S’è preso il Ciclismo

Lo aspettavamo. Lo aspettavamo da quella stagione e mezza tra gli juniores in cui semplicemente ha dominato qualsiasi corsa, qualsiasi terreno, qualsiasi avversario. Un predestinato per cui la categoria under 23 stava già troppo stretta ancor prima di misurarsela addosso: così è arrivato il salto diretto tra i pro a 19 anni, giusto il tempo di capirsi e di vincere una (semi)classica come la corsa di San Sebastian, da par suo, andando via da lontano, quasi senza scattare, imponendo un ritmo e trasformando una corsa in linea in una cronometro individuale.

San Sebastian 2019

A proposito di cronometro: in quel 2019 campione europeo ad Alkmaar (davanti ad Asgreen, Affini, Kung, Dowsett e Ganna), vicecampione mondiale ad Harrogate (dietro a Dennis, davanti di nuovo a Ganna). A cui ha aggiunto un mondiale in linea in cui si è speso per il capitano e compagno Gilbert, caduto ed in difficoltà, come un gregario qualunque, come un ciclista vero, che ad una personalità strabordante (nonostante l’età) abbina comunque una dedizione non così banale e scontata.

Quindi è arrivato il 2020: prima il covid, il calendario stravolto, la preparazione stravolta, tutto da ridisegnare. Poi la caduta quando stava nel gruppo dei migliori alla sua prima monumento in carriera, il Lombardia di ferragosto: il volo di 5 6 metri giù da un ponte, le fratture, le operazioni, il dubbio di tornare in bici, il dubbio di tornare quello che era prima.

Mesi senza pedalare e poi senza corse ufficiali. Infine il ritorno, così, de botto, senza senso (ora possiamo dirlo) al Giro d’Italia 2020. 266 giorni dopo quel volo, senza altri giorni di corsa prima, con una preparazione improvvisata, presentarsi al tuo primo grande giro così? Cosa poteva andare storto?

Una prima parte di Giro tutto sommato buona, poi però le Alpi hanno presentato il conto: non sappiamo se glielo presenteranno sempre, forse sì, di certo il 2020 però non può essere preso come termine di paragone per quello che sarà il suo futuro. Lì, nel post Giro, sicuramente Remco ha sofferto, molto più di testa che di fisico e sono stati bravi a fare un piccolo passo indietro, andando a costruire il resto dell’annata correndo corse più adatte e più “facili” e rifugiandosi poi nella sua amata cronometro: terzo sia agli Europei di Trento (dietro a Kung e Ganna) che ai mondiali in casa (dietro a Ganna e Van Aert). Nel mezzo c’è stato l’Europeo in linea, dove sostanzialmente Colbrelli è stato l’unico a resistere al suo ritmo per poi batterlo in volata.

E poi c’è stato anche il mondiale in linea, dove la convivenza con Van Aert, già complicata di suo, è stata gestita male da CT e santoni vari. Alla fine in corsa, come l’anno prima, ha mostrato di saper lavorare anche per gli altri, nonostante probabilmente fosse quello con la gamba migliore quel giorno. Insomma, la stagione nata con gli schiaffi alpini al Giro, in realtà si concludeva con una sensazione che Remco, quello prima del volo al Lombardia, quello prima della pandemia, stava tornando, quel motore non si era ingolfato.

Ed eccoci al 2022, l’anno in cui Evenepoel s’è preso il ciclismo. Il primo anno con un inverno normale, un calendario normale, con delle esperienze (buone e meno buone) alle spalle da cui trarre insegnamento. 67 giorni di corsa ben distribuiti, senza andare a cambiare i programmi strada facendo: 16 vittorie, anche qualche delusione (Carpegna alla Tirreno su tutti), 1 monumento corsa e vinta (Liegi), un GT corso e vinto (Vuelta), ancora la Clasica di San Sebastian ed il mondiale questa mattina che gli permetterà di correre tutta la prossima stagione con la maglia più bella ed affascinante del mondo, quella iridata.

Non è questione di essere o meno uno scalatore, un cronoman, un passista, un velocista, andiamo al di là delle etichette, delle categorie, andiamo a quello che abbiamo visto in strada: Remco Evenepoel è stato il miglior ciclista del mondo. Tutti, chi più, chi meno, ci siamo chiesti come si sarebbe potuto adattare al ciclismo professionistico perché il motore è veramente da superstar, ma mancavano (e mancano) alcune caratteristiche che per vincere le corse nel ciclismo moderno sembrano fondamentali (scatto, specialmente in salita, e colpo di pedale in volata). Il fatto è che non si è adattato lui, lui ha continuato a correre (ed a vincere) nel modo che conosce, sono gli altri che ancora non l’hanno capito e non sono riusciti ad adattarsi.

Remco è ancora un animale molto strano, in questa stagione, soprattutto alla Vuelta, ha risposto a tanti dubbi che c’erano sul suo conto sui suoi punti deboli, mostrando anche la capacità di migliorarsi e di lavorare. Dopo un 2022 del genere adesso viene il difficile, perché come se l’è preso lui il ciclismo quest’anno, sicuramente l’anno prossimo troverà rivali ancora più agguerriti e sfide ancora più dure (Tour?) dove verosimilmente arriveranno anche delle sconfitte.

C’è chi mal lo sopporta, d’altronde il carattere è un po’ fumantino e l’età è ancora acerba, e non vede l’ora di vederlo perdere, andare in crisi come a Carpegna o sul Giau. Succederà, non c’è dubbio, è la natura dello sport. Un po’ spiace che alcune delle sue vittorie vengano derubricate a mancanza di avversari o poca prontezza nel reagire alle sue azioni, ma quando le azioni si ripetono, forse non si tratta più di effetto sorpresa, quanto piuttosto essere alle volte inermi su quelle accelerazioni e quei ritmi che solo un motore come quello può raggiungere e sostenere.

Ma Remco lo sa, è così ormai dal 2019, sarà così anche nel 2023, dovrà sempre dimostrare qualcosa a qualcuno, dovrà continuare a vincere, ma ora il ciclismo è suo, glielo devono andare a prendere.

Wollongong 2022

azazelli

Da giovane registravo su VHS tutte le finali di atletica, mondiali ed olimpiadi, poi m'hanno cancellato il record di Donovan Bailey con Beautiful e mi sono dato al download. Vivo di sport, cerco di scriverne.

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