Le 21 lezioni del Giro 100

21 lezioni sparse che abbiamo ricevuto da questo Giro d’Italia:

  1. Non era la prima volta che si chiudeva con una cronometro (la 18esima); non era la prima volta che proprio a causa della crono la maglia rosa cambiasse all’ultima tappa (la terza, dopo le ruote lenticolari di Moser e il cingolato di Hesjedal); è stata la prima volta di un olandese con il trofeo senza fine e nessuno l’aveva messo nemmeno nei primi tre nei nostri pronostici iniziali. A proposito di olandesi un pensiero va anche a Kruijswijk che, a differenza di Dumoulin, forse dopo l’anno scorso non avrà più una occasione del genere.
  2. Progetti per il futuro Tom? “Birra, grigliata e tutto il resto”, più che meritato. Ma per tutti eh: Hugh Carthy e Joe Dombrowski non ce l’hanno mai avuta una nonna che si preoccupava per loro che non mangiavano?
  3. Avrebbe potuto decidere il Giro e sarebbe passata alla storia, così invece magari tra qualche anno ci dimenticheremo della “chiamata della natura” come l’ha ribattezzata Dumoulin. E dire che era recidivo, l’anno scorso al Tour prima di iniziare la salita del Peyresourde fu costretto ad andare dentro ad un camper. In RAI se la sono persa in diretta e dire che quelli che vanno sempre in pubblicità sono gli altri…una volta tanto che la merda in tv avrebbe avuto pure senso…(per dirla alla René Ferretti, da Boris)
  4. Ad un certo punto della battaglia dialettica che nemmeno Dante Alighieri contro Guido Cavalcanti, qualcuno ha nominato la parola “karma“: il karma ha mille sfaccettature, talmente tante che poi riesci a giustificare tutto e il suo contrario evocandolo. Ecco Nibali aveva sottovalutato che il karma aveva tolto una Vuelta a Dumoulin alla penultima tappa (ultima significativa) 2 anni fa, prima o poi il karma avrebbe pareggiato il tutto con una vittoria in extremis.
  5. Quintana e Nibali sono i grandi sconfitti, potevano digerire l’arrivare secondi uno dell’altro, ma non venir battuti da uno “sbarbatello” alla seconda grande occasione della carriera in un GT. L’averlo fatto per di più con così pochi secondi lascerà ai due parecchi rimpianti, tutti ben visibili sul podio finale. Di Nairo resterà l’ascesa sul Blockhaus, di Vincenzo, oltre al premio “miglior impresa” (???), la discesa dallo Stelvio:

  6. È stato un giro caldissimo, probabilmente non spettacolare, sicuramente teso fino alla fine e tanto tanto faticoso. Pensate alla Movistar, avevano uno squadrone e hanno lavorato tutte le tappe come matti, pensate alla tappa del doppio Stelvio, quando Quintana non ha attaccato ed era tutto apparecchiato, pensate ai “vaffanculo” che sono poi volati sul pullman…
  7. E poi ci son cose che non abbiamo ancora capito: era colpa della moto? Era colpa del gruppo? Era colpa del fato? Chi ha rovinato il Giro della Sky? Ma soprattutto Geraint Thomas avrebbe potuto dire la sua in un GT?
  8. Probabilmente non fosse stato ormai certo di vincere la maglia ciclamino, anche Gaviria avrebbe salutato tutti prima di Oropa. “Costretto” a restare è stato anche utile tra cambi in pianura e borracce da portare. Bravo. Ancor più bravo Sam Bennett che non aveva nemmeno la “scusa” della maglia e la necessità di lavorare per i compagni.
  9. La qualità delle fughe: alcuni volenti (Rolland), altri nolenti (Landa), ci sono stati fior fiori di corridori finiti fuori classifica e da lì costretti a dare spettacolo con azioni da distante alla ricerca di una vittoria di tappa di qualità. Rolland, Landa e Van Garderen ci sono riusciti. Rui Costa no. Curioso che la vittoria di Landa sia arrivata nel giorno in cui in realtà aveva perso il treno della fuga iniziale, poi annullata con l’azione in discesa dei Movistar/FDJ/Bahrain/Katusha.
  10. A proposito della RAI, una lezione per loro: sembrerà bizzarro, ma la gente che si collega in TV per vedere il ciclismo vuole vedere il ciclismo. Trasmettere “La grande COSA” al posto dell’ascesa sullo Stelvio è stat….(mi sono cadute le braccia non riesco a terminare a digitare la frase).
  11. Una lezione pure per chi l’ha disegnato, non azzardatevi più a mettere il Mortirolo ad inizio tappa…io non l’ho trovato scandaloso, ma vox populi, vox dei.
  12. Sarà stato per l’edizione 100, sarà perché si sono toccate zone raramente raggiunte, ma c’è stata davvero tanta gente per le strade del Giro: curiosi, appassionati, malati di ciclismo, malati di protagonismo, amici di infanzia…il Giro d’Italia (e il ciclismo in generale) è davvero qualcosa di coagulante. Vederli passare ti riporta bambino.
  13. Abbiamo imparato che se hai una volpe imbalsamata, puoi correre anche al di là delle transenne.
  14. Una cosa che ho imparato negli ultimi anni è che vederli passare vale davvero la pena, lasciate stare il fatto che “poi non so chi ha vinto, alla fine non vedo nulla, e se non attaccano dove sono io?!”, se vi piace il ciclismo andate per strada, non ve ne pentirete: guardate i corridori, non la corsa. (E poi ormai c’è lo smartphone! Radiocorsa nel 2017 viaggia sulle onde medie di whatsapp).
  15. Abbiamo imparato a conoscere corridori che forse già dalle prossime corse spariranno, ogni edizione ha i propri “feticci”, oggetti di culto, magari tra 20 anni ci sarà qualcuno che racconterà “ma ti ricordi Jan Hirt? Quel Giro stava sempre attaccato ai migliori, che hanno era? Il 2019?” o magari cadranno nel dimenticatoio ma per queste tre settimane sono stati comunque al centro del loro sport: la maglia nera Giuseppe Fonzi, la prima maglia rosa e la fagianata di Lukas Postlberger, Van Emden, specialista della crono, che a 32 anni si toglie la soddisfazione più grossa.
  16. Poi c’è Maxime Monfort, il ninja, uno che va al di là del concetto di “feticcio”. Ecco appunto ma c’è Maxime Monfort?

    Dicono sia Monfort…

  17. I ciclisti sono dei personaggi mitologici, riguardate Bob Jungels che vince a Bergamo, quello non è un ciclista, quello è una gallinella che sbatte le ali pensando che un giorno potrà volare…ed intanto si “accontenta” di vincere la maglia bianca. Seconda ed ultima al Giro d’Italia, prima di….spiccare il volo verso colori più accesi…
  18. Il gregario è l’anima del ciclismo, questo lo abbiamo imparato molto presto. E allora giusto celebrarne uno dei migliori che si ritira e che ha corso l’ultimo Giro sulla soglia dei 40 anni.

  19. Il ciclismo è memoria:

    Eravamo 4 amici al Bar del ciclismo

  20. Il ciclismo è memoria e sentire Magrini che imita alla perfezione De Zan (“Perrrrletto”), ricorda la sua vittoria al Giro 1983 (di cui non si hanno immagini, ma noi comunque ci fidiamo) e racconta di quella volta che rifecero un arrivo di una corsa perché la RAI non l’aveva ripreso è qualcosa di magico… (guardare il video dal 7:32 per credere…)
  21. Il ciclismo è memoria e Luis Leon Sanchez che passa primo sul Mortirolo, salita Scarponi 2017, è tutto.

azazelli

Da giovane registravo su VHS tutte le finali di atletica, mondiali ed olimpiadi, poi m'hanno cancellato il record di Donovan Bailey con Beautiful e mi sono dato al download. Vivo di sport, cerco di scriverne.

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