle e strisce in generale, coinvolgendo persino il presidente Donald Trump che, sfruttando i social network, non ha lesinato critiche spesso durissime e qualche scivolone decisamente evitabile vista la carica ricoperta. Ma il personaggio Trump è questo e qualcuno lo ha voluto in quel posto; sul Presidente pesa il sospetto di una sorta di vendetta nei confronti della NFL (che per lui sarebbe dovuta intervenire cacciando, squalificando o fucilando questi traditori della bandiera) per via di una vecchia lega di football, di cui lui era tra i fondatori, miseramente fallita sotto il peso della potente corazzata della National Football League. Passata la bufera, comunque, il problema degli afroamericani non sembra risolto. Quello di qualche poliziotto dal grilletto facile nemmeno. E il buon Kaepernick, che per primo decise di far sentire la propria voce contro la violenza della polizia americana, è l’unico ad aver realmente pagato il prezzo della protesta, emarginato di fatto dalla NFL nella quale non trova più una squadra dove giocare, mentre ogni domenica assistiamo a prestazioni mediocri di quarterback con decisamente meno talento dell’ex 49ers. Quando politica e sport si scontrano troppo duramente sembra che ci sia sempre qualcuno che debba pagare un conto. A volte, come in questo caso, anche molto salato.

P – come piscina, e i mondiali di nuoto. A Budapest, per la XVII edizione del torneo, l’Italia pesca i jolly di Federica Pellegrini che, un po’ a sorpresa dopo le grigie Olimpiadi di Rio, torna sul gradino più alto del podio nei 200 metri stile libero. Contestualmente, Gregorio Paltrinieri, che è già il miglior italiano di sempre nei 1500 SL, bissa l’oro di due anni fa e, nel mezzo, ci ha infilato pure uno oro olimpico. Non vince gli 800, Greg, ma sul primo posto del podio ci sale un altro italiano: Gabriele Detti. Un tris perfetto che celebra uno dei momenti di miglior resa del nuoto italiano di sempre, eleggendo la reginetta Federica e il bravo Gregorio tra i migliori di sempre a indossare la cuffietta blu.

Q – come quarterback. Ok, vi avevamo promesso la classifica del miglior QB di ogni tempo, ma non vi avevamo detto quanto tempo ci avremmo messo. Del resto, in siti ben più importanti del nostro, con redattori ben migliori dei nostri (il nome con cui si firma, guarda caso, è Goat), ci hanno messo più di dieci anni per dirci che Michael Jordan è stato il più forte cestista di sempre. Come metterci 2017 anni per dire a un cattolico cosa succede il 25 dicembre, tipo. Scherzi a parte, non ce ne voglia l’ottimo Goat che, anzi, ha messo in piedi un lavoro fenomenale. Noi, ispirandoci a cotanta bravura, ci siamo presi il nostro tempo. Perché la storia va avanti. In ogni caso, al voto, ha vinto Tom Brady. Lo avreste mai detto?

RRaging Bull: il 19 settembre ci lascia Jake LaMotta considerato uno dei pugili più forti di sempre. Aggressivo, gran picchiatore, LaMotta combatté 106 incontri da professionista, vincendone 83 (30 per KO) e unificando la corona di campione del mondo dei pesi medi dal 1949 al 1951. Fu, tra le altre cose, il primo a riuscire a sconfiggere il grandissimo Sugar Ray Robinson, contro il quale comunque perse ben cinque volte, una delle quali nella fatidica notte del “massacro di San Valentino”, prima vera sconfitta per Jake prima del termine dell’incontro. Robinson massacrò letteralmente l’avversario che terminò lo scontro appeso alle corde e incapace di difendersi. Molti dicono che dopo quell’incontro, LaMotta, non fu più lo stesso, che in un certo senso non si riprese mai da quelle serie di pugni subite da Robinson. Nel 1980 Martin Scorsese diresse un sublime Robert De Niro in un capolavoro biocinematografico: sul grande schermo raccontarono la storia di Giacobbe LaMotta, conosciuto come Jake. Per tutti Raging Bull: il Toro Scatenato.

S – non è la prima volta che tocca citare Jordan Spieth alla fine di un anno sportivo ma il ragazzo americano, lanciato da un po’ verso la galassia dei più grandi golfisti di sempre, ha quest’anno portato a casa The Open, terzo torneo major della PGA messo in bacheca. A 24 anni Spieth è a un solo titolo dal Career Grand Slam, che sarebbe già suo se non fosse per il secondo posto del 2015 al PGA Championsip. Dopo il suicidio sportivo ad Augusta nel 2016 il texano rimette subito in fila tutti gli avversari ad un major e, nel 2018, l’assalto al tetto del mondo sembra pronto.

T – Dopo 786 partite nella Roma (307 gol) e 58 in nazionale (9), uno scudetto vinto coi Giallorossi, una Coppa del Mondo con gli Azzurri, si ritira Francesco Totti, Er Pupone de Roma, il più grande giocatore nella storia ad aver indossato i colori della squadra capitolina. Una carriera vissuta in punta di sciabola, con magie e polemiche che inevitabilmente si incrociano per chi ha un immenso talento e passa l’intera carriera a inseguire i sogni romani e le inevitabili polemiche sportive alla romanesca, invece che emigrare altrove per riempire il salotto di trofei. Frase banale ma vera: è l’ultima delle bandiere, di quelle vere, almeno per il calcio italiano, forse più di Gianluigi Buffon, per il quale contiamo i mesi. Totti ha attraversato almeno 4 generazioni di tifosi, giocando in un calcio in completa evoluzione, trasformando il proprio ruolo, adattandosi alla modernità e alle evoluzioni del soccer. Nel momento migliore della carriera ha giocato a livelli, per l’epoca, spesso vicini al top del mondo. Poi scivolava su sciocchezze evitabili, su prestazioni anonime quando era il momento di esplodere, magari in concomitanza con un Europeo o un Mondiale, il che non gli ha permesso di evitare immense polemiche da parte di tutta l’Italia non romanista. Ai piedi della Lupa bastava dire che l’amore non si contesta. A prescindere. Nemmeno a 40 anni, quando non hai più fiato e le gambe non seguono più la testa e il cuore. E’ uno dei pochissimi ad aver abbandonato il Santiago Bernabeu tra l’ovazione del pubblico Blanco e, forse, basterebbe questo a descriverne la carriera. Ma alla fine che importa? Totti è stato Totti e nessuno può raccontare favole diverse. Nove secondi posti in campionato sono forse il rammarico più grande per chi, troppe volte, è stato a un passo dal riscrivere una storia che non lo ha voluto assecondare.

2017: il ritiro di un grande

2017: il ritiro di un grande

U – il vantaggio dell’atletica è che i primati e i medaglieri individuali si prestano molto poco alle polemiche, alla dietrologia, al dibattito sterile. Un’occasione può essere casuale, una carriera infinita di medaglie (quasi sempre d’oro) e record no. E così il mostruoso 9.58 sui 100 metri, il 19.19 sui 200, 8 ori olimpici e 11 mondiali non ammettono replica. Usain Bolt è stato il più grande velocista di ogni epoca e, pensiamo, lo rimarrà a lungo. Nel 2017 decide di ritirarsi, dopo i Mondiali di Londra. Non è più lui, non ha più freschezza, esplosività, non quelle che lo hanno portato ad essere il tiranno della velocità per 10 anni. Finisce terzo nei 100, poi si infortuna. E’ un finale amaro, il canto del cigno, che lascia tristezza per come si consuma ma non cancella le imprese del Flash dell’atletica. GOAT, se ne esiste davvero uno, senza discussioni. E il suo ritiro ci obbligherà, nel 2018, a cercare qualcosa da mettere alla U perché la sua presenza, in questi tre anni, ci aveva permesso di ripiegare sempre sulla voce più scontata: quella di Usain.

V – la Vuelta è l’ultima grande corsa a tappe della stagione ed è lì che Alberto Contador ha deciso di concludere la propria carriera nel ciclismo, con la pettorina “numero uno”, nel tentativo di chiudere trionfalmente in casa propria. Arriverà solo quinto, non dopo aver regalato ai suoi tifosi una impresa memorabile sull’Alto de l’Angliru scappando al gruppo all’inizio della salita. Lascia il ciclismo come uno dei sei della storia ad aver messo a referto almeno una vittoria in una delle tre grandi corse a tappe: Giro, Tour e Vuelta. Non male.

W – i Golden State Warriors sono ormai ospiti fissi in questo riassuntone alfabetico di fine anno. Del resto tre finale NBA consecutive non sono robetta. E se un anno fa si discuteva di come l’inseguimento del record di vittorie in stagione regolare fosse stato probabilmente deleterio per le teste e le gambe del quintetto di Oakland, quest’anno riportiamo che nella “bella” con la solita Cleveland di LeBron James, i ragazzi di Steve Kerr hanno lasciato agli avversari giusto le briciole: 4-1 nella serie e quinto anello nella storia della franchigia. In estate era arrivato Kevin Durant, giusto per mandare un messaggio a tutta la Lega, per sottolineare che no, quella sconfitta non era stata digerita e che GS ci avrebbe riprovato con ancora più forza a roster. Da lì in avanti i Warriors hanno saputo gestirsi meglio, non hanno puntato a nessun record da invincibili ma si sono concentrati sull’obiettivo finale, su ciò che alla fine resta per sempre: il titolo di campioni. E, alle Finals, come previsto ci sono arrivati, più forti e “freschi” dell’anno prima. Nessun finale al cardiopalmo, nessun cronometro che corre verso lo zero in una Gara 7 ormai dominata dai nervi, ma una grande dimostrazione di forza che piega i Cavs in modo netto e definitivo. In attesa della quarta sfida, ovviamente.

X – quando si arriva a questa lettera è sempre un dramma. Non sai mai cosa mettere. Poi ti viene in mente che la X la usi anche per cancellare, per mettere “una croce su” ed eliminare. Due colpi secchi di penna, due diagonali che si incrociano ed annullano quello su cui vanno a poggiarsi. E’ con una X, sofferta ma attesa da mesi, che il Tribunale fallimentare cancella il Modena FC dopo 105 anni di storia senza macchia, sempre giocando nel professionismo. E’ servito il lavoro di Antonio Caliendo, ex procuratore, tra gli altri, di Roberto Baggio, a cancellare con una gestione oscena, più di un secolo di storia, tra una promessa di mercato (David Trezeguet) e un’accusa ad un sistema inventato da lui che ha tradotto tutto in farsa. Una farsa che si è protratta per due mesi, in Serie C, tra sconfitte a tavolino e falsi annunci di cessione delle quote societarie (tirato in ballo persino un inconsapevole barista cinese tra i tanti interessati all’acquisto della squadra). Ora, nel Girone B della Serie C, è rimasto un buco. E’ bastato tirare una X per crearlo.

Y“You are ridiculous!” E’ una frase che dirà poco o nulla a tantissimi di voi, ma dice moltissimo ai supporter dei Chicago Bears. E’ la firma che Jeff Joniak, radiocronista ufficiale della franchigia dell’Illinois, ha posto al termine di ogni pallone riportato in meta da Devin Hester, macchina da guerra come returner in NFL che a dicembre ha ufficializzato un ritiro dal football nei fatti già in essere. Arrivato dall’università di Miami come cornerback, Hester si presentò alla NFL riportando in meta un punt già all’esordio nella Lega contro i Green Bay Packers. Da lì in poi ha rivoluzionato il ruolo e, in parte, il gioco, obbligando le squadre avversarie a spedire i palloni allontanati con un punt fuori dal campo. Trasformato in ricevitore ha comunque continuato ad essere un’arma letale sui ritorni, attimi mai davvero così attesi e pieni di tensione e aspettative come quando a ricevere un calcio c’era il numero 23 di Chicago. Ha piazzato undici record NFL con gli special team, divenendo il primo nella storia a riportare in meta sia un kick off, che un punt che un field goal sbagliato dagli avversari (108 yard contro i NY Giants nella stagione d’esordio). Grazie a quella prestazione i suoi 20 TD su ritorno sono il record di mete segnate in situazioni non offensive da un singolo giocatore NFL. Il meglio, ovviamente, prima che le squadre condizionassero il proprio sistema e la NFL cambiasse qualche regola; le prime due stagioni contano 6 TD per anno, record in singola stagione per il football americano, cui si aggiunge la meta sul kick off di apertura del Super Bowl poi perso dai Bears contro gli Indianapolis Colts. Si è ritirato il più grande returner di sempre, colui che a un certo punto fece temere alla NFL di dover stravolgere il giochino. Nel comunicato del ritiro si è rivolto in apertura a Roger Goodell tranquillizzandolo sul fatto che, ora, potrà dormire sonni tranquilli e riportare il punto di calcio sui kick off indietro di cinque yard. Dando appuntamento a tutti a Canton, nella Hall of Fame.

Z – ci dicevano che Ivan Zaytsev fosse il più forte giocatore della nazionale italiana di pallavolo. Non sappiamo se sia così, ma ci è parso di intendere che la questione non sia poi così lontana dalla realtà. Di certo c’è che lo Zar, coinvolto nel cosiddetto “shoegate”, è probabilmente il primo atleta della storia a non partecipare ad un grande competizione per via delle… scarpe. Nel senso che prima si è fatto di tutto per naturalizzarlo e mettergli addosso la maglia azzurra, poi non lo si può convocare agli europei perché le scarpe che ama indossare lui non sono della stessa marca con cui la Federazione ha firmato un accordo commerciale per la nazionale di volley. Saremmo all’assurdo se non fosse il semplice ridicolo a dominare la scena. Una Federazione che decide di firmare accordi commerciali che impongano ad ogni atleta di indossare un determinato tipo di scarpe, arrivando all’eliminazione dalla rosa di un proprio atleta è una Federazione che ha decisamente qualche problema. Non sta a noi giudicare, perché poco conosciamo questo sport, poco sappiamo della vicenda e del sistema di accordi tra federazioni e aziende sportive. E’ certo però che siamo al punto in cui pare che siano gli accordi commerciali che fanno le convocazioni, al brand che decide la squadra da schierare in base a ciò che metti ai piedi. Siamo alla frutta e non so se ce ne siamo accorti. O forse siamo noi ad essere pessimisti ed aver frainteso. Ma alla zeta qualcosa andava messo.

Buon 2018, qualunque scarpa indossiate.

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