Una Liegi alla Remco

Nelle sue ultime centinaia di metri, la Redoute si ammorbidisce, il tratto sopra al 10% e le 700 (?) scritte sull’asfalto, dedicate al principe Gilbert, restano alle spalle, magari in gruppo si pensa che il più è fatto, ma in realtà quello è il momento per addentare la corsa.

La strada è stretta, da una parte meccanici che provano a rifornire gli atleti prima degli ultimi 30 km, dall’altra staccionate miste a vegetazione incolta, nel mezzo Mauri Vansevenant che tira il gruppo, dietro, perfettamente coperto dall’inquadratura, un serpente pronto a mordere: quando Remco Evenepoel spunta sullo schermo è un’esplosione di watt a cui nemmeno la sua bicicletta era pronta, la ruota posteriore svirgola sottoposta a quella potenza e per gli altri è già tardi.

Powless è l’unico che prova a reagire: al momento dello scollinamento (che poi è uno scollinamento molto sui generis) non avrà più di 15 metri di distacco. Poi la telecamera indugia un po’ su quelli dietro: passano Fuglsang, Haig, Mas, Van Aert, Teuns…quando tornano a mostrarci il belga della Quick Step, Powless è una pallina rosa sfuocata sullo sfondo dell’inquadratura, testa bassa, una macchia che viene ripresa dai corridori di cui sopra. Quello è l’ultimo momento in cui avranno modo di vederlo, ci si ribecca all’arrivo, gente.

La Liegi, ad oggi, per caratteristiche di percorso, è la sua corsa: quel continuo sali e scendi, senza scomodare troppe volte pendenze “garagistiche“, un percorso dove il suo motore può prendere i giri e mantenerli per durate interminabili, perché dopo lo scoppio di potenza, che è lì da vedere e rivedere, c’è tutto il resto, quella capacità innata di farsi un tutt’uno con la bici e tagliare l’aria quasi senza sentire l’attrito, come se avanzasse nel vuoto, con il DRS sempre aperto…

Quando il vantaggio è arrivato sopra i 30 secondi a quel punto s’è capito che non ci sarebbe stata Roche aux Faucons che potesse tenere, dietro c’erano gambe troppo vuote e, come spesso accade nel ciclismo degli ultimi anni, è sempre più complicato organizzare rincorse a squadre miste nei finali di corsa: Movistar e Bahrain hanno calato pure i pezzi da 90, ma non è bastato.

Remco è arrivato a Liegi, tra la sua gente festante, finalmente sereno e senza bisogno di indossare il numero 13 al contrario, iniziando i festeggiamenti a 3 km dal traguardo, quando ormai la vittoria era tanto evidente quanto dolce. Una vittoria arrivata senza la necessità di arrabbiarsi con qualcuno, senza sprecare quelle energie mentali come alle volte gli capita, una vittoria arrivata come arrivavano quelle tra gli junior, di pura potenza, alla Remco.

Dietro però non c’erano junior, certo qualcuno mancava, vittime di una caduta disastrosa che avrà conseguenze anche nelle prossime settimane e mesi: non c’era ad esempio Alaphilippe (tra quelli con le conseguenze peggiori), capitano 1a della stessa Quick Step in questa corsa che per lui resta stregata, che con la sola presenza nel gruppo inseguitori avrebbe reso la corsa di Remco forse ancora più facile, ma non è servito.

Ed ora? Cosa cambia nella ancor giovane carriera di Evenpoel? La speranza è che i media (soprattutto i suoi connazionali) e qualche ex corridore (anche qua, per lo più citofonare tra le mura “amiche”) smettano un po’ di stressargli l’anima, giudicando spesso e volentieri con il classico “due pesi, due misure” ogni sua azione o corsa, ogni sua reazione o comportamento.

Dal punto di vista tecnico parliamo di un 22enne che sostanzialmente sta vivendo, tra Covid e volo dal ponte, la sua prima stagione “normale”, fatta preparandosi in inverno con un calendario “classico” e per di più in una squadra che dopo tanti anni di dominio sta incontrando qualche inciampo in più (pur avendo collezionato già 19 vittorie con quella di ieri). Ci vuole un po’ di pazienza: d’altronde dopo il grave incidente al Lombardia del 2020, avevamo deciso che non fosse in grado di andare in discesa. Poi quest’anno di esempi di netti miglioramenti in quell’aspetto tecnico ne sono arrivati a manciate.

Le difficoltà sulle salite lunghe ma soprattutto con pendenze arcigne, ad oggi, sono evidenti (il Carpegna, alla Tirreno, è ancora bello fresco), per vincere o essere competitivi in una corsa a tappa da 3 settimane, non c’è però bisogno di essere per forza il miglior scalatore del gruppo. Certo, per la direzione che stanno prendendo certi percorsi, esserlo aiuta molto, ma Remco va talmente forte (e sta ancora migliorando) a cronometro che sarebbe un po’ delittuoso non provare, ancora per qualche stagione, a vedere cosa ne può venir fuori da questo versante (magari con più di 30 km a crono in 21 tappe).

Per vincere un GT mancano ancora tanti tasselli, ma a 22 anni sarebbe davvero eccezionale il contrario. Al tempo stesso non è detto che sia possibile (o necessario) metterli assieme tutti: questa Liegi, dopo il San Sebastian al debutto tra i pro, dà un grosso vantaggio, poter lavorare con un po’ più di serenità e qualche certezza in più, qualsiasi sia la direzione da prendere.

azazelli

Da giovane registravo su VHS tutte le finali di atletica, mondiali ed olimpiadi, poi m'hanno cancellato il record di Donovan Bailey con Beautiful e mi sono dato al download. Vivo di sport, cerco di scriverne.

Potrebbero interessarti anche...

Una risposta

  1. 5 Maggio 2022

    […] tende a non essere né carne né pesce.La stagione delle classiche poi, al di là della bellissima Liegi di Remco ed al di là della ventina di vittorie complessive (non poche), è stata molto criticata ed […]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *