Fredda cronaca di una notte di mezza stagione e poco più

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La beffa di Firenze

La fine dell’anno preferito sembrava giunta il giorno in cui il buon Totò Di Gaudio mancava il più comodo degli assist per Kevin Lasagna al 92° di Carpi-Palermo. Tre giorni dopo il desaparecido Zarate imbucava con un tiro straordinario la palla della vittoria per la Fiorentina al 93°. Segnali. Ma i segnali peggiori, a una settimana dall’entusiasmante trasferta di San Siro, non riguardavano la poca lucidità di Di Gaudio o il colpo da biliardo all’ultimo secondo, quanto l’atteggiamento di una squadra incapace di giocare d’astuzia e stranamente messa in campo ogni volta in modo anomalo, con due punte in trasferta e una in casa, con il disorientato Jerry Mbakogu titolare inamovibile, all’ostinata ricerca del punticino che muove la classifica e non ti condanna mai definitivamente. Un crollo lento, costante e doloroso. Il peggio lo si è visto dopo l’avvio di fuoco del girone di ritorno che portava con sé le prevedibili sconfitte contro Roma e Napoli. Torino, Atalanta e Bologna hanno infatti mostrato un Carpi lento, senza idee, senza mordente, il che non è propriamente positivo in senso assoluto, figurarsi per una squadra qualitativamente qualche limite per stare in questa categoria lo ha di suo. Siamo rimasti così insabbiati per quasi due mesi in attesa che, davvero, succedesse qualcosa di cui parlare perché riempire una rubrica dedicata del nulla non è il nostro hobby preferito. Ma in quei 270 minuti questo è effettivamente accaduto: il nulla.

Partita davvero demoralizzante a Torino giocata contro una squadra che non brilla da mesi eppure giocata completamente a difesa della propria metà campo. Tiri in porta alla fine: zero, con un Belec ormai a livelli eccelsi da settimane che tiene vive le speranze di salvezza parando un rigore al parente acquisito di Mauro Icardi, un certo Maxi Lopez. La settimana dopo, in casa con l’Atalanta (zero vittorie in 14 gare) cambia poco o nulla. Un avvio veloce, qualche spunto, una buona occasione per KL15 poi 75 minuti di panna montata con l’Atalanta che va in vantaggio e il Carpi che raddrizza i giochi solo grazie ad un rigore trasformato da Verdi. A Bologna si parte più convinti, due punte con conferma per Verdi che si strappa dopo cinque minuti. Lo spettacolo è misero, di nuovo, ma è ancora un pareggio, ancora un punto che tiene il naso della squadra fuori dalle sabbie mobili. Di fatto, in queste tre partite, i punti sono tre come quelli dell’andata con Sannino in panca che affrontò una Atalanta decisamente più brillante e dovette giocare in dieci contro il Bologna per settanta minuti a causa di una follia di Lorenzo Lollo.

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Il leader indica la strada, ma ora serve anche il coraggio di osare

Ora, non torneremo sui nostri passi, non rimpiangiamo certo il periodo Sannino e non abbiamo ripensamenti. Non ci rimangeremo quanto detto in tutti questi mesi perché crediamo che le cose stiano ancora così: con Castori in panchina dall’inizio e con la giusta fiducia dell’ambiente oggi il Carpi avrebbe quei 3-4 punti in più che le garantirebbero di giocarsi le proprie chance senza sentirsi impiccata ogni secondo di gioco e questo sarebbe psicologicamente un grande vantaggio. È però vero anche il contrario, ossia che tolta la fondamentale unione e lo spirito che il Mister è riuscito a rimettere in piedi, mancano quella rabbia e quella forza agonistica che vorresti vedere in chi oggi si gioca il tutto per tutto, manca un’idea di gioco adatta alla categoria, manca una continuità di scelte, in alcune fasi, che lasciano un po’ perplessi. Manca, soprattutto, quella foga travolgente che ha spesso contraddistinto il Carpi nei momenti di difficoltà, come quei venti minuti con l’Inter alla seconda di campionato, forcing e confusione con lo spirito di chi vuole andare in fondo, di chi non conosce ostacoli di chi crede di poterla vincere in qualche modo. Dopo il pareggio coi bergamaschi avremmo voluto vedere palloni gettati in area uno dopo l’altro con la speranza del tocco fortunato, o un baricentro più alto a Torino e Bologna per vedere se “succede qualcosa” su una ripartenza veloce. E invece oggi vince l’insensata paura di non farcela. Insensata perché, ormai dovrebbe essere ovvio, se perdi la Serie A la perdi perché ce ne sono almeno 18 più forti. O esperte. O con un paio di talenti di categoria che, magari, al momento del bisogno, scagliano il tiro da tre punti sulla sirena. Invece si è arrivati col Frosinone a giocarsi una finalissima nella quale, di fatto, gli avversari avevano tre risultati su tre per non perdere speranza. E, in un certo senso, nulla è cambiato. Ed è dalla Ciociaria che passa di nuovo la nostra storia.

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Bei tempi…

Carpi e Frosinone hanno incrociato i loro destini sin dalla scorsa stagione di Serie B giungendo alla fine rispettivamente prima e seconda con accesso diretto al paradiso calcistico. Si giocarono il primo scontro diretto in un Cabassi gremito senza farsi troppo male quasi fosse troppo assurdo che ci fossero due cenerentole allo stesso ballo. Al ritorno vinse il Frosinone 1-0 in una partita che poteva valere la A diretta per il Carpi ma che, di fatto, contava più per i padroni di casa. Come da pronostico entrambe sono oggi completamente invischiate in una disperata lotta per non retrocedere dalla quale difficilmente usciranno insieme vincitrici come fu per la cavalcata verso la A. La gara di domenica scorsa ha dimostrato una volta di più che, al di là delle assenze tra i frusinati, siamo effettivamente di fronte a un livello non proprio idoneo alla categoria. Eppure, al di fuori di un risultato emerso grazie ad un fallo da rigore da indagine federale all’88° minuto, ci permettiamo di dire che è proprio il Frosinone ad uscirne meglio. Piano prima di abbandonare la sala per protesta e tenete giù la mano, voi, là in fondo, che state ancora riguardando il pallone scagliato fuori provincia da Mancosu nella più facile delle occasioni. Il problema, al di là dei limiti oggettivi, sta proprio nell’atteggiamento.

I frusinati sono arrivati in Emilia per perdere tempo sin dal primo minuto, restando a terra mediamente il tempo di una sigaretta ad ogni contrasto. Sono andati sotto ma non si sono scomposti. Hanno rischiato sull’incredibile errore di Mancosu, una delle rare occasioni concesse al Carpi. Hanno trovato il pari su un episodio favorevole e poi si sono suicidati. Ma i gialloazzurri hanno in Stellone un allenatore giovane, che cerca di giocarsi le partite con le armi che ha soprattutto in casa, che prova a mettere in campo sempre 2-3 soluzioni offensive, che non sembra mirare sempre e solo ad arrivare ai punti alla dodicesima ripresa. Cerca di stare in piedi, come a Modena, quando strettamente necessario, dove il pareggio rappresenterebbe eliminare una seconda contendente alla salvezza (oltre al Verona che ormai ci appare troppo lontano), ma l’impressione è quella che si tenti comunque di andare oltre il proprio limite qualitativo. Certo, poi i nodi vengono al pettine, ma la sconfitta col Carpi è frutto di episodi perché è proprio nell’assedio da win or go home in stile playoff che è mancato al Carpi mentre, ad esempio, all’andata il Frosinone giocò per vincerla nettamente e costruì occasioni a sufficienza per strappare i tre punti anche se solo al 92°.

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Il modulo dovrebbe essere questo… più o meno

Serve giocare con intelligenza, certo, ma le partite impostate da Mister Castori si basano sempre su un abuso difensivo dovuto a quella mentalità che, in Serie A, non paga e non pagherà mai gli stessi dividendi della Serie B. Un equilibrio che, quando si spezza, è difficilissimo da raddrizzare visto la pochezza di idee con cui il Carpi cerca di attaccare. Le cinque vittorie dei carpigiani si basano tutte su un solo gol di scarto (e tutte sono finite 2-1) e in tutte c’è sempre stato l’episodio favorevole ma mai una costruzione costante del gioco. L’autogol del Torino, i rigori contro Udinese e Frosinone, la superiorità numerica per 80 minuti a Marassi contro il Genoa. Certo, si potrà dire che gli episodi, a volte, vanno cercati e che in un certo senso si compensano tra i pro e i contro. Vero, ma vero anche che le sconfitte del Carpi nascono sì da inesperienza ed improvvisi cali di tensione, ma anche da scelte tattiche discutibili e modulo troppo prevedibile. Le vere grandi recriminazioni alla sfortuna si possono mettere in campo in entrambe le sfide con la Fiorentina per il resto, pur rimanendo tutto discutibile, si è raccolto quanto si è meritato. E se è vero che barricarsi e soffrire su ogni pallone ha un senso con le grandi e magari porta anche a 0-0 preziosissimi (Napoli e Milan) è altrettanto realistico pensare che quello che manca è proprio quello scatto che si dovrebbe vedere quando motivazioni o talento dell’avversario calano.

In quei casi il Carpi non riesce praticamente mai ad emergere, non spicca come vorremmo, non azzanna le partite sin dall’inizio per metterle sui giusti binari. Certo, a volte lo fa, come proprio contro il Frosinone, ma non riesce a dare continuità al gioco e si mette subito sulla difensiva con troppo timore. Onestamente, detto molto a bassa voce, giocando così fa pensare all’assurdo l’idea di poter sperare ancora in una salvezza che ha i contorni dell’impossibile. Si vorrebbero vedere il coraggio, il mordente, la volontà di chi sa di potercela fare giocando a calcio e non aspettando che qualcosa succeda perché è ormai questa l’impressione che cominciano ad avere in tanti. Il gruppo c’è, la volontà pure, ma questo non si tramuta in nulla di davvero coerente sul campo da gioco.

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Deep down Louisiana close to New Orleans…

Non parlare di una gara fondamentale vinta su rigore al 90° sembra assurdo, non poter descrivere il pathos, la tensione, i timori e la liberazione finale. Negli occhi rimane la difficoltà di una squadra a mettere insieme due idee e un cross, pensando che il mercato di gennaio non ha portato nulla di quella qualità che andiamo cercando. C’è Jonathan De Guzman a mezzo servizio ma almeno hai uno spiraglio. Calcia il rigore meno pesante della sua carriera senza pensare alle conseguenze che, di fatto, non lo riguardano. E Johnny è già idolo. Avremmo però preferito parlare di tentativi epici finiti in goleade avversarie e una retrocessione firmata a febbraio, raccontare la storia dei 300 spartani che vinsero perdendo. Invece siamo alla fredda cronaca sportiva, all’analisi del difensivismo come ultima spiaggia. Se pagherà ne saremo lieti perché avremo davvero qualche storia da raccontare e altri viaggi futuri da vivere, anche se oggi, crederci, è davvero dura. Abbiamo bisogno di epica per continuare a sognare, i racconti da articoletto sulla Gazzetta dell Sport vorremmo lasciarli a Caressa e ai suoi ospiti della tarda serata di Sky Sport. Ci interessano le emozioni, non lo sport chiacchierato. Noi vogliamo continuare ad urlare. E non molleremo.

“Cosa? È finita? Hai detto finita? Non finisce proprio niente se non l’abbiamo deciso noi. È forse finita quando i tedeschi bombardarono Pearl Harbour? Col cazzo che è finita! E qui non finisce, perché quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”

John “Bluto” Blutarsky (John Belushi, Animal House – di John Landis, 1978)

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