Momenti (Carpi-Inter 1-2)

muller

Grande talento nato dalle parti di Catanzaro

 Il ricordo è lontano ma a sprazzi risulta vivo, nitido come una magnifica fotografia a colori dove ogni ondata di colore risalta alla perfezione nel momento in cui è stata fissata. E’ il settembre 1982, la prima di campionato a Verona tra Hellas e Inter. E’ il primo campionato giocato con l’Italia di nuovo campione del mondo dopo più di quarant’anni e molti bambini di quella generazione hanno da poco scoperto la vera differenza tra un tiro di punizione ed uno di rigore quando Antonio Cabrini ha appoggiato la palla sul dischetto, un paio di mesi prima, a Madrid, contro la Germania Occidentale. Molti bambini che si avvicinavano a quel gioco e che, proprio grazie alla notte madrilena, immaginarono da quel momento di poterlo amare più ogni altra cosa al mondo, di poter rincorrere un pallone insieme ad un sogno, sul cemento o sui campetti poco curati dai quartieri di provincia fino alla notte di Madrid. Capirono anche la differenza tra fare gol su rigore e non farlo. Cabrini sbagliò ma la storia la conoscete già molto bene.

Al Bentegodi finì 1-2 con l’Inter che andò sul due a zero grazie alle reti di Alessandro Altobelli (un altro che nella stessa notte del rigore di Cabrini qualcosa aveva combinato) e Hansi Muller, un tedesco che aveva la faccia di uno nato sulle coste calabresi, con la pelle un po’ olivastra ed i capelli arruffati neri neri. Quel giorno una neopromossa sconfisse uno a zero la Juventus campione d’Italia e la settimana dopo si sarebbe ripetuta battendo proprio l’Inter, a San Siro, per due a uno. Era il progetto seminale di quella Sampdoria che in dieci anni avrebbe provato poi a vincere tutto riuscendoci solo in parte e crollando ad un passo dal traguardo più importante per colpa della punizione di un centrale biondino del Barcellona che qualcuno chiamava Rambo e all’anagrafe rispondeva al nome di Ronald Koeman, olandese piuttosto lento con un senso della posizione invidiabile e la dinamite nel piede.

Quella del 1982-83 fu una stagione strana: la Roma vinse il campionato, la Juventus perse una partita a tavolino per una pietrata tirata in testa ad un giocatore dell’Inter fuori dallo stadio (3-3 sul campo, andando a memoria), il Verona (sempre a memoria) giunse quarto gettando le basi per l’eroica impresa di un paio di anni dopo, il Milan non era in serie A. Juari scrisse un pezzo fondamentale nella memoria di un bambino di quella generazione segnando un gol di testa all’Udinese, sotto un diluvio pazzesco in quel di Milano, senza mai arrivare a festeggiare con il classico giro intorno alla bandiera del corner, sommerso dai compagni e da un boato che sembrava interminabile. L’Associazione Calcio Carpi, in quegli anni, navigava nelle peggiori periferie del calcio della Penisola; mancavano però solo sei anni all’arrivo in C1 e all’inizio di una storia che, tra alti e bassissimi, porterà fino al Carpi-Inter di domenica 30 agosto 2015, seconda di campionato di Serie A. Siamo nel Girone D di Eccellenza vinto dalla Centese; 6° posto per i Biancorossi addirittura dietro alla Mirandolese ma davanti al Sassuolo col quale pareggerà entrambi i derby, entrambi 1-1. Miglior bomber Roberto Notari con 12 reti, a suo modo anche lui un eroe del suo tempo.

Lo stadio del Carpi durante la stagione 1982-83

Lo stadio del Carpi durante la stagione 1982-83

I bambini si innamorano prima degli eroi e poi delle bandiere. Quando vedono l’Uomo Ragno che salva degli innocenti non si chiedono se lo stia facendo per gli Stati Uniti, per il mondo civile, per la pace tra i popoli e nemmeno se quelli che sta salvando sono realmente innocenti; sono solo contenti che riesca nell’impresa, come ogni volta, e che lo faccia in modo spettacolare, spregiudicato, rischioso. Eroico. Nei paesi di provincia gli eroi mancano quasi sempre e non è raro, da queste parti del mondo, che manchino anche in provincia, così come in tanti angoli del pianeta, dove magari un tizio che è nato a Derby o a Dudley si innamora del Manchester United perché vede Eric Cantona segnare in coppa allo Sheffield Wednesday con un pallonetto morbido, calciato da fermo, come se The King fosse in grado di pennellare tra le nuvole i capolavori del soccer contemporaneo.

Alla fine, se ci pensate, non è poi così strano che a Modena, come a Como o ad Ancona, vi siano tanti juventini, interisti, milanisti, figli e nipoti di chi è nato e cresciuto quando radio, giornali e (dopo) tivvù davano spazio agli eroi che in quei decenni, un po’ alla volta, scrivevano la storia di uno sport che cresceva insieme ad un paese che usciva dalle ombre della guerra e della miseria. Non è strano che, molte volte, si sia tifosi della propria città e si elegga una squadra che sta lassù, nei piani alti, che permetta di essere tifosi e appassionati in campionati dove alle province è limitato l’accesso quando, a volte, persino vietato. In fondo non è più strano che nascere, che ne so, a Padova, e tifare Los Angeles Lakers e Denver Broncos. Ad esempio, senza riferimenti a persone realmente esistenti perché, qualcuno, potrebbe addirittura pensare che esista davvero, a Padova, uno che tifa Broncos e Lakers. Se non è impossibile ci andiamo molto vicini, siamo seri.

La pallacanestro e il football li lasciamo però nei loro spazi e tra le loro magnifiche storie, un tempo molto distanti da noi, oggi vicinissime, grazie alle tecnologie, alla passione, al web. Le lasciamo là, in un angolo di felicità, quell’angolo che ci ha fatto amare e glorificare altre storie, altri eroi, alcune mentre eravamo ancora tra i bambini di quella generazione, del rigore di Cabrini, del gol di Spillo e molto di più. Lasciamo là tutto questo mentre ripercorriamo trentatré anni a memoria, scorrendo rapidamente tra i file dei ricordi immagini, gol, boati, commenti radiofonici, stadi vecchi e scoperchiati, calci di rigore, insulti, botte, e tutto quello che potete riuscire a mettere in fila in 33 anni di calcio. Fino a che, ciò che poteva essere impossibile smette di esserlo e Carpi e Inter si affrontano sul campo che, purtroppo, non è il Cabassi. Ma è Serie A, è campionato, è partita vera. Le due passioni si scontrano, il tifo diventa sclerotico, i tuoi natali si mischiano con la tua giovinezza di bi-tifoso che non può più essere neutrale. Se nel dopoguerra il Carpi fosse stato uno squadrone che tramare il mondo fa o se, alle prime luci del calcio italiano, fosse stato al posto di quella Pro Vercelli che dominava dalla provincia il primo italico fùtbol, forse tutto questo oggi non sarebbe nemmeno in discussione. Anche se, in realtà, in discussione non lo è mai stato. Dall’arrivo in B con i suoi presentimenti, dalla promozione e le sue certezze, da quell’urna che alla seconda ti sbatte in faccia lo scontro: Carpi-Inter. E Carpi sia. Non ho scelto io Carpi e dubito sia stata lei a scegliere me. E’ andata così e basta, un po’ come quando ci si innamora: va così, non è che devi cercare troppe spiegazioni.

L’emozione ed il dubbio non ti sfiorano mai, nemmeno per un minuto e anche se ti dispiace non vedere in curva tanta gente che avresti voluto salutare sai di aver vissuto una vita anche per questi momenti che oggi ci sono concessi. Calcio, non roba seria, ma che importanza ha? Ora, davvero, nessuna. Il piccolo miracolo di provincia contro lo squadrone. Stadio pieno, serata bollente e umida, riscaldamento dei giocatori, applausi al Mister, lettura delle formazioni, agitazione. Fischio d’inizio. Lo squadrone macina passaggi dopo passaggi senza mai oltrepassare la diga messa su da Mister Castori, ci riesce solo una volta e segna, così, senza quasi mai tirare in porta e grazie a Brkic che un po’ si spaventa, un po’ si impappina, un po’ non sembra proprio l’uomo giusto. Ma nel secondo tempo il motore del Carpi va su di giri, le gambe macinano l’erba che è una meraviglia, la differenza tecnica non emerge, non si vede, non esiste, è superata ad ogni affondo, ad ogni scatto, ad ogni corsa. Un tentativo, male. Due tentativi e, va be’, se avesse anche i piedi giocherebbe nel Real Madrid. Tre, poi quattro e… è tutto così veloce, così forte, così assurdo. Antonio Di Gaudio colpisce quel pallone così male, così sporco, la palla va via lenta bassa, rimbalza quante volte? Quattro? Cinque? Dieci? E’ gol, è gol, è gol! Cazzo, è gol…

Gol, cazzo, gol...

Gol, cazzo, gol…

Il Carpi ha segnato. All’Inter. Giocando bene o, almeno, meglio degli avversari. E’ il delirio, in una curva ibrida di carpigani, meneghini fuori posto e modenesi in affitto, sembra che tutto venga giù. Facce incredule, bocche spalancate, smorfie che neanche un Picasso riuscirebbe a riprodurre bene coi suoi tratti psicopatici. Ne abbracci uno, due, poi col braccio ne arrivi ad abbracciare tre, forse quattro. Forse li stai abbracciando tutti. Beh, almeno tutti quelli che vorresti abbracciare. Uno a uno. Meno di dieci alla fine e vedi cose che mai avresti pensato, fai cose che mai avresti creduto possibili tipo insultare amorevolmente alcuni interisti. Che alla fine godono per una ingenuità, per un Mister che la vuole vincere e forse non sa che, in Serie A, questi pareggi, si portano a casa: sono oro colato. Invece subisci un contropiede, Gabriel Silva entra in scivolata come se non ci fosse un domani e Guarin si lascia abbattere. Rigore, Jovetic, gol. Uno a due.

I bambini amano gli eroi e le favole. C’è sempre il lieto fine là. Altrove no. Ma l’amore non è esserci, non è esserci sempre e non è certo esserci quando tutto va bene, figuriamoci. L’amore è il momento, quello che non si cancella, quello che segna la storia, quello che, uno dopo l’altro, costruisce la strada che porta alla fine, con le sue buche e le sue curve strette e, magari, pure poca illuminazione. E’ la foto che rimane impressa nel tempo, 33 anni dopo, dall’altra parte della strada consapevole che, prima o poi, il momento arriverà e non ci saranno più ingenuità a fermarlo, a strozzartelo in gola. Un lieto fine. Anche questa volta, anche in questo campionato. Arriverà e, in un modo o nell’altro, saremo ancora lì ad amarci. Come la prima volta, quando non sapevi che avresti perso la voce per un gol. Come la prima volta.

Lo fai per il Carpi o, forse, lo fai per te stesso. Lo fai per l’attimo, lo fai per il momento, lo fai per amore. E scegli Carpi nello stesso modo in cui hai scelto tutto il resto: perché sai che quei momenti saranno unici. E scegli Carpi perché non siete fatti l’una per l’altro, come al solito. E scegli Carpi perché le cose facili non sembrano mai affascinanti e forse non sono mai piaciute, come le facili ruffianerie presso la casella postale dei vincenti.

Nel Carpi sono stato allenatore, giocatore e segretario. Ho fatto tutto, tranne il ladro e il ruffiano.

Guerrino “Ciccio” Siligardi

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7 risposte

  1. AIvise ha detto:

    Gente strana i Padovani ne conosco uno che tifa per i mormoni della pallacesto. Pensa te.

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