Big Data Super Bowl

Spesso sul campo da football la differenza tra vittoria e sconfitta è veramente poca, in un Super Bowl ancora di più, e quindi prendere la decisione giusta nei momenti decisivi è fondamentale per sperare poi di alzare il Vince Lombardi Trophy. È ricordiamo che la decisione giusta non significa quella che poi ha successo ma, banalmente, quella che in quel momento ha più possibilità di risultare giusta, perché poi c’è la fase di esecuzione sul campo che dipende da tanti altri fattori, su cui un head coach ha meno influenza, è che determina il risultato.

Ci sono decisioni giuste che poi non hanno successo sul campo e decisioni sbagliate che invece poi hanno riscontro positivo, ma un head coach deve sempre puntare a prendere le prime perché la loro percentuale di successo è superiore anche se poi il suo destino magari dipenderà dalle seconde. È la vita in fondo.

E per prendere le decisioni giuste bisogna per prima cosa avere le informazioni giuste, avere i dati necessari per capire cosa fare in quel momento, quando tutta l’attenzione è su di te e in pochi secondi rischia di decidersi una partita, e magari anche il Super Bowl. Giocarsi un quarto down in una posizione di campo particolare? Chiamare un gioco che ha avuto sempre successo contro un determinato personale difensivo in red zone per esempio. Sapere che il gioco preferito dell’attacco sulla goalline quando i ricevitori si schierano in una particolare formazione è una slant può essere fondamentale nei secondi finali di un Super Bowl (tipo in New England vs Seattle).

Molte di queste cose sono sempre state utilizzate nel football, o quanto meno dai coaching staff più vincenti, ma la tecnologia attuale e la sempre più grande attenzione verso le cosiddette statistiche avanzate hanno migliorato il modo di utilizzarle e portato anche a nuovi utilizzi specie per chi ha la mente aperta verso il nuovo, magari facendo apparire all’esterno un quasi odio verso i freddi numeri: se il più grande inganno del diavolo è far credere di non esistere il più grande inganno di Belichick è far credere di non utilizzare le statistiche.

Doug Pederson, in 2 anni al Super Bwol

Doug Pederson, in 2 anni al Super Bowl

Doug Pederson è conosciuto come uno che ama rischiare, a cui piace giocare i quarti down, d’altronde in regular season ne ha giocati 26 convertendone 17 (65%) e nel divisional contro i Falcons ne ha chiamato uno poi risultato decisivo perché ha portato all’unico TD della partita. E questa non è una caratteristica casuale degli Eagles, non sono decisioni prese per mostrare più cazzimma degli altri o per far vedere di essere sbruffoni. Sono semplicemente decisioni prese in base ai numeri e adeguatamente ponderate.

Prima della stagione e poi prima di ogni singola partita gli Eagles analizzano i numeri e decidono in base a che percentuali di successo calcolato decideranno di giocare un quarto down in funzione della situazione di campo, e ovviamente anche di punteggio. Ma non solo eh, l’approccio analitico viene utilizzato anche quando si deve decidere se andare per la conversione da uno o da due dopo ogni touchdown, sull’utilizzo dei timeout durante gli ultimi due minuti di ogni tempo.

Il team degli “analitici” coinvolge anche l’assistant coach/linebackers coach Ryan Paganetti, che ha una laurea in economia a Dartmouth, che durante la gara ha un filo diretto con coach Pederson per comunicare tutte le informazioni necessarie perchè poi lui decida come meglio crede. E queste comunicazioni non avvengono solo all’ultimo momento, ma per esempio in situazioni di terzo down, dopo che è stato comunicato il gioco, dall’alto può arrivare la comunicazione “Attenzione, se dopo l’esecuzione del gioco ci dovessimo trovare in situazione di quarto e 2, puoi andare, se dovesse essere di quarto e 5 o meno le percentuali sono x, oltre non conviene.”, in modo da non sprecare tempo e poter subito comunicare a chi è in campo cosa si deve fare. Perchè puoi avere tutte le informazioni del mondo, ma se non le hai al momento opportuno non te ne fai assolutamente nulla.

È una strategia che paga? Secondo le statistiche di ESPN gli Eagles hanno segnato un FG o un TD in 13 dei 18 drive in cui hanno convertito un quarto down totalizzando 85 punti, 4.7 per drive.

E non pensate che questa filosofia venga applicata solo al lato offensivo, anzi, Jim Schwartz può sembrare uno della vecchia scuola ma è laureato in econometria, ossia l’uso della statistica e delle tecniche matematica nella risoluzione dei problemi, in un’università prestigiosa come quella di Georgetown e quindi è uno molto a suo agio con i numeri e che fa di tutto per trasmetterli ai suoi giocatori.

Non è inusuale per i suoi sentirselo arrivare da dietro e magari chiedere all’improvviso: “come si comportano (gli avversari) quando sono in 11 personnel e in shotgun?” e bisogna essere pronti a rispondere giustamente (70% passaggio) altrimenti te lo fa pesare. Oppure pretende che i suoi giocatori sappiano sempre quanti giochi rimangono teoricamente a disposizione negli ultimi 2 minuti dei tempi in base al tempo rimasto e alle caratteristiche degli avversario o qual è il teorico raggio di field goal del kicker che si sta affrontando e quindi quante yard mancano.

Perchè questo? Perchè nei momenti di caos, specie sul finire dei tempi, anche se a un giocatore non gli arriva il segnale difensivo deve sempre sapere cosa è più probabile che giochi l’avversario o la precisa situazione di campo e tempo e quindi come si deve comportare. Ah si, gli Eagles non hanno subito punti negli ultimi 2 minuti dei tempi per tutta la stagione.

I Jumbos della Tufts University

I Jumbos della Tufts University

Per quanto riguarda i New England Patriots invece c’è da fare un nome in particolare: Sean Harrington, ex QB della Chelmsford High School che una volta dominò e vinse il torneo regionale 7 contro 7 al Gilette Stadium e poi outside linebacker dei Jumbo della Tufts University, arrivato ai Patriots nel 2014 dopo che questi avevano superato la concorrenza di….Google.

Si perchè Sean è un informatico molto preparato che ha giocato e ama il football e che ad un certo punto si è trovato a scegliere tra un contratto con il colosso di Mountain View e un ruolo nel dipartimento del personale della squadra di Boston, un ruolo peraltro non di primo piano perchè il nome di Harrington è ben nascosto nella media guide dei Patriots, quasi a non volerlo far salire alla ribalta.

Ma cosa fa questo Harrington? Stando a GitHub, piattaforma che chi si occupa di software conosce perfattamente, nella sua bio c’è che guida un software team per i Patriots con lo scopo di utilizzare le machine learning e gli studi analitici per il coaching staff, lo scouting department, il training staff e l’IT department. Magari a molti questo dirà poco ma vi assicurò che c’è molta tecnologia, matematica ed informatica applicata al football.

Dal poco che esce fuori sembra che Harrington sia molto molto impegnato durante il periodo del draft, con l’analisi di tutti i dati, fisici e statistici, raccolti nel periodi di scouting dei giocatori in uscita dal college, ma il mistero su quello di cui effettivamente si occupa è fitto anche per i suoi amici più stretti.

Di sicuro c’è che è arrivato ai Patriots anche per un software che lui ha creato ai tempi del college e poi sviluppato e che si occupava di identificare e tracciare i giocatori direttamente dal video dato in ingresso, registrando gli allineamenti e i relativi movimenti fatti (tracce, coperture, etc.) Un software in grado di facilitare enormemente il lavoro del coaching staff e di dare informazioni preziose praticamente in real time!

Ovviamente al college, insieme ad altri, aveva anche sviluppato un software che determinava le probabilità di segnare punti in base a down e distanza, posizione di campo e tempo rimanente, oltre a una guida statistica su come prendere le decisioni riguardo ai quarti down, ma diciamo che se avete capito il tipo queste erano cose già assodate.

È vero comunque che questo tipo di tecnici si trovano sempre più spesso in giro per la lega, anche se i loro nomi vengono tenuti in disparte e il loro vero ruolo rimane sempre immerso in un alone di mistero perché non si vuole far sapere agli altri un proprio vantaggio competitivo.

Al momento molte squadre hanno integrato alcuni chip nelle armature dei propri giocatori per raccogliere tutta una serie di dati durante gli allenamenti (per es. la velocità di lancio durante per capire quando il braccio di un QB è affaticato e fermarlo in tempo), negli ultimi 4 anni l’NFL stessa ha inserito alcuni sensori nei pads dei giocatori in partita e questi dati poi vengono anche messi a disposizione, anche se in minima parte, ai tifosi tramite le Next-Gen stats. Però queste informazioni, arrivando dalla lega stessa, sono fornite in maniera limitata alle franchigie NFL (ognuna ha accesso solo ai dati dei propri giocatori) per non creare svantaggi tra queste e quindi si cerca altro per poter guadagnare ogni minimo vantaggio possibile. Non sorprende perciò che uno come Belichick sia un passo avanti agli altri anche in campi che potrebbero apparire (o lui vuole far apparire) lontani dal suo modo di vivere il football.

La tecnologia e l’utilizzo dei dati (dei big data in particolare) è sempre più presente nella nostra società, anche se in molti di noi neanche se ne accorgono anche se ci hanno a che fare continuamente, e il football, quello professionistico in particolare, non è certo in seconda fila in questo ambito. Chissà se domenica la partita non verrà decisa proprio da qualche decisione o azione derivata dall’analisi avanzata dei numeri, di sicuro, se ciò avverrà, nessuno lo vorrà far sapere.

angyair

Tifoso dei 49ers e dei Bulls, ex-calciatore professionista, olimpionico di scherma, tronista a tempo perso, candidato al Nobel e scrittore di best-seller apocrifi. Ah, anche un po' megalomane.

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