Ryan O’Callaghan: football saved my life

Ryan O’Callaghan è stato uno di quei giocatori di cui solo i fan più accaniti si ricordano, anche se il suo l’ha fatto in NFL e solo gli infortuni ne hanno limitato la la carriera, uno di quegli atleti borderline in una franchigia di football che pochi conoscono bene, in verità in pochi, forse nessuno, conosceva bene fino a qualche giorno fa quando ha rivelato al mondo esterno (chi era vicino a lui l’aveva già saputo) di essere omosessuale in un bellissimo articolo, molto emozionante, uscito su outsport.com ad opera di Cyd Zeigler.

Ryan, che in NFL ha giocato per i Patriots e per i Chiefs e al college in quella California in cui i protagonisti erano Aaron Rodgers e J.J. Arrington, è cresciuto a Redding, vicino San Francisco, un posto che solitamente è considerato molto aperto e che vive la diversità con grande normalità. Ma Redding è una città diversa, neanche 100.000 abitanti immersi nella quiete e nella maestosa bellezza dell’ambiente del nord della California, la società è molto più conservatrice e l’adolescente Ryan è stato cresciuto con l’immagine dell’omosessualità come una malattia, una cosa insopportabile, da nascondere assolutamente. Quindi quando all’high school si rese conto di essere gay, lo confessò a sé stesso, si rese allo stesso momento conto di non poter vivere con tranquillità questa sua situazione, di doverla nascondere a tutti quelli che lo circordavano perchè altrimenti si sarebbe suicidato.

In quello stesso periodo però, lui figlio di arbitro di football al college e all’HS, iniziò anche a giocare perché i suoi amici lo facevano e lui iniziava a crescere esponenzialmente. Gli allenatori vedevano in lui un interessante uomo di linea offensiva. Ryan si accorse quindi che far parte di una squadra di football era il miglior modo per nascondere a tutti la sua omosessualità! Chi penserebbe mai che il football (forse lo sport in generale) è per i gay no? È questo che ci hanno insegnato. A tutte le latitudini e per quasi tutti gli sport. Un uomo così grosso che gioca a football non può essere gay! Aveva trovato la soluzione perfetta per nasconderlo agli altri e andare avanti, e quindi fece un patto con sé stesso: finché avrebbe giocato, finché avrebbe indossato le protezioni, avrebbe continuato la sua recita, una volta finito avrebbe preso una pistola e si sarebbe sparato in testa! Non poteva vivere come gay.

Ryan O'Callaghan ai tempi di California

Ryan O’Callaghan ai tempi di California

E quindi si dedico con tutto sé stesso a giocare, senza mai dimenticare lo studio, facendo subito enormi progressi anche perché il football era diventato il suo scopo di vita e doveva perfettamente rimanere concentrato. Non era facile la vita negli spogliatoi tra adolescenti che usano con tranquillità parole come “frocio” e “ricchione” per sfottere gli altri, ma doveva resistere a tutto se voleva continuare a vivere. E poi le ragazze stavano sempre intorno ai giocatori e quindi diventava più facile nascondersi ed evitare domande scomode se ogni tanto lo vedevano in compagnia di qualche ragazza. Iniziò anche a masticare tabacco alla ricerca dei luoghi comuni più “mascolini”.

Intanto però migliorava sempre di più e gli scout iniziarono ad accorgersi di lui e l’università di California gli offrì una borsa di studio: poteva continuare a giocare a football e vivere. E lo fece così bene che dopo 4 anni di college era considerato addirittura un prospetto da NFL grazie anche alle attenzioni che gli scout riponevano sull’uomo che lui doveva proteggere, Aaron Rodgers, che era anche un suo ottimo amico. Entrare in una squadra NFL per quasi tutti i suoi compagni ed avversari al college rappresentava un sogno, un obiettivo, per lui era molto più importante, significava rimandare ancora il momento in cui premere il grilletto e farla finita.

O’Callaghan fu scelto al quinto giro dai New England Patriots e forse non gli poteva andare meglio perché finiva in un ambiente in cui non c’erano distrazioni, tutto era focalizzato sul vincere sempre e comunque e c’era poco tempo per altri discorsi. E poi l’ambiente dell’NFL era un po’ più maturo, non venivano usate espressioni offensive sui gay negli spogliatoi (almeno questa è stata la sua esperienza), solo che l’argomento sesso era sempre ben presente e ogni tanto si è trovato a dover mentire di avere una fidanzata a casa, in California, per cercare di troncare i discorsi. E nel frattempo beveva caffè, molto caffè, cercando di perdere tempo in spogliatoio ed evitare di stare troppo tempo nelle docce con i suoi compagni. Una volta fu invitato ad una cena di gala da parte del proprietario Kraft e convinse una sua ex compagna a Cal ad andare con lui per evitare di presentarsi da solo e quindi che qualcuno potesse fargli domande pericolose.

Dopo 2 anni in cui giocò anche molto bene (c’era anche nell’anno della quasi perfect season) gli infortuni iniziarono a non dargli tregua: prima un anno in IR e poi, ad inizio 2009, la decisione dei Patriots di lasciarlo libero. Il conto alla rovescia stava per scadere? Scott Pioli però era appena diventato General Manager di Kansas City e tra i giocatori di New England da portare con sé scelse anche il buon Ryan che si vide così offrire un nuovo contratto e la possibilità di spostare le lancette di quel dannato orologio. Poco dopo l’inizio della stagione 2010 però le cose peggiorano di nuovo: altro infortunio, posto da titolare perso e poi il vecchio infortunio alla spalla dei tempi dei Patriots che ritorna a farsi sentire al training camp del 2011. Di nuovo in injury reserve. Di nuovo il tempo che sembra stia per scadere.

La sua carriera NFL stava per finire, forse era già finita, Ryan sentiva il vuoto intorno a lui e cerco di riempirlo con gli antidolorifici, prima pochi, poi sempre di più (addirittura 30 Vicodin in un giorno): un uomo normale sarebbe già morto, e probabilmente era quello che il suo subconscio stava cercando di fare. Sarebbe stato più facile così. E comunque almeno non sentiva il dolore per gli infortuni subiti e quello per essere gay. Ad un certo punto era arrivato a spendere 400 dollari al giorno in farmaci. Stava spendendo tutti i soldi guadagnati e questo aveva un altro vantaggio: non avrebbe avuto più motivi per rimandare il momento in cui si sarebbe suicidato. Allo stesso tempo cercava di tagliare i rapporti con tutti i suoi amici e la sua famiglia: meno rapporti e meno possibilità di ripensarci.

Una parte di lui però sperava ancora di tornare a giocare e quindi passava spesso a farsi curare al quartier generale dei Chiefs, e questo ha salvato la sua vita perché David Price, il capo dei preparatori di Kansas City, notò che Ryan era diverso, poco concentrato, troppo confuso, e gli venne subito il sospetto che stesse abusando di farmaci (ignorava di certo il perché) e gli consigliò di andare da Susan Wilson, una psicologa che collaborava con i Chiefs e l’NFL. Alla dottoressa Wilson non ci vollè molto per capire che dietro al problema di abuso di farmaci di O’Callaghan c’era molto altro, reali intenzioni di suicidio (aveva un luogo fuori da Kansas City dove teneva pronte diverse pistole e aveva anche preparato un biglietto d’addio) e un vasto malessere psicologico per via del suo essere omosessuale (lei aveva avuto a che fare con altri giocatori NFL gay).

Scott Pioli

Scott Pioli

Wilson convinse Ryan, prima di concludere il suo piano, di provare a dirlo alle persone a lui più care per vedere se veramente avrebbero reagito come lui pensava, poi magari di dirlo anche ad altri e così via. Lui invece sentì quasi subito la necessità di dirlo a Scott Pioli, un uomo che era molto importante per lui e di cui si fidava, un amico. Gli telefonò subito dopo la fine della stagione 2011 per chiedere un incontro e Pioli pensava fosse per il suo problema di abuso di antidolorifici di cui era venuto a conoscenza, ma quando gli disse che era pulito trasse un sospiro di sollievo ma allo stesso tempo iniziò a preoccuparsi anche di più immaginando qualcosa di terribile (aveva ferito o ucciso qualcuno?), anche perché la voce di Ryan era tremante e lo sguardo inquietante.

“Sono gay”

“Si ok, ma qual è la cosa importante di cui mi dovevi parlare?”

“Scott…sono gay!”

Pioli non era affatto scosso (non era il primo giocatore che gli faceva questa confidenza ha rivelato), e questo da un lato sconvolse Ryan che si aspettava ben altro perché era cresciuto con una società che gli prospettava altro, dall’altro lo rassicurò e tranquillizzò. L’incontro finì con un abbraccio e qualche battuta amichevole fra i due. O’Callaghan aveva iniziato a togliersi un grosso peso dallo stomaco, poteva tornare a vivere la sua vita. Poteva continuare a vivere la sua vita.

Ryan trovò quindi la forza per dirlo anche alla sua famiglia e ai suoi amici, e trovò da quasi tutti il supporto che non pensava mai avrebbe trovato, non tutti lo capivano, ma quando vedano che le sue intenzioni suicide erano arrivate a quel punto dimenticavano tutto ed erano solo contenti che fosse ancora vivo. Iniziò a dirlo sempre a più gente e trovò sempre più supporto, anche dai suoi ex compagni del college Aaron Rodgers e di squadra Dustin Colquitt, non aveva più bisogno di mentire.

Ora la sua vita è cambiata, è sostanzialmente disabile dopo i tanti infortuni subiti e ha difficoltà a muoversi, non può lavorare normalmente ma almeno riesce a vivere la sua condizione di omosessuale con naturalezza e senza la necessità di nascondersi dagli altri, vive in una casa in affitto vicino alla sua famiglia e non dilapida più soldi ma almeno è felice e sereno, ha iniziato a collaborare con la comunità LGTB di Redding e vuole cercare di aiutare gli altri perché non ci siano più persone che possano, come lui, pensare di togliersi la vita solo perché sono gay.

Dovremmo ricordarci di queste storie ogni volta che usiamo in modo dispregiativo termini come gay, omosessuale ,tutti quelli peggiori, chi è di fianco a noi, magari il nostro amico da una vita, è tra quelli che sta lottando per nascondere la sua vera personalità da una società che considera la “diversità” (se è giusto definirla così) un errore, uno sbaglio. È inutile che ci dicano che “in tale sport non ci sono omosessuali, non ce ne possono essere”, sono tutte cazzate e chi lo dice è il primo a saperlo e fa solo il male di persone come Ryan O’Callaghan. A lui il football ha salvato la vita, non tutti sono così fortunati.

angyair

Tifoso dei 49ers e dei Bulls, ex-calciatore professionista, olimpionico di scherma, tronista a tempo perso, candidato al Nobel e scrittore di best-seller apocrifi. Ah, anche un po' megalomane.

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