Le arti marziali nelle MMA

[nextpage title=”Introduzione”]

arte [àr-te] s. f. (pl. -ti): Complesso delle regole per mezzo delle quali si impara e si esercita un mestiere, una professione, una disciplina.

marziale [mar-zià-le] agg. (pl. -li): Relativo alla guerra; guerresco.

Spesso, guardando le MMA, tendiamo a dimenticare quello che realmente c’è dietro a due individui che se le suonano di santa ragione in una gabbia ottagonale finché uno dei due va giù o si arrende. Un occhio poco esperto potrebbe pensare che questo sport — sì, perché di sport parliamo — sia solo un gioco brutale per stabilire chi sia il più forte fra i due esseri umani chiusi fra otto lati.

Quello che molti ignorano è che dietro ad un atleta professionista di MMA, molto spesso, c’è (c’era?) un marzialista, un cultore di arti marziali.

Non si può far risalire la nascita delle arti marziali ad un preciso momento o luogo, perché il termine sta ad indicare le arti dedicate a Marte, dio della guerra. L’arte della guerra.

In Europa, già dal 1500, si parla di arti marziali riferendosi all’arte del duellare con la spada, ma se parliamo di arti marziali “tradizionali” la nostra mente farà un volo di circa 7.000 km per arrivare in Asia, in Cina, passando da Giappone, Corea e Thailandia.

Esiste un quantitativo spropositato di arti marziali tradizionali che popolano l’immaginario collettivo anche dei non praticanti: Karate, Judo, Jujutsu, Taekwondo, Muay Thai e così via. Arti marziali rese famose soprattutto dal cinema hollywoodiano che ha trasportato su pellicola secoli di tradizione tramutandola in “guarda come mi difendo dal bulletto”.

Come abbiamo già detto, le arti marziali nascono come insieme di regole per fare la guerra, ma con il passare degli anni e con l’avvento dell’armi da fuoco, perderanno quasi completamente questa accezione per acquisirne una completamente opposta: autodifesa.

Autodifesa. Che bella parola, “mi difendo da solo”.

Le arti marziali, in effetti, sono un validissimo strumento di difesa. Immaginate di essere aggrediti per strada da un tipo più grosso di voi che vuole menarvi semplicemente perché avete fissato per mezzo secondo la sua fidanzata. Sarà dura difendervi da questo energumeno senza aver mai fatto a botte in vita vostra. Con tutta probabilità finirete in ospedale con il naso rotto, un labbro gonfio e un occhio nero. Ora, però, immaginate di conoscere una tecnica che vi permette di assorbire il colpo, la forza di questo bestione, e rimandargliela indietro aggiungendoci la vostra. Magari l’occhio nero non ve lo toglie nessuno, ma almeno vi risparmierete la gita in ospedale.

Questo esempio racchiude grossomodo l’essenza delle arti marziali. Portare a casa la pelle.

Ogni arte marziale ha i suoi punti di forza e i suoi punti deboli. Diffidate sempre da chi vorrà vendervi la sua arte come la migliore, la più forte, la più efficace. Non esiste un arte più efficace in assoluto. Esiste un arte più efficace in una determinata occasione.

Chi capì questa cosa in tempi non sospetti, circa sessant’anni fa, fu un certo cino-americano che rispondeva al nome di Bruce Lee.

Lee iniziò ad approcciarsi alle arti marziali con il kung fu, precisamente con il Wing Chun, sotto la guida di Sifu Yip Man. Dopo essersi trasferito negli Stati Uniti, però, Bruce si rese conto che nonostante avesse studiato molto il Wing Chun, aveva lacune in determinate fasi del combattimento. Il Wing Chun lo aveva preparato per il combattimento nella corta e nella cortissima distanza, ma era impreparato nel combattimento sulla lunga e sulla media distanza. Iniziò così a studiare altre arti marziali tradizionali, ma anche altri stili occidentali, a volte prettamente sportivi, come il pugilato o la scherma, scartando ciò che non riteneva efficace e facendo suo ciò che poteva sfruttare in combattimento. Nacque così il Jeet Kune Do.

Bruce Lee, se vogliamo, è stato il primo vero praticante di arti marziali miste.

Io, nel mio piccolo, posso confermare quanto fu illuminato Bruce Lee nel capire questa cosa prima di altri. Ho praticato Wing Chun per anni, integrandolo in seguito con il Brazilian jiu-jitsu (per difendermi in caso di aggressione al suolo) e con il Kali (per imparare l’utilizzo delle armi bianche).

Oggi, però, molti atleti imparano le arti marziali (o parte di esse) con lo scopo di gareggiare nello sport che chiamiamo MMA.

Il primo evento UFC, nel 1993, prevedeva proprio un torneo dove degli esponenti di varie arti marziali provenienti da tutto il mondo si affrontavano per decretare quale arte marziale fosse la più forte.

Vinse un piccoletto brasiliano, di nome Royce Gracie. Il suo stile era il Brazilian Jiu-Jitsu.

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[nextpage title=”Brazilian Jiu-Jitsu”]

Attenzione a non confondere il Brazilian Jiu-Jitsu con l’arte marziale tradizionale giapponese Jujutsu (spesso chiamato in maniera errata Jujitsu).

Il BJJ affonda le sue radici nel Judo ed in particolare nel maestro Mitsuyo Maeda, allievo diretto di Jigoro Kano, il papà del Judo. Maeda arrivò in Brasile nel 1914 in qualità di console. Qui incontrò l’ormai celeberrima famiglia Gracie, alla quale insegnò il Judo. I fratelli Hélio e Carlos Gracie, poi, attraverso tanta pratica e sperimentazione, crearono lo stile di lotta che oggi conosciamo come Brazilian Jiu-Jitsu, nome scelto dalla famiglia Gracie una volta arrivati negli Stati Uniti per differenziarlo da tutte le traslitterazioni del Jujutsu.

Possiamo sintetizzare la definizione di BJJ come un adattamento morbido del Judo, voluto da Hélio Gracie poiché, essendo un uomo di costituzione debole, non aveva la capacità di eseguire alcune tecniche del Judo che prevedevano l’opporsi direttamente alla forza dell’avversario. Hélio, inoltre, orientò il suo stile più verso la lotta a terra che verso le proiezioni, come il Judo.

Dopo aver sviluppato la loro arte, la famiglia Gracie iniziò a spostarsi per il mondo per trasmetterne l’efficacia. Iniziarono prima in terra natia partecipando a combattimenti di vale tudo, spesso uscendone vincenti. Negli anni ’80 si spostarono negli Stati Uniti aprendo scuole per l’insegnamento della loro arte fino ad arrivare al 1993 e alla nascita della UFC.

UFC 1 fu voluto da Rorion Gracie che, con il suo socio Art Davie, mise su un torneo con otto partecipanti. Il fratello di Rorion, Royce Gracie, partecipò e vinse il torneo, contro ogni pronostico.

Il nome del Brazilian Jiu Jitsu, così, finì sulla bocca di tutti e diventò essenziale nell’approccio alle mixed martial arts così come le conosciamo ora. Praticamente la totalità dei fighter di MMA, oggi, studia BJJ per affrontare le fasi di lotta a terra nella gabbia cercando anche di chiudere eventualmente l’incontro con uno strangolamento o una leva articolare.

Ai giorni nostri l’aspetto marziale del brazilian jiu-jitsu, ma di quasi tutte le arti marziali, sta pressoché scomparendo, facendo spazio all’aspetto agonistico e sportivo. Non è raro, infatti, vedere eventi sportivi di solo grappling (con o senza gi). Quello che distingue l’arte marziale dallo sport sono le regole. Quando devo difendermi per strada non ci sono round, non c’è un arbitro che ferma l’incontro se batto tre volte la mano al suolo o sulla schiena del mio avversario, non ci sono dei giudici che assegnano dei punti all’atleta più bravo. Per strada ci sei solo tu e il tuo aggressore.

Nota di colore sul BJJ: è facile individuare un praticante navigato di Brazilian jiu-jitsu osservando le sue orecchie, le cosiddette orecchie a cavolfiore. Tale evoluzione (?) avviene a causa dei continui e ripetuti sfregamenti del padiglione auricolare sul gi (il kimono del BJJ Nda). In passato in Brasile veniva usato per riconoscere i lottatori ed evitare di attaccare briga con loro.

Esempi di Jiujiteiros nelle MMA: Royce Gracie, BJ Penn, Jacaré Souza, Demian Maia, Fabricio Werdum.

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Come abbiamo imparato nel capitolo precedente, possiamo definire il Judo l’arte marziale madre del Brazilian Jiu-Jitsu. A sua volta il Judo trova le sue origini nel Jujutsu, antichissima arte marziale giapponese (le prime notizie certe risalgono al XVI secolo) studiata e usata, fra gli altri, dai samurai per l’annientamento del proprio avversario a mani nude o con armi.

Per capire bene il perché della nascita del Judo e dell’abbandono del Jujutsu, dobbiamo tornare indietro fino alla seconda metà del 1800, dopo l’apertura delle frontiere giapponesi agli stranieri. L’inizio degli scambi culturali con l’occidente portò, fra le altre cose, all’adozione del sistema metrico decimale e del calendario gregoriano, ma soprattuto vennero sciolti i corpi dei samurai.

Tutta questa occidentalizzazione portò gradualmente ad un rifiuto del vecchio, compresa la cultura guerriera che tanto aveva caratterizzato il Giappone feudale. A questo bisogna aggiungere la diffusione delle armi da fuoco e arriviamo alla (quasi) scomparsa dei dojo e delle arti marziali.

Importantissima fu la figura di Jigoro Kano, ju-jutsuka che decise di allontanarsi, però, da questa arte marziale per crearne una propria “ripulendo” il Jujutsu da tutte le azioni di attacco armato e di colpo (lasciandole solo nei kata), concentrandosi su tecniche di proiezione e controllo dell’avversario al suolo. In questo modo il Judo poteva essere insegnato a chiunque senza che venisse visto di cattivo occhio da chi ormai voleva lasciarsi alle spalle le violente arti marziali tradizionali.

Kano era un professore ed un uomo estremamente razionale e cercò di creare un arte marziale che avesse un fondamento scientifico.

Ovviamente non fu possibile esaminare a fondo ogni tecnica del Kōdōkan jūdō su basi scientifiche. Ma in generale, poiché esse erano modellate secondo principi scientifici, la loro superiorità rispetto alle vecchie scuole fu subito evidente. ~Jigoro Kano

Iniziò, dunque, ad esserci una diffusione straordinaria del Judo sia in Giappone che nel resto del mondo, ma tutto questo s’interruppe con la morte di Kano e con la Seconda Guerra Mondiale. La sconfitta giapponese per mano degli Stati Uniti portò ad una censura del Judo da parte di questi ultimi, in quanto arte marziale, quindi legata alla guerra.

Si ritornerà a parlare di Judo nel 1964, quando venne incluso nei giochi olimpici di Tokyo, che segnarono la fine di un’antica e nobile disciplina marziale e la nascita di una disciplina sportiva con il solo scopo di guadagnare punti eseguendo tecniche sull’avversario.

Esempi di Judoka nelle MMA: Ronda Rousey, Hector Lombard, Dong Hyun Kim, Fedor Emilianenko.

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Un’altra arte marziale trasformatasi col tempo in uno sport da combattimento è la Muay Thai, antica arte marziale tailandese dalle origini quasi sconosciute.

Al contrario delle due arti marziali viste finora, la Muay Thai è una disciplina che allena il praticante nel combattimento in piedi sia sulla media-lunga distanza, sia nella corta-cortissima distanza (clinch). Essa, infatti, è chiamata l’arte delle otto armi, otto come le parti del corpo che la Thai utilizza per colpire il proprio avversario: mani, gomiti, gambe, ginocchia.

Come già detto, le origini di questa arte non sono certe. Si dice che tutto ebbe inizio nel 200 a.C. con il popolo degli Ao-Lai, che per difendersi da predoni e razziatori, mise a punto uno stile di lotta chiamato Krabi Krabong, che prevedeva sia l’utilizzo di armi bianche sia il combattimento corpo a corpo. In seguito, nel 1700, i due stili si scissero e il Krabi Krabong divenne un’arte marziali armata, mentre il combattimento corpo a corpo prese il nome di Muay Thai.

La Muay Thai, che era inizialmente usata dai soldati in tempo di guerra, divenne ben presto un sistema di difesa fino a diventare una pratica sportiva per intrattenere i sovrani dell’epoca.

In occasioni di feste o di celebrazioni religiose, due sfidanti si affrontavano a corte di fronte ad un pubblico in incontri senza limiti di tempo, senza categorie di peso e senza protezioni. Spesso questi incontri terminavano anche con la morte dell’avversario. I sovrani rimasero talmente affascinati da questa disciplina che spinsero i propri soldati a studiarla per la protezione della famiglia reale e della patria.

Nel corso dei secoli la Muay Thai ha subito profonde trasformazioni fino ad arrivare nel 1945, anno in cui si decise di abbandonare le strade a favore dei ring e si introdussero regole, round, protezioni, guantoni e categorie di peso. È solo dopo gli anni ’70, però, che la diffusione di questo stile arrivò anche in occidente.

Esempi di Nak Muay nelle MMA: Anderson Silva, Donald Cerrone, José Aldo, Edson Barboza.

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L’ultimo stile di cui parleremo è quello forse più riconoscibile a livello universale: il Karate.

Il Karate (kara = vuoto + te = mano), altra arte marziale sviluppata nel combattimento in piedi, è nato in Giappone, con molta probabilità nell’arcipelago Ryukyu, precisamente ad Okinawa. Quest’isola aveva da secoli rapporti commerciali con la provincia cinese di Fukien e gli abitanti di Okinawa iniziarono il primo approccio con le antiche arti marziali cinesi.

Accadde che a cavallo fra il XV e il XVI secolo venne imposto il divieto di possedere armi per gli abitanti dell’arcipelago Ryukyu. Per difendersi dagli invasori, quindi, la gente del luogo iniziò a studiare in segreto una forma di autodifesa basata su quelle arti marziali imparate in Cina.

Nacque così l’Okinawa-te, l’arte marziale di Okinawa che gettò le basi per il Karate. Inizialmente i praticanti di questa disciplina si recavano in Cina per apprendere quanto più possibile delle arti marziali cinesi per poi applicare quanto imparato all’Okinawa-te.

Il primo che tentò di codificare questo stile che combinava le arti marziali cinesi con quelle di Okinawa fu Kanga Sakugawa (1733-1815). Questa disciplina ibrida prese il nome di Tode che nel dialetto di Okinawa significava mano cinese. Un allievo di Sakugawa, Sokon Mastumura, fondò la prima vera scuola di Tode. In questa scuola si formò un altro maestro Anko Asato che a sua volta fu il maestro di Gichin Funakoshi. A quest’ultimo va il merito della diffusione del Tode in tutto il Giappone, dove poi prese il nome di Karate.

Come per il Judo, anche il Karate subì la stessa sorte dopo la Seconda Guerra Mondiale; gli Stati Uniti proibirono la pratica di tutte le arti belliche con la conseguente chiusura della maggior parte dei dojo. Di contro, però, aumentarono le richieste di dimostrazioni pubbliche di queste arti e molti occidentali iniziarono ad appassionarsi e ad esportarle in patria.

Oggi il Karate è praticato, soprattutto in occidente, a livello sportivo ed agonistico sotto l’egida della WKF, la Federazione Mondiale di Karate, organizzazione riconosciuta anche dal Comitato Olimpico Internazionale.

Esempi di Karateka nelle MMA: Lyoto Machida, Stephen Thompson, Gunnar Nelson, Georges St-Pierre.

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Phre

Misantropo, cinico e sociopatico. Traduco serie TV. Marito di mio figlio, padre dei miei cani, figlio di mia moglie. Knickerbocker. Mi fingo esperto di MMA.

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