Una recensione: Spingi me sennò bestemmio

Spingi me sennò bestemmio, di Marco Pastonesi

Storie di ultimi: maglie nere, lanterne rosse e fanalini di coda.

“Spingi me sennò bestemmio” è uno di quei libri che ti conquista già dal titolo, perché in quattro parole racchiude storie di un ciclismo che raramente si vede alla tv, ma che chi frequenta le strade sa riconoscere, respirare, intravedere, immaginare.

Non bastasse il titolo (ed il suo sottotitolo, le storie degli ultimi) il resto ce lo mette il nome dell’autore: Marco Pastonesi è uno degli (ultimi?) grandi narratori di storie ciclistiche: in un mondo in cui ormai le immagini sono così tante che c’è sempre meno spazio per le parole, Pastonesi riesce sempre a portarti affianco ad una impresa, tra le storie umane di uomini sopra a cavalli a due ruote e nella fattispecie riesce a dipingere fugaci ma intriganti affreschi attorno a personaggi di cui alla fine della lettura forse non ti ricorderai il nome, ma di sicuro non avrai dimenticato le gesta, le provenienze, le storie attorno a quegli ultimi posti.

Il libro si dipana tra una quarantina di profili, brevi ma sufficienti per raccontare la storia e le vite che animavano la passione degli “ultimi”. A far da “filo rosso” tra una storia e l’altra, ogni tanto appaiono le gesta del “diavolo rosso”, un ciclista (Giovanni Gerbi) che sembra venire da un altro tempo, proprio perché da un altro tempo viene: probabilmente il primo grande ciclista italiano.

Nello scorrere le pagine troviamo storie più o meno note e nomi che pensavamo di non dover trovare tra gli ultimi: è il caso ad esempio del grillo Paolo Bettini che in maglia iridata nel 2008 arrivò ultimo alla Strade Bianche che in quegli anni (al suo secondo anno di esistenza) si chiamava ancora Eroica. Paolo arrivò 63esimo al traguardo, a 10 minuti precisi dal vincitore Cancellara ed appunto ultimo (dietro anche al suo gregario Sabatini) tra quelli arrivati a Piazza del Campo.

Tra le 200 pagine del libro trova ovviamente spazio Luigi Malabrocca, la Maglia Nera per antonomasia, il capostipite delle maglie nere, ultimo nel Giro del ’46 (primo Bartali) e poi ultimo in quello del ’47 (primo Coppi).

Della Cuneo-Pinerolo del 1949, quella con “un uomo solo al comando, la sua maglia è biancoceleste il suo nome è Fausto Coppi” sappiamo tutto o quasi, in questo libro andiamo a soddisfare anche quel “quasi”, perché l’autore ci racconta la storia dell’uomo solo che non era al comando, ma che arrivò ultimo: Mario Benzo, in quel giro compagno di squadra di Bartali a cui toccò pagare anche tutte le banane mangiate durante la corsa rosa.

Ad un certo punto la maglia nera diventò quasi un trofeo (ed in alcuni anni dava diritto anche ad un premio), motivo per cui è pieno di storie di gente che lottava per arrivare ultimo, uno dei migliori Lucillo Lievore (Giro 1967) che nella penultimo semitappa con il Ghisallo addirittura andò in fuga solitaria, ma solo per aver tempo di nascondersi in un bar e poter arrivare indisturbato e saldamente ultimo.

Ultimi sì, ma non a spasso: nel Tour del 1949, l’ultimo di ogni tappa veniva eliminato (Squid Games scansate), così che c’era una vera e propria lotta per non finire in fondo, giorno dopo giorno. Quell’anno Vittorio Seghezzi riuscì anche ad evitare la “ghigliottina”: fece metà tappa dovendo pedalare solo con una pedivella (l’altra si ruppe) e l’altra metà tappa su una bici rimediata che però era decisamente più piccola del dovuto, i giudici si impietosirono e lo fecero partire comunque il giorno dopo.

Ai giorni nostri la maglia nera non si indossa più e ovviamente non ci sono più i premi, ma resta quel fascino dell’ultimo posto, ne sa qualcosa Riccardo Stacchiotti, Giro 2016, penultimo alla partenza dell’ultima tappa con arrivo a Torino in un circuito da ripetere più volte: l’idea è di farsi sfilare all’ingresso del circuito e “recuperare” quel minuto scarso che lo separa dall’ultimo (Bobridge). Riccardo non aveva fatto i conti con il maltempo e la giuria che neutralizzò i tempi qualche giro prima della fine e addio ultimo posto per 51″.

Tra tutte le storie però una si solleva sopra le altre: più che un profilo un’intervista, più che un’intervista una sorta di botta e risposta che ti trascina tra una battuta e l’altra attraverso le pieghe di uno dei ciclisti più solari e magnetici del ciclismo degli ultimi anni. Il capitolo dedicato a Michele Scarponi non ve lo spoilero, ma ovviamente va letto sapendo che sarà necessario asciugarsi le lacrime pagina leggendo.

“Dopo tanta fatica non si butta mai via nemmeno l’ultimo posto”. Buona lettura.

azazelli

Da giovane registravo su VHS tutte le finali di atletica, mondiali ed olimpiadi, poi m'hanno cancellato il record di Donovan Bailey con Beautiful e mi sono dato al download. Vivo di sport, cerco di scriverne.

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