Sei Nazioni 2017: tre volte Inghilterra

Si è concluso il Sei Nazioni 2017 e in tutte e tre le competizioni, maschile, femminile e under 20 il vincitore indossava la stessa maglia, quella bianca dell’Inghilterra a dimostrazione di un predominio sul vecchio continente che non è certamente frutto del caso ma di un lavoro a 360 gradi i cui effetti si sentiranno a lungo.

A livello maschile però quello che poteva essere un vero e proprio trionfo, secondo grande slam consecutivo e record assoluto di partite vinte consecutive, è stato rovinato da quei “testardi” degli irlandesi che hanno chiuso un torneo un po’ sotto le attese con una vittoria importante, in casa, nei giorni di San Patrizio, che soprattutto ha fatto passare quasi in secondo piano la vittoria nel torneo degli inglesi tanto che a fine partita si faticava a dire che avrebbe alzato il trofeo e chi si sarebbe dovuto accontentare del secondo posto.

Guardando il torneo nel suo complesso gli uomini di Eddie Jones hanno confermato i pronostici di febbraio che li vedevano favoriti, ma forse anche per colpa dei diversi infortuni, non sempre hanno dato l’impressione di esprimersi al meglio per tutti gli 80 minuti di una partita, con l’unica positiva eccezione della sfida della settimana scorsa contro gli scozzesi in cui sono sembrati quasi onnipotenti. Il peggio l’hanno fatto vedere probabilmente nella sfida contro l’Italia in cui, anche se poi hanno vinto senza eccessivi patemi, hanno dato la netta impressione di non essere preparati ad affrontare un diverso piano partita e di non sapersi neanche adattare con facilità.

A livello di uomini il dominatore è stato Maro Itoje che nonostante la giovane età è ormai uno dei giocatori più forti al mondo, anche se nelle ultime sfide è stato un po’ troppo falloso per i suoi standard: di sicuro ormai ha portato a degli standard per il ruolo di seconda linea difficilmente eguagliabili, soprattutto a livello fisico, anche se sarebbe banale ridurre le sue prestazioni al solo fisico. Tra gli altri segnalerei il solito infallibile Owen Farrell, Jonathan Joseph e Ben Te’o decisivo con i suoi ingressi nelle prime partite del torneo.

Al secondo posto è arrivata l’Irlanda che grazie alla vittoria conclusiva sui vincitori inglesi ha dato un senso al suo torneo che altrimenti sarebbe stato decisamente sotto la sufficienza perché poi, a parte la sfida contro l’Italia, sono andati per troppe volte sotto fisicamente e poche volte sono riusciti a liberare il gioco al largo. Dovevano essere loro i veri avversari dell’Inghilterra ma già con la sconfitta all’esordio in terra scozzese hanno fatto vedere che forse non ci credevano neanche loro: forse è arrivato il momento di qualche cambiamento eccellente anche perché comunque i giovani virgulti che si stanno affacciando ai massimi livelli sono sembrati già pronti (per esempio ieri il 22enne Garry Ringrose ha fatto una partita ottima).

"Che fatica essere il migliore", firmato Maro Itoje

“Che fatica essere il migliore”, firmato Maro Itoje

Terzo posto per la rinnovata Francia che ha dimostrato di essere sulla giusta strada per tornare a pensare di poter vincere il torneo e probabilmente già dall’anno prossimo sarà lei la vera avversaria dei maestri inglesi: grande fisicità (gli ultimi 25 minuti di ieri giocati nei 22 gallesi sono stati entusiasmanti, anche perché i gallesi non temono nulla in quanto a fisicità) che però inizia ad essere abbinata alla consueta fantasia dei galletti e questo mix sono sicuro diventerà indigesto a molti. Camille Lopez è un calciatore molto affidabile, Gael Fickou è colui che può spezzare la partita da un momento all’altro, Louis Picamoles una solida guida per tutti e adesso hanno aggiunto anche un giovane mediano (altro 22enne) come Baptiste Serin che personalmente è stata una delle sorprese più positive del torneo e farà molto parlare di sé nei prossimi anni.

La Scozia doveva essere la mina vagante del torneo e, nonostante la miriade d’infortuni che l’hanno colpita, lo ha ampiamente dimostrato con prestazioni sempre convincenti per tutti gli 80 minuti a parte la sfida contro l’Inghilterra. La cosa che ha colpito maggiormente degli scozzesi è che hanno sempre giocato puntando al massimo, convinti di poter vincere contro tutti e contro tutto (cosa che dovremmo cercare d’imparare) anche se a livello di profondità di uomini erano un gradino sotto alle altre: alla fine ti ritrovavi sempre a fare il tifo per loro perché non erano proprio Davide contro Golia ma magari il cugino di Davide si. Ora subiranno una bella botta con l’addio dell’allenatore, l’uomo che li ha riportati a poter pensare di competere per vincere il Sei Nazioni di nuovo, ma il suo successore avrà un discreto materiale su cui lavorare con una batteria di esterni come Russell, Hogg e Visser che possono fare la felicità di molti (in attesa del ritorno di Laidlaw come mediano che quest’anno è stato perso troppo presto).

Che il Galles fosse in una fase di transizione e che potesse essere un gradino sotto alle altre si sapeva, ma sicuramente ci si aspettava qualcosa in più che una grande difesa fisica, un’incredibile capacità di resistere spalle al muro ed il consueto Halfpenny. Già dall’esordio sottotono contro l’Italia si era intuito che non sarebbe stato un Sei Nazioni facile per il Galles, ma andando avanti le cose non sono affatto migliorate soprattutto per quanto riguarda l’attacco che alla fine ha vissuto più sugli errori avversari che sulla capacità di costruire gioco: probabilmente si avvicina il momento di fare scelte difficili in casa gallese per puntare a ritornare a vincere.

Ultima doveva essere l’Italia e ultima lo è stata, con un torneo che ha alternato momenti in cui si è visto il lavoro del coaching staff, anche a livello mentale, a momenti in cui si è capito che la distanza con il rugby di vertice è lontana se non 40 minuti almeno 30. La difficoltà principale dei nostri, ma lo sapevamo in fondo, è soprattutto quella di non riuscire a mantenere lo stesso livello di prestazione per tutti gli 80 minuti, e sai sempre che arriveranno quei 10 minuti in cui molleranno e gli avversari segneranno dalle 2 alle 3 mete almeno, e così diventa difficile giocare soprattutto a livello psicologico.

Bisogna ancora puntare ad aumentare la profondità dei giocatori a disposizione e la loro qualità fisica in un rugby che ormai ha raggiunto dei livelli molto alti a riguardo, tutto questo senza però dimenticare di lavorare tanto, tantissimo, sulla qualità del gioco palla in mano perché gli errori commessi nel controllo della palla e nella sua trasmissione in questo Sei Nazioni sono stati veramente troppi. Se poi quando produciamo gioco e maciniamo terreno non riusciamo a capitalizzare, sia con il gioco al piede che alla mano, il compito diventa ancora più arduo specie se la filosofia offensiva del nostro coaching staff è quella del controllo della superiorità territoriale.

Massima fiducia comunque in Conor O’Shea ed il suo staff, d’altronde proprio la Scozia che ci ha battuto nell’ultima giornata, e che solo 2 anni fa battevamo in casa loro, ci dimostra che con il duro lavoro si possono ottenere grandi cose, ma bisogna soprattutto crederci. Lascio perdere i discorsi sul fatto che non meriteremmo di stare nel Sei Nazioni perché sono semplicemente discorsi fuori dal tempo e dalla logica, ancor più di quelli che vorrebbero la Georgia al nostro posto. Ora di nuovo tutti al lavoro perché comunque il Sei Nazioni 2018 è dietro l’angolo.

angyair

Tifoso dei 49ers e dei Bulls, ex-calciatore professionista, olimpionico di scherma, tronista a tempo perso, candidato al Nobel e scrittore di best-seller apocrifi. Ah, anche un po' megalomane.

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