Il cronista, il matchmaker e il manager

Cosa succederebbe se prendessimo Mike Goldberg, Joe Silva e Malki Kawa, li chiudessimo in una stanza e li lasciassimo picchiare fra di loro per 7 giorni consecutivi? Dalla poltiglia di resti umani e fluidi corporei nascerebbe una nuova mitologica creatura: il Dandi.

Illustrazione di Andrea Stavola

Il Dandi è una creatura schiva, difficile da vedere. Tutti sanno chi è, ma nessuno lo conosce realmente. Probabilmente molti di voi lo conosceranno per quella cosa che fa, l’arte di mettere insieme una contro l’altra le creature conosciute volgarmente come fighter in una gabbia ottagonale e farle picchiare fra di loro. Il Dandi, inoltre, ama commentare queste crude battaglie, piazzandosi ogni weekend dinnanzi ad un microfono spiegando anche al volgo — come se non bastasse — le tecniche che le suddette creature usano per sconfiggere il proprio avversario.

Ora, però, il Dandi ha raggiunto il terzo ed ultimo stadio di trasformazione, diventando anche un manager e mietendo già le sue prime vittime: Giorgio Pietrini (pesi welter 6-4-0), Stefano Paternò (pesi welter 6-1-0), Federico Mini (pesi piuma 5-0-1), Pietro Penini (pesi medi 5-0-1-1), Manolo Zecchini (pesi leggeri 5-0-0) e Alessandro Botti (pesi welter 12-7-0).

Dopo anni di sforzi e di ricerche, siamo riusciti a trovare questa mitologica creatura.


Partiamo dal principio, come hai conosciuto le MMA?

Sono sempre stato appassionato, da che io ricordi, fin da bambino, di arti marziali e di tutto ciò che erano “le botte sportive” anche se sono un non violento. Bruce Lee, Muhammad Ali hanno formato il mio immaginario, poi è venuto il puroresu, il pro wrestling giapponese (che allora chiamavamo impropriamente catch) con i vari Antonio Inoki, Hulk Hogan e soprattutto con il primo Tiger Mask ovvero Satoru Sayama. Parallelamente ero appassionato di judo, karate, boxe e come tanti ho provato a praticare fin da bambino ed adolescente. Le MMA, in quanto tali, sono piuttosto recenti, ma io ovviamente, interessato a “le botte sportive”, leggevo riviste, compravo manuali di ogni tipo. È così che mi sono avvicinato al catch wrestling ed è così che ho scoperto che Satoru Sayama aveva fondato la Shooto in Giappone, dove si gareggiava utilizzando un misto di arti marziali. Erano gli anni ’80 ed a quei tempi compravo riviste come Samurai e Banzai Pugilato, con la quale ho brevemente collaborato ancora minorenne. Nell’estate del ’94 a Londra mi trovo quindi in mano una VHS di UFC 2. Sapevo cos’era, ma non l’avevo ancora vista. Da lì è iniziato un lungo percorso fatto di passione che mi ha portato dove sono oggi passando anche per la pratica sportiva da amateur di MMA e grappling tra il 2006 ed il 2014.

Come sei arrivato dal commento, al matchmaking ed ora al management?

Al commento ci sono arrivato tardi, nel 2010, con un curriculum fatto di tanta gavetta con circa vent’anni da speaker radiofonico in realtà regionali, comprese un paio di anni di trasmissioni di basket e calcio serie A per farmi le ossa poco prima del mio ingresso nella tv nazionale. Ho preso qualche porta in faccia, poi a fine 2009 sono riuscito ad ottenere un agognato provino da telecronista per UFC su Sky. Di quel primo periodo devo ringraziare sempre Luca Franchini, commentatore WWE e mio grande amico, che mi ha dato tanti preziosi suggerimenti su come far risaltare la mia preparazione e la mia professionalità all’interno di una azienda enorme come Sky. Fondamentale è stato anche l’allora direttore Fabio Guadagnini che mi ha dato fiducia prima per Sky e poi per FOX Sports. Ora invece lavoro sotto la guida di Marco Foroni, direttore di FOX Sports, che mi sta dando costantemente nuovi stimoli ed opportunità. Al matchmaking sono arrivato per gioco, anche per necessità, fondando Venator FC insieme a Frank Merenda, ma non è ancora una professione, ovviamente. Il management è la mia sfida più recente, la sto affrontando da piccolo imprenditore e vedremo dove mi porterà.

Sei stato tu a scegliere i “tuoi” atleti o loro hanno scelto te? Quali sono stati i criteri di scelta?

Ci siamo scelti vicendevolmente. Il rapporto umano è e sarà fondamentale sia con gli atleti che con tutto lo staff. Sappiamo tutti che è una sfida importante e ci siamo dati obiettivi alti. In ogni caso voglio con me solo atleti davvero determinati, pronti a dare anima e corpo per questo sport e per raggiungere grandi traguardi. Gli indecisi non fanno per me. Questo è l’unico vero criterio di scelta che ho.

Ti fermerai a questi sei o conti di aumentare il numero in futuro?

Premesso che nulla di quello che faccio è casuale e tendo a ragionare su una visione ampia e a lungo termine, ti posso svelare che nei miei piani c’è l’idea di espandere il management, ma senza fretta. Al momento concentrerò il mio lavoro su questi sei. Ogni giorno ho proposte di atleti che vogliono essere seguiti, ma vale quanto ho detto prima: ci dobbiamo scegliere vicendevolmente e voglio solo atleti determinati a spaccare il mondo.

Come abbiamo detto prima ti occupi anche di matchmaking, come farai a svolgere i due ruoli contemporaneamente? Qualcuno potrebbe pensare che i match per i tuoi atleti siano organizzati ad hoc per “pompare” il loro record.

Ovviamente ho pensato lungamente a questa problematica prima di lanciarmi nel management ed alla fine mi sono detto: “Si pensi quello che si vuole, ma so che questa è la cosa giusta da fare e so di avere la rettitudine morale ed etica per farla nel modo giusto”. Nello specifico l’Europa ed il mondo delle MMA sono piene di promotion dove il matchmaker è manager di alcuni atleti. Negli Stati Uniti non si può fare per legge, ma nel resto del mondo non ci sono queste regole. Se in futuro entreranno in vigore in Italia leggi così restrittive sarò il primo ad adeguarmi, ma finché siamo in quest’area pionieristica non vedo perché dovrei auto-impormi dei limiti. Credo che il CONI dovrebbe prima riconoscere le MMA come sport e poi possiamo iniziare a parlare di normative. Pensa che io ho dovuto far redigere dei contratti ad hoc per gli atleti sotto contratto con me, pagando numerose consulenze legali, perché ovviamente non esiste alcuna normativa in proposito riguardo gli atleti di MMA professionisti italiani.

Detto questo io darò ai miei atleti i match più duri possibili e continuerò a dare agli altri atleti che parteciperanno ai miei eventi le stesse identiche opportunità, se non superiori se dovessero meritarlo. Sarebbe controproducente per Venator, e per gli altri eventi che curo, se mi comportassi diversamente e sarebbe assolutamente deleterio per la mia immagine, quindi non mi farò questo autogol. Poi ovvio che che chi vorrà criticarmi e pensare male potrà sempre farlo ma, concedimi l’inglesismo, who gives a fuck?

Credi che questa tua nuova veste andrà ad inficiare il lavoro da cronista? Le due cose proseguiranno di pari passo o deciderai di dedicarti solo a questa tua nuova avventura?

Assolutamente no. Perché una professione dovrebbe inficiare l’altra? C’è forse una legge che vieta ad un libero professionista di avere più clienti? Il lavoro di telecronista mi occupa diverse ore a settimana, prevalentemente di notte e nei fine settimana, ma mi lascia un buon margine per fare altri lavori. Il telecronista resta il mio lavoro principale, ma fortunatamente lo svolgo affiancato da uno staff di produttori e tecnici di alto livello.

Il mio lavoro come manager, invece, è auto organizzato, ma allo stesso tempo delegherò molte cose ad uno staff di altre due persone che mi aiuteranno in questa prima fase. Non faccio tutto da solo insomma ed organizzo bene il mio tempo. Quando poi, magari, uno dei miei atleti arriverà in UFC, sarà ancora più bello commentare tifando per lui, esattamente come già faccio ora per Alessio Di Chirico e Marvin Vettori, gli italiani in UFC. Per linea editoriale, infatti, non tifo per nessun atleta, ma per gli italiani sono invece incitato a farlo anche a livello di scelta editoriale, quindi davvero nessun problema formale o etico nello svolgere entrambe le professioni.

Farai combattere i tuoi atleti anche in eventi non Venator o comunque non affiliati a Venator?

Non esistono affiliazioni a Venator, chi combatte in Venator lo fa per scelta, proponiamo solo contratti di un match alla volta. Per quanto riguarda gli atleti di cui sono manager le strade da seguire saranno diverse e non necessariamente legate a Venator, anzi per loro cercherò le migliori opportunità economiche e sportive in tutte le promotion italiane o mondiali di qualità.

La metà dei fighter che attualmente ha firmato con te rientra nella categoria dei pesi welter. Come ti comporterai nel matchmaking in questa categoria?

Ti sbagli, ho 2 welter su 6: Pietrini e Paternò (Alessandro Botti tornerà a competere nella sua categoria, nei pesi leggeri [NdA]). In ogni caso non sarà un problema. Se dovranno incontrarsi, si incontreranno e che vinca il migliore. L’ho fatto scrivere a chiare lettere nei contratti di entrambi che non favorirò nessuno dei due. Idem se un domani dovessero essere tre o trenta.

Qualche settimana fa hai detto che nel 2017 potremmo vedere altri due atleti italiani in UFC. Senza sbottonarti troppo, puoi dirci se ti riferivi ad almeno uno dei tuoi atleti? Che obiettivi vi siete proposti tu e i tuoi ragazzi?

No, non era riferito a nessuno dei miei atleti. Non so quanto siano vicini a UFC realmente, ma sono due nomi caldi al momento sotto contratto management stranieri. I miei atleti sono più giovani di quelli ora di interesse per UFC, hanno grandi ambizioni ed io farò di tutto per aiutarli perché sono altrettanto ambizioso. Come si dice? Sky is the limit. Per quanto mi riguarda in quattro anni ne voglio piazzare quattro in UFC. Voglio fare un poker. Obiettivo molto arduo, ma tentar non nuoce, no?

Perché c’è tutta questa differenza fra i record “che contano” — vedi Sherdog — e quelli reali?

Perché in Italia ci sono stati molti promoter che non si sono premurati di spedire una mail in inglese corretto secondo le istruzioni date da Sherdog per far registrare i match degli atleti. La realtà è che pretendiamo che gli atleti si comportino da professionisti, ma molto spesso sono i promoter stessi che ancora non sanno fare i professionisti. Per fortuna però la situazione sta migliorando, in fondo si tratta solo di mandare una mail compilata in modo corretto in inglese scolastico, non è assolutamente difficile.

Molti atleti italiani sono “costretti” ad andare all’estero per poter entrare nell’elite dei fighter internazionali. Riusciremo ad avere coach, team e strutture consone anche in Italia prima o poi?

Su questo punto, non essendo io né un coach né tanto meno il titolare di un team, non ti so rispondere con precisione. L’idea che mi sono fatto è che le strutture si possano adeguare facilmente con meri investimenti economici che arriveranno gradualmente con la diffusione dello sport. Per quanto riguarda la preparazione dei coach credo ce ne siano di più preparati e di meno preparati, ma comunque la situazione sta migliorando. Ce ne sono alcuni che studiano e si aggiornano costantemente con camp all’estero ed altri che improvvisano, ma la selezione sarà naturale perché parleranno i risultati che conseguiranno i loro atleti. Al di là di tutto, quello che manca davvero in Italia sono gli sparring partner di alto livello per gli agonisti pro e non credo sia una situazione che cambierà a breve. È una situazione difficile anche per altre nazioni, non solo per l’Italia, in fin dei conti la grossa concentrazione di pro di alto livello è negli Stati Uniti, in Brasile, in Russia, in UK e in nord Europa. Tutti gli altri si arrangiano come possono viaggiando tanto.


Il tempo a disposizione con questa schiva quanto affascinante creatura è terminato e la lasciamo ritirarsi nei complicati labirinti di Fox Sports.

Voi, però, potete continuare a seguire le sue gesta cliccando sui link in basso.

Facebook: Alex Dandi

Twitter: @alexdandi

Phre

Misantropo, cinico e sociopatico. Traduco serie TV. Marito di mio figlio, padre dei miei cani, figlio di mia moglie. Knickerbocker. Mi fingo esperto di MMA.

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